Anteprima, 13 febbraio 2025
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Biografia di Marisa, detta Maria
Marisa, detta Maria, Tipo (1931-2025). Pianista. «Sua maestra, la mamma Ersilia Cavallo, alla quale aveva insegnato il piano un discepolo del leggendario Anton Rubinstein mentre per la composizione aveva frequentato Ferruccio Busoni, concertista formidabile e autore tanto geniale quanto tuttora poco compreso. Ogniqualvolta la madre la mostrava come suonare un passaggio, lei le scostava la mano, perché capiva al volo quel che andava fatto sulla tastiera. Maria Tipo aveva girato il mondo in lungo e in largo con un repertorio incentrato sulla tradizionale triade classicismo-romanticismo-impressionismo, vale a dire da Mozart e Beethoven fino a Debussy e Ravel. Ma tra i suoi cavalli di battaglia c’erano anche le Variazioni Goldberg di Bach, affrontate quando ancora non era consueto ascoltarle in teatro o in disco. Inoltre ebbe il notevole merito culturale di aver rimesso in circolazione le Sonate di Muzio Clementi, compositore che tanta influenza ha avuto su Beethoven. Né si possono scordare le sue letture delle Sonate di Scarlatti, cristalline, in punta di dito, insaporite a seconda dei casi d’arguzia, sentimento, brio, malinconia. Scarlatti era napoletano come lei: forse proprio tale comunanza d’origine le ha consentito di comprenderne appieno lo spirito mutevole, pazzerello eppure profondamente nostalgico. Attorno ai settan’anni Maria Tipo aveva abbandonato il palcoscenico. “Dopo mezzo secolo di carriera non sentivo proprio la necessità di suonare all’infinito: e avrei potuto ritirarmi anche prima!”, confessò allora. Stanca di star fuori casa più di trecento giorni all’anno e, soprattutto, della solitudine: “Si viaggia, si mangia, si dorme da soli. C’è il concerto, sì, ma dura solo un paio d’ore, e poi si è di nuovo soli con se stessi”. Una ‘vita dura’ costruita intorno a una carriera fulgida e consapevole (“non basta suonare tutte le note per fare la musica, però per fare la musica ci servono tutte le note”) completata da una profonda vocazione didattica. Fu, infatti, insegnante ricercatissima: più di ottocento allievi – tra cui Andrea Lucchesini, Pietro De Maria, Nelson Gorner, Ricardo Castro, Fabio Bidini, Filippo Gamba, Enrico Stellini, Alessandro Marangoni, Michele Gamba – sono passati dai corsi che ha tenuto nei Conservatori di Bolzano e Firenze, a Ginevra, alla Scuola di musica di Fiesole. “Ho avuto studenti da tutto il mondo”, raccontava. “Tra l’altro è molto singolare che un concertista abbia l’attitudine all’insegnamento. È stato duro dividermi tra due attività così impegnative. Sono sempre stata convinta che il talento non si può insegnare. Così, quando l’ho intravisto, ho fatto di tutto per coltivarlo, sempre nel rispetto delle diverse personalità. Il risultato è che ciascuno dei miei allievi è differente dagli altri e segue il proprio percorso artistico e di vita. Con moltissimi conservo rapporti di grande stima e affetto”. Ma di essere soltanto artista Maria Tipo non si accontentò mai. “Ho sempre perseguito l’obiettivo di essere una donna completa, perché come pianista e basta non potevo realizzarmi del tutto”. Dunque la figlia Alina, violinista, e i due matrimoni, “fette importanti di vita, benché poi siano finiti», con il chitarrista Alvaro Company e il pianista Alessandro Specchi. Tanti i ricordi indelebili che raccontava. Per esempio quando, appena finita la guerra, la madre la portò a Roma da Alfredo Casella, pianista, compositore e direttore d’orchestra allora torturato da un brutto male allo stadio avanzato. “Lo vedevo tra un’operazione e l’altra; il più delle volte faceva lezione in vestaglia. Era molto tenero, però. E lodava tanto il mio legato. Se era carismatico? Per chi sapeva comprenderlo. Tanto che di lui si potrebbe dire che fosse niente fumo e tutto arrosto”. A diciassette anni Tipo vinse il prestigioso Concorso di Ginevra che la rivelò al mondo. “Così ebbi la prova che potevo fare sul serio e, improvvisamente, divenni conscia delle mie responsabilità. Infatti, benché avessi debuttato a quattro anni, i miei genitori avevano sempre rifiutato di spacciarmi come bambina prodigio, consapevoli com’erano che una personalità artistica autentica si costruisce solo con il tempo e lo studio. Altrimenti rischia di bruciarsi subito. Tuttavia, anche dopo Ginevra, l’avvedutezza didattica di mia madre non cessò di stare all’erta. Ecco che allora, su suo consiglio, rifiutai una lunghissima tournée americana. Dovevo ancora farmi le ossa, ripeteva”. E ancora, altre memorie. “Quando il mio nome non era ancora famoso, mi sono ritrovata a suonare con i più grandi. Poi, con il tempo, la situazione si è ribaltata ed ero invece io a suonare con direttori giovani. Una volta, per un concerto al festival di Montreux, il direttore si ammalò. C’era disponibile solo un giovane sconosciuto, che da poco si era aggiudicato un importante premio. Non ebbi nulla in contrario. Il concerto fu strepitoso. Quel direttore si chiamava Riccardo Muti”. Se le si chiedevano consigli per chi volesse che i propri figli studiassero musica, lei rispondeva: “Scelta giusta, perché la musica potrà essere il loro sostegno spirituale nell’età adulta, al pari della letteratura, della filosofia... Ammonirei però i genitori: prudenza nell’instradare un figlio alla carriera, a meno che non abbia doti davvero straordinarie”» [Moppi, Rep].