Tuttolibri, 29 aprile 1978
Reportage a casa di Astrid Lindgren, autrice di Pippi Calzelunghe
«Si era nel 1941. Mia figlia Karin, allora sei anni, era a letto molto malata. Aveva la polmonite. Ogni pomeriggio e ogni sera, per cercare di farla dormire, le raccontavo una storia. La storia inventata da me di una bambina che faceva tutto quello che voleva. A questa bambina non avevo pensato di dare un nome, ma mia figlia un giorno disse di chiamarla Pippi. E così nacque Pippi Calzelunghe. Poi Karin guarì e non ne parlammo più».
Siamo a Stoccolma, a casa di Astrid Lindgren, la famosa scrittrice di letteratura infantile. Vive sola in un alloggio di sei camere al primo piano di una strada che dà su uno dei più bei parchi della capitale svedese. Un parco che fa parte della sua storia di scrittrice. «Si era ancora in guerra, agli inizi del 1944 e mia figlia stava per compiere dieci anni. Appunto perché c’era la guerra non potevo trovare niente che mi soddisfacesse per farle un regalo, un giorno, in marzo, uscii nel parco per fare una passeggiata. C’era tanta neve e tanto ghiaccio. Scivolai, caddi e mi ruppi una gamba. I medici mi dissero che per almeno due mesi non potevo andare in ufficio (facevo la stenografa in una ditta che smerciava stoffe). Mi venne in mente allora di scrivere le storie di Pippi Calzelunghe raccontate a mia figlia e di far pubblicare il libro come regalo. Ecco perché, forse, non ho voluto lasciare questo alloggio e questo parco».
Il manoscritto, «pronto in un lampo», fu inviato da Astrid Lindgren a una casa editrice, che lo respinse «perché non adatto ai bambini e praticamente incomprensibile». Il tempo incalzava. «Il compleanno era il 25 di maggio» e la signora cercò in tutta fretta un altro editore. Qui il libro fu accolto con entusiasmo e pubblicato immediatamente. Quell’editore non ha avuto da pentirsene: Astrid Lindgren gli ha affidato poi gli altri suoi trentadue libri, nonché tutte le illustrazioni, i commenti dei disegni e i manoscritti per i film e i lavori teatrali.
A che cosa attribuisce lo straordinario successo di “Pippi Calzelunghe”?
«L’ho capito solo dopo molti anni. Bertrand Russell ha scritto: “I bambini sognano il potere esattamente come i grandi sognano l’erotismo”. Ecco, Pippi Calzelunghe è la rivolta dei bambini, è la realizzazione dei loro sogni, è la rivincita contro il predominio spesso assurdo dei grandi. Senza saperlo, senza rendermene conto, avevo colpito giusto. In Pippi Calzelunghe c’è una bambina che è fiera, che è forte, che fa cose straordinarie. Non c’è nessuno che la annoi ogni volta dicendole di andare a dormire, di mangiare, di fare i compiti, di stare brava. Una bambina indipendente, insomma. Mio marito diceva sempre: “Pippi non è un libro, è una scoperta”. E aveva ragione. Trovo strano che nessuno prima di me avesse fatto questa scoperta. In fondo non s’è trattato che di concretizzare in parole il magnifico sogno di una bambina».
Gli occhi della signora Lindgren sprizzano commozione e felicità quando parla dei bimbi. Si capisce la sua grande passione per il tipo di letteratura infantile che proprio lei rappresenta. Tutti i suoi discorsi, i suoi gesti, i suoi ricordi vertono sui bambini. Dice: «Vorrei averli qui tutti, tutti davvero. I bambini di tutto il mondo. Quelli che mi scrivono, mi conoscono, e quelli che non mi scrivono e non mi conoscono. Vorrei averli tra le mie braccia e dare loro tanta felicità».
