la Repubblica, 10 marzo 2025
Arrestato Khalil, volto della protesta pro-Palestina alla Columbia University: “Via la Green Card”
Quando due uomini hanno bussato alla loro porta, alle 20.30 di sabato sera, Mahmoud Khalil e sua moglie incinta di 8 mesi hanno aperto senza pensarci. I condomini che la Columbia University di New York affitta ai suoi studenti nell’Upper West Side di New York sono sicuri e controllati. Persino la polizia avrebbe bisogno di un permesso per accedere. L’ennesima regola sdoganata nell’America di Trump. Gli agenti in borghese dell’Ice, la temibile polizia anti-clandestini, hanno fatto irruzione senza identificarsi, e mostrando un mandato sul cellulare hanno arrestato uno dei volti più noti delle proteste pro Palestina che lo scorso anno ha visto la Columbia University al centro di un movimento che si è presto diffuso in tutto il Paese. Un’escalation significativa nell’impegno dell’amministrazione Trump a detenere e deportare gli studenti stranieri che ritiene essere “pro Hamas”.
Ma Khalil, cittadino algerino di origini palestinesi, è un residente permanente legale e non si trova negli Stati Uniti con un visto da studente. Anche perché si è laureato lo scorso dicembre. “Verrà revocata anche la sua green card”, hanno detto gli agenti visibilmente confusi quando la moglie di Khalil gliel’ha mostrata. L’hanno poi minacciata, dicendole che se fosse rimasta al suo fianco, avrebbero arrestato anche lei.
“Ieri mattina ci è stato comunicato che era stato trasferito in una struttura dell’ICE a Elizabeth, nel New Jersey”, ha spiegato a Repubblica la sua avvocata Amy Greer. “Tuttavia, quando la moglie ha cercato di fargli visita, le è stato detto che non era detenuto lì. Ci è stato riferito che Mahmoud potrebbe essere trasferito in Louisiana”.
L’arresto e la detenzione di Mahmoud da parte dell’Ice seguono l’aperta repressione del governo statunitense nei confronti dell’attivismo studentesco, che prende di mira in particolare gli studenti della Columbia University per aver criticato la guerra a Gaza e i rapporti tra gli Stati Uniti e Israele. L’ordine esecutivo per combattere l’antisemitismo e per deportare studenti stranieri che hanno preso parte alle proteste pro palestina, scoppiate dopo la risposta israeliana su Gaza all’attacco di Hamas dell’ottobre 2023, è stato tra i primi firmati da Trump a gennaio. “Questo obbliga le università a monitorare la libertà di parola degli studenti, tutelata dalla Costituzione”, ha spiegato a Repubblica Sarah McLaughlin della no profit “Fire” che difende e sostiene i diritti civili negli Stati Uniti. “I campus americani sono luoghi di apprendimento e dibattito che favoriscano un’ampia gamma di opinioni”.
Ma per la nuova amministrazione questi studenti non hanno più il diritto di stare nel Paese, per via delle loro “attività allineate ad Hamas, un’organizzazione terroristica designata”. Secondo Axios, il Dipartimento di Stato, il Dipartimento di Giustizia e il DHS stanno lanciando un’iniziativa “Catch and Revoke” per identificare presunti attivisti “pro Hamas” attraverso lo screening dell’intelligenza artificiale sui social media.
A questo si è poi aggiunta la minaccia di sospendere i finanziamenti federali alle istituzioni educative che consentono queste “proteste illegali”. Una minaccia diventata realtà per la Columbia University tre giorni fa, quando l’amministrazione Trump ha annunciato il taglio di 400 milioni di dollari di finanziamenti “per non aver protetto gli studenti ebrei durante le proteste dello scorso anno”. In risposta, la rettrice ad interim Katrina Armstrong – subentrata la scorsa estate dopo le dimissioni di Minouche Shafik, che ha lasciato l’incarico sotto la pressione dei repubblicani e della comunità ebraica per la sua mancata presa di posizione netta contro le proteste nel campus – ha assicurato che l’università ha riorganizzato la leadership per garantire una risposta più tempestiva agli episodi di antisemitismo e discriminazione.
La Columbia University ha recentemente istituito un ufficio che sta segretamente indagando sui suoi studenti per dichiarazioni politiche su Israele, come riportato da Drop Site News, e sta richiedendo agli studenti di firmare accordi di non divulgazione per visionare le prove portate contro di loro. “Vogliono solo dimostrare al Congresso e ai politici di destra che stanno facendo qualcosa, indipendentemente dalla posta in gioco per gli studenti”, ha detto Khalil all’Associated Press la scorsa settimana, rivelando di aver ricevuto 13 accuse contro di lui e la maggior parte delle quali sono post sui social media con cui non ha nulla a che fare.
“Khalil è stato specificamente e discriminatoriamente preso di mira dalla Columbia University per la sua identità palestinese e il suo attivismo esplicito in più occasioni negli ultimi mesi”, ci ha raccontato una sua cara amica alla Columbia University che vuole rimanere anonima. In questo movimento Khalil aveva un ruolo fondamentale: negoziare con la Columbia University per porre fine all’accampamento innalzato all’interno del campus. Un negoziato che il 29 aprile, dopo più di dieci giorni di accampamento, la rettrice ha dichiarato concluso con un nulla di fatto. È apparso spesso in interviste e conferenze stampa. Era tra i pochi a girare nell’accampamento a volto scoperto. “Sapeva per cosa stava combattendo e che non c’era nulla di sbagliato per cui mascherarsi. Per noi è ridicolo che all’Ice sia stato permesso di arrestarlo nonostante la sua posizione di negoziatore”, continua la ragazza sottolineando come Khalil stesse cercando di portare la Columbia al tavolo.
“Difenderemo con forza i diritti di Mahmoud in tribunale e continueremo a impegnarci per riparare a questo terribile e imperdonabile – e calcolato – torto commesso nei suoi confronti”, ha assicurato la sua avvocata, specificando che molte persone e organizzazioni hanno espresso il loro sdegno per la condotta del governo e hanno offerto la loro assistenza nei procedimenti legali. La mobilitazione non sorprende la sua amica: “Mahmoud è una delle persone più gentili che ho incontrato alla Columbia. Voleva che tutti stessero insieme e si sentissero sostenuti e apprezzati. È molto amato da tutti nella comunità: in questo momento è detenuto, ma c’è un esercito di persone che lo sostiene”. Sui gruppi social e nel campus,infatti, c’è già chi si sta attivando per prendere le sue difese e far sentire tutto il supporto a Khalil.
Fonti vicine ai gruppi di attivisti che hanno portato avanti le proteste lo scorso anno hanno confermato che ci saranno ulteriori manifestazioni “perché questa è un’escalation troppo grande da parte della Columbia contro tutti gli studenti”. Per questi ragazzi l’arresto di Khalil vuol dire una cosa sola: “Siamo disposti a mettervi a rischio per il bene dei nostri finanziamenti”.