il Fatto Quotidiano, 10 marzo 2025
Profitti e nomine, la nuova guerra dei signori del casello è già partita
I profitti continuano a correre, ma c’è un clima di battaglia sulle autostrade. E a rimetterci rischiano di essere milioni di automobilisti. Le partite aperte sono tante. La più importante è lo scontro sugli investimenti che le concessionarie vogliono farsi riconoscere dal ministero delle Infrastrutture per adeguare una rete tra le più vecchie d’Europa. Più alti sono quelli avallati dal ministero e più alti sono i pedaggi che possono incassare.
Ogni cinque anni devono essere rinnovati i piani economico-finanziari (Pef) sui quali si basa il calcolo dei pedaggi, tenendo conto di investimenti, manutenzioni, traffico. In gran parte sono scaduti dal 2020, quando il governo Conte I ha stabilito che senza rinnovo del Pef non si possono aumentare i pedaggi. Il rinnovo è bloccato da divergenze sui conti. Come Il Fatto ha già scritto c’è una distanza di 27 miliardi tra le pretese dei gestori e gli investimenti riconosciuti dal ministero. Per questo, a sorpresa, il ministero quest’anno ha bloccato gli abituali rincari dei pedaggi su metà della rete, gestita dalle 22 concessionarie che hanno i Pef scaduti. A Capodanno sono scattati gli aumenti solo per Autostrade per l’Italia (Aspi), che vale quasi metà della rete, 2.800 km su 6.000 (+1,8%, pari all’inflazione programmata) e per la Salerno-Pompei-Napoli, la A3 controllata dal Consorzio stabile Sis di Matterino Dogliani (+1,677%). I gestori si giustificano con l’esplosione dei costi dei materiali. Chiedono aumenti di tariffe o prolungamento delle concessioni.
Questa partita si intreccia con quella delle nomine in Aspi, la società che Cassa depositi e i fondi Blackstone e Macquarie hanno comprato dai Benetton a peso d’oro (8,2 miliardi e altrettanti di debiti) dopo il crollo del Morandi. L’Ad Roberto Tomasi scade a metà aprile ed è in bilico. Molto attivo sui dossier autostradali è il ministro Salvini. Tra i candidati al dopo-Tomasi circola da mesi il nome di Paolo Gallo di Italgas, vicino a Francesco Gaetano Caltagirone, il costruttore-editore in ottimi rapporti con la premier. Ma Italgas ha appena comprato 2i Rete Gas e deve integrarla. Un altro candidato è Fabrizio Palermo, l’ex capo della Cdp ai tempi del Conte I, che ha condotto la trattativa con i Benetton per l’acquisto di Aspi. Per questo la scelta di Palermo, ora all’Acea, sarebbe clamorosa. La nomina dovrebbe essere avallata dall’Ad di Cdp, Dario Scannapieco, che non è un estimatore del predecessore. Nelle ultime ore è emerso anche il nome di Vito Cozzoli, già Ad di Sport e Salute dal 2020 al 2023 e capo di gabinetto allo Sviluppo economico con i ministri Federica Guidi, Luigi Di Maio e Giancarlo Giorgetti. Dal aprile è Ad di Autostrade dello Stato, la società del Mef costituita per diventare il contenitore delle autostrade a pedaggio che fanno capo all’Anas. Il passaggio in Aspi, sostenuto dalla Lega, sarebbe un salto notevole.
Quest’anno è scaduto il Pef di Aspi. La società dice che i costi sono esplosi a 35 miliardi rispetto ai 14 del Pef 2021. Nelle richieste ci sono anche gli investimenti per la Gronda di Genova e il passante di Bologna, opere per le quali Aspi incassa aumenti dei pedaggi già da molti anni. Le altre concessionarie guardano con attenzione a quello che succederà in Aspi, pronte a mettersi in scia.
Tra queste l’altro gigante, Astm di Beniamino Gavio, erede di Marcellino, l’imprenditore di Tortona che ha allevato “nel suo cortile” Fabrizio Palenzona, per 18 anni presidente dell’Aiscat, l’associazione-lobby delle concessionarie, attivissimo nell’ottenere aumenti dei pedaggi per i Benetton e per Gavio. Quando ha dovuto lasciare la poltrona, nel 2021, si è fatto nominare nel collegio dei probiviri dell’Aiscat ed è tuttora presidente di Aiscat Servizi (scade in primavera). La partita nomine riguarda anche la presidenza Aiscat, scoperta dopo l’uscita di Diego Cattoni, Ad dell’AutoBrennero, e manca anche il direttore generale. Il puzzle non si potrà comporre finché non si definisce il vertice Aspi.
Rinnovo delle convenzioni e aumento dei pedaggi sono terreno fertile per lobbisti. L’Astm ha come presidente Angelino Alfano, l’ex pluri-ministro di cui Silvio Berlusconi lamentava che “non ha il quid”. Alla Brebemi, in profondo rosso (-69 milioni nel 2023) il vicepresidente è il leghista Giuseppe Bonomi, ex presidente di Alitalia. Si segnala l’aumento della presenza della famiglia Dogliani, che dopo una lunga battaglia legale a dicembre scorso ha rilevato dall’Astm le tratte Torino-Piacenza e la tangenziale di Torino, 462 km che valgono 300 milioni di ricavi all’anno.
Intanto le autostrade macinano utili a valanga. Aspi nel 2023 ha aumentato i ricavi a 4.328 milioni, l’utile netto è diminuito da 1.130 a 878 milioni, ma nei primi nove mesi del 2024 è aumentato del 7% a 867 milioni. Sono aumentati però anche i debiti netti, 9.768 milioni al 30 settembre, rispetto a 8.117 milioni di fine 2022. Astm nel 2023 ha aumentato i ricavi da 3.373 milioni a 4.023 milioni (di cui 1.500 in Italia e 1.005 in Brasile), l’utile netto d da 39,8 a 188,4 milioni. Tra le più ricche l’A22 AutoBrennero, con l’utile netto che è pari a 73,2 milioni, in calo dai 91 milioni del 2022 solo per il venir meno di proventi straordinari. La concessione è scaduta nel 2014, solo a fine 2024 il Mit ha pubblicato il bando per metterla a gara per altri 50 anni. Ci sono 5 pretendenti, tra cui la stessa A22, Aspi, Astm e la A4 Holding, che gestisce la Brescia-Padova, l’autostrada più trafficata e più ricca d’Italia. Di chi è l’A4? Il 90% è della spagnola Abertis, che è posseduta al 50% da Florentino Perez e al 50% dai Benetton.