Astrid Lindgren ha superato i settant’anni. Alta, magra, sorridente, serena, si muove rapida nel suo alloggio, tra i suoi libri e i suoi ricordi. È vedova da ventisei anni, ma la solitudine non le pesa per niente. Vede sovente i suoi due figli e i sette nipoti, ma vuole vivere da sola, nel suo grande alloggio davanti al suo parco.
Signora, cosa fa tutto il giorno?
«Le mie giornate passano in un lampo. Ricevo decine e certi giorni anche cento e più lettere, e rispondo a tutte. Sono per il 99 per cento di bambini che hanno letto un mio libro o una mia storia. E non posso mica non rispondere».
Che cos’è accaduto dopo il successo di “Pippi Calzelunghe”? «Ho scritto un altro libro, Britt Marie apre il suo cuore, che ottenne un premio letterario. Da allora ho continuato a scrivere. È stato come una slavina, che non si è più arrestata perché ha sempre trovato tanta neve sul suo cammino...».
In quante lingue sono stati tradotti i suoi libri?
«Quarantaquattro, e questo è il problema, perché ricevo lettere, praticamente, in tutte queste quarantaquattro lingue, e io, oltre al francese, all’inglese e al tedesco, non so nient’altro. Devo quindi sempre ricorrere ad aiuto a destra e a sinistra. A proposito, sa mica il polacco? Dovrei rispondere ad una bambina di Varsavia. La lettera è già qui da tre giorni. Non voglio proprio far aspettare quella povera creatura...».
Assai famoso è anche “Emil di Lonneberga”. Chi è Emil?
«Emil è mio padre. E il mondo che ho descritto è quello che lo circondava quando era bambino. Mio padre mi raccontava sempre tante cose, e io le ho ricordate quando ho scritto il libro. Anche qui appare il bambino birichino, proprio come debbono essere i bambini. Perché non dovrebbero fare i capricci. Ma è un assurdo! Il loro mondo è così bello, è straordinario, è stupendo. Non io riavranno mai più. Nella vita, lasciamoglielo godere, il libro lo racconta, questo mondo, questi giochi, questi sogni. Si tratta di una fiaba che i bambini vivono davvero, intensamente e tutta».
Quando legge i suoi libri, alla radio, lo fa con voce tranquilla. Niente toni drammatici, niente alti e bassi della voce. Perché?
«Perché io, quando parlo alla radio, mi sento come davanti a uno dei miei figli o dei miei nipoti. Parlo come se parlassi a loro, come se contemporaneamente gli accarezzassi una guancia o la fronte. In quei momenti, io rivivo i miei libri, le mie storie, e appunto per questo mi piace raccontarli con voce piana, quasi in attesa che i miei bimbi si addormentino felici...».
In genere, lei scrive tre libri per ognuno dei suoi personaggi. Perché tre? Non ha mai pensato a dare un ulteriore seguito?
«No. Tre libri per personaggio mi vengono spontanei. Poi mi fermo. Per Pippi e per Emil potrei scriverne altri venti, di libri, ma so già che sarebbero uno peggio dell’altro: io, i miei libri, li vivo davvero quando li scrivo, e li lascio con molto rimpianto. Quando ho finito il terzo libro di Emil ho pianto molto, lo dico sinceramente. Mi spiaceva tanto lasciare un personaggio così. Ma il personaggio lo si deve abbandonare, prima o poi. È meglio pensare ad altro, creare qualcos’altro, vivere... con un personaggio nuovo. In fondo, è il destino della vita».
Nei suoi libri, in lei, c’è una infinità di sentimenti. Traspare un amore immenso per l’infanzia. Non è un po’ strano, dato che nell’Europa del Nord non si ha per la famiglia l’affetto che c’è in altre parti del Continente, ad esempio in Italia?
«Non sono d’accordo. Penso che in Italia i bambini vengano tanto viziati e tanto baciati. Noi, invece, viziamo e baciamo di meno. Ma non per questo non amiamo i nostri bambini, tutt’altro. Nella letteratura nordica vi sono molte fiabe e racconti per i bimbi. Forse è un modo di dimostrare il nostro amore per loro».
Come giudica la letteratura infantile attuale?
«Quantitativamente, non c’è alcun problema. Ne abbiamo in abbondanza. Un giudizio qualitativo è, per contro, assai difficile, in quanto la moda, diciamo così, della letteratura infantile varia di parecchio. Prima c’erano le fiabe, poi la realtà nuda e cruda, poi l’indottrinamento, specie politico, quello religioso c’è sempre stato. Io ritengo che il bambino abbia diritto a vivere nel suo mondo, a giocare prima di imparare. Non è stato forse terribile quando si diceva che il bambino doveva apprendere tutte le cattiverie, le brutalità, la realtà del mondo, in modo da divenire forte e conscio del suo ruolo nella vita? Per fortuna, oggi stiamo tornando alle fiabe. Penso che sia necessario e che sia molto bello che i bambini, almeno per un periodo della loro vita, credano proprio alla bellezza della vita stessa. Un giorno saranno di fronte alla realtà, ma almeno avranno vissuto un bel sogno. E io credo che i bambini che hanno avuto un ’infanzia serena e sicura abbiano le migliori possibilità di affrontare degnamente i problemi della vita. Per conto mio, non credo a ricette specifiche per i libri dei bambini. Perché chiedere: come dev’essere un libro per i bimbi? Deve essere solo bello, tutto qui, deve accontentare il bambino, deve soddisfare la sua curiosità, più che insegnargli qualcosa, deve farlo felice. Perché nessuno chiede come dev’essere un libro per gli adulti? Ma lasciamoli stare in pace, questi bambini... Diamo loro, nei libri, i loro sogni, e saranno più che felici».
Per scrivere i suoi libri si è ispirata a qualcuno?
«Assolutamente no. Scrivo come pensavo quando ero bambina».
Allora sono il racconto dei suoi sogni, delle sue birichinate?
«In gran parte sì».
Come giudica i bambini di oggi?
«C’è stato un cambiamento, dai miei tempi, ma non vorrei pronunciarmi in senso negativo. Tutt’altro. Oggi i bambini sanno di più, conoscono di più, hanno altri interessi. La televisione prende mollo del loro tempo e li indirizza in modo diverso. In un certo senso, è un peccato che i bambini di oggi leggano di meno. Ed è poi un grosso peccato che i genitori abbiano assai meno tempo per i loro figli. In genere, nel mondo infantile, c’è oggi minor fantasia e minor curiosità intellettuale. Non posso esimermi dal ritenere che le fiabe siano per i bambini una cosa meravigliosa, che non dovrebbe mai essere abbandonata o rimpiazzata. In fondo, le fiabe sono i simboli del più profondo della nostra vita. Lasciamo che i bimbi di oggi e di domani ne godano, come hanno fatto i bimbi di ieri». Nella sua lunga vita di scrittrice, dice, ha guadagnato tanti soldi, dei quali non ha mai saputo che fare. L’87 per cento va in tasse, e ritiene che sia giusto. Si è ribellata una volta sola, quando un complicato gioco del fisco le impose una tassazione del 102 per cento. Scrisse allora quella famosa “Saga di Pomperipossa” che tu uno dei fattori determinanti della caduta del governo socialdemocratico di Palme. Vive semplicemente, nella casa di quarant’anni fa. Non ha un aiuto, fa tutto da sola?
«Non ho mai avuto la macchina, non ho mai comprato gioielli o vestiti eleganti».
Appare di una semplicità esemplare. La sua casa è piena solo di libri, i suoi mobili sono quelli della nonna, ma ovunque regnano ordine e pulizia. Viaggia molto, signora Lindgren?
«Abbastanza. Più che altro in Svezia, ove la natura è stupenda e mi dà sempre una gioia immensa. Vado qualche volta all’estero. In Italia: in Sicilia e in Sardegna. Posti incantevoli. Però, più di tutto, mi piace stare a casa mia»