la Repubblica, 10 marzo 2025
Prosecco star negli Usa: “I dazi non fermeranno le nostre bollicine pop”
Vigna, villetta, vasca per la fermentazione. Vigna, villetta, vasca. Vigna, villetta, vasca. Così per chilometri e chilometri, tra colline e capannoni, Tir e Suv con l’etilometro nel cruscotto. Sullo sfondo le Prealpi venete, in basso il Piave che scorre. Non c’è riuscita Paris Hilton, a infrangere questa capillare trinità del Prosecco; difficile che ce la faccia Donald Trump, anche se a suon di dazi. Nel suo vigneto di Colbertaldo, Franco Adami ricorda ancora quel 24 settembre 2006 quando vide l’ereditiera più bionda d’America «che scendeva dall’elicottero a Soligo con una lattina di roba in mano, chiamandola Prosecco. A Soligo, dico! Uno schiaffo». Era il lontano 2006 e quello schiaffo del vino austriaco che voleva raccontarsi italiano, per di più in lattina, si trasformò in una spinta potentissima: tre anni dopo il Prosecco diventava Doc, Denominazione di origine controllata, mentre altri due consorzi raggiungevano la più pregiata Docg. E, anche grazie al riconoscimento dell’identità unica, il via a un’ondata di bollicine che partendo dalle nove province del Prosecco ha allargato e allagato, in pochi anni, i mercati esteri. Gli Stati Uniti in prima fila.
Il boom negli Usa lascia a bocca adeguatamente aperta, quella che serve per sorseggiare il sapore di un successo made in Italy. Oggi, su circa 8 miliardi di euro di export di vino italiano la metà viene da queste terre dove di crisi non si sente proprio parlare. Solo il Prosecco Doc, il maggiore dei tre consorzi, ha venduto in Nord America 125 milioni di bottiglie e – dazi o non dazi – non pare intenzionato a fermarsi. «Il Prosecco Doc esporta oltre l’80% di quanto produce. A gennaio e febbraio abbiamo segnato un +12% nella produzione e negli ultimi mesi le vendite negli Usa sono salite di circa il 10%. Non so se gli americani stiano riempendo cantine e scaffali dei supermercati in attesa di rincari, come si dice, ma per ora va bene. Poi si vedrà», se la ride il presidente del consorzio Giancarlo Guidolin.
Dietro il prodotto, del resto, una poderosa macchina promozionale, una rete che ha coinvolto la grande distribuzione, etichette che hanno creato nomi internazionali, fortune locali e anche qualche gelosia.
Sono tre, infatti, i consorzi; sempre sul crinale tra collaborazione e competizione. C’è il Prosecco Doc che cresce in pianura e però svetta come una montagna per numeri e forza commerciale, dall’alto dei suoi 660 milioni di bottiglie prodotte lo scorso anno, più di 500 milioni esportate in Europa e nel mondo. E poi l’antico e nobile Conegliano e Valdobbiadene Prosecco superiore Docg, che di bottiglie nel 2024 ne ha riempite 90 milioni, esportandone 35 milioni. Il più giovane Asolo Prosecco Docg si ferma a 32 milioni di bottiglie, con 18 milioni esportate. In tutto l’export verso gli Usa conta 140 milioni di bottiglie. Si lavora insieme, quando è possibile, ma tra i distinguo e alle volte con più di un malumore fra le tre anime che condividono lo stesso nome.
Non questa sera di marzo, però, dove ci si ritrova tutti per un’occasione speciale – uno spettacolo del giornalista Luciano Ferraro dedicato proprio al Prosecco – chez Giancarlo Moretti Polegato. Nel salone della sua splendida Villa Sandi, che dà il nome anche alla grande azienda vitivinicola – architettura seicentesca e un camminamento sotterraneo della Grande Guerra trasformato in cantina – Moretti Polegato è del resto l’anfitrione ideale, perché ecumenico: «Come Villa Sandi siamo in tutti e tre i consorzi e inoltre presiedo il Sistema Prosecco, che sta sopra i consorzi». I dazi sul Prosecco, che la prima amministrazione Trump non impose, e adesso chissà, lo preoccupano ma non lo spaventano: «Abbiamo visto quanto sia difficile prevedere queste mosse. Certo, noi esportiamo il 70% della produzione in centotrenta paesi e gli Usa sono il primo mercato. Se eventuali dazi fossero al 25% sarebbe un bel problema; se per ipotesi si fermassero al 10%, allora non prevedo impatti devastanti. Anche perché chi, come noi, vende in euro potrebbe compensare il costo aggiuntivo con il vantaggio del dollaro forte».
Arriva Luca Zaia, unico presidente di Regione diplomato all’istituto enologico. Accoglienza genere statua di Santa Rosalia nella pur lontana Palermo. Del resto è lui che da ministro dell’Agricoltura ha ottenuto la Doc e le Docg e poi quello che ha spinto per far diventarele colline del Prosecco di Conegliano e Valdobbiadene patrimonio dell’umanità Unesco. «La storia dei dazi è assolutamente dolorosa», dice Zaia. Ma non vede guerre in arrivo: «Trump è un uomo d’affari che fa compromessi. Bisogna sedersi a un tavolo con lui, non andare in ordine sparso».
Adami, che è presidente del Consorzio Conegliano e Valdobbiadene Docg, e che con la sua azienda vende invece in dollari, con gli Usa come primo mercato, ha qualche preoccupazione in più: «Non è automatico che arrivino i dazi, ma se ci saranno, con conseguenti rincari, la prima reazione del consumatore Usa potrebbe essere quella di comprare una sola bottiglia invece di due. Se arrivassero i dazi e il dollaro si indebolisse, per noi sarebbe la tempesta perfetta». Per ora, comunque, nessun segnale di cali.
Il Consorzio Asolo Docg è il più piccolo, ma anche il più veloce. Lo guida Michele Noal, una lunga carriera politica locale tra Forza Italia e Lega: «Lo scorso anno siamo cresciuti del 17% e a gennaio 2025 le vendite in Usa sono salite addirittura dell’80% rispetto a dodici mesi prima. È davvero l’effetto “riserva” prima dei possibili dazi? «Non lo sappiamo, ma sappiamo che da due anni stiamo facendo grandi campagne in Usa per far conoscere il nostro prodotto». Dazi o non dazi, «ma se fossero al 10% non sarebbero un danno terribile», calcola Guidolin, il Prosecco è convinto di farcela: «Siamo un prodotto “pop”, un lusso democratico – spiega ancora il presidente del Consorzio Prosecco Doc, con alle spalle i suoi 660 milioni di bottiglie – che con 10-15 dollari consente anche al consumatore americano di bere un prodotto di gran qualità». Non sarà un dollaro in più – è la scommessa – a tappare le bollicine italiane.