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 2025  gennaio 10 Venerdì calendario

La crisi dei negozi in via del Corso a Roma

L’ingresso in via del Corso da piazza del Popolo dovrebbe essere l’antipasto che apre lo stomaco e fuor di metafora il portafogli, a chi ha voglia e possibilità di fare shopping. Invece, una dietro l’altra, da entrambi i lati della storica strada degli acquisti, ci sono una serie di vetrine e serrande chiuse. A sinistra, subito dopo il grande portone al civico 4, si susseguono i tendoni neri che coprono le cinque vecchie vetrate del cinema Metropolitan. Di fronte, altre cinque serrande abbassate. Erano negozi, ora somigliano più a dei foschi presagi. Perché continuando a camminare lungo via del Corso tra attività commerciali ed ex sedi di banche, sono quattordici i locali chiusi. Significa centinaia di metri quadrati di spazio inutilizzato in uno dei luoghi, in teoria, più commerciali della città.Al posto delle serrande abbassate davanti all’ex cinema, fino a una decina di anni fa c’erano due negozi di scarpe. Uno di questi, Re Michelle, era un negozio storico con un grande cartello sotto l’insegna: “Solo fabbriche italiane”. Addio anche a “Piero il fichissimo”, altro negozio storico di abbigliamento che sorgeva al civico accanto. Ce n’era un altro ancora, offriva capi firmati: chiuso.Continuando a camminare e spostandosi dal civico 575 al 512 ecco che compaiono altre due vetrine coperte dall’interno con dei fogli di carta rossi e, al centro, un piccolo cartello bianco sempre con la stessa scritta: “chiuso”. Era il vecchio H&M, che poi si è spostato, rimanendo su via del Corso, in locali decisamente più ampi. Ma qui, almeno per ora, al posto del noto negozio di abbigliamento, non c’è nulla. Così come sono rimasti vuoti gli spazi al civico 50, quattro vetrine dove prima c’era Sisley: ancora abbigliamento, ancora un negozio che ha chiuso lasciando il deserto.La passeggiata tra le attività commerciali che un tempo erano piene di clienti e che ora sono solo un ricordo, continua lì dove c’era il primo Yamamay di via del Corso. Negozio di intimo che, anche in questo caso, non è affatto andato in rovina e anzi, si è spostato nellastessa strada in un locale più ampio. Ma nessuno, a quanto pare, riesce a subentrare investendo per aprire una nuova attività.
C’è vita e forse anche speranza, all’interno del negozio al civico 340: anche queste vetrine sono coperte dall’interno, ma dalla strada si sentono i rumori di operai al lavoro. Difficile capire se stanno smontando tutto oppure ristrutturando in vista di una nuova apertura al posto di un altro negozio di abbigliamento: Zuiki. Una famosa catena come Accessorize, ha svuotato il locale un tempo pieno di sciarpe, borse, scarpe e tantissimi altri prodotti che venivano presi d’assalto da ragazze e donne ogni fine settimana. Eppure, all’interno, non rimangono che le pareti colorate ciascuna in modo diverso. Una vivacità che scompare dietro le vetrate opache e impolverate.
Quest’ultimo negozio si trova nella parte alta di via del Corso, nelle vicinanze di piazza Venezia. Lo stesso vale per un’altra attività commerciale che vendeva scarpe e si chiamava Batix. Prima ancora era un negozio di camicie. Ma a parte questi esempi, la maggioranza dei locali che hanno chiuso si trovano nella parte della strada dedicata allo shopping più vicina a piazza del Popolo.
Eppure, la presenza della fermata della metro A, Flaminio, che lascia le persone proprio a due passi, assicura un flusso di acquirenti di non poco conto, soprattutto nel weekend. Certamente un problema rispetto alla clientela esiste: tra chi preferisce fare acquisti su internet oppure evitare il centro perché è difficile raggiungerlo con i mezzi privati, ieri nel pieno del periodo dei saldi, la strada nonera particolarmente affollata. Ma la criticità principale sembra essere un’altra: i costi che aprire un’attività in via del Corso e non solo, comporta.«Nel 2024 hanno chiuso, nel centro storico, tra i 200 e i 300 negozi – spiega il presidente di Confesercenti Lazio Valter Giammaria – Bisogna pensare, infatti, che intorno alle vie principali dello shopping ci sono i negozi delle strade limitrofe che sono i più penalizzati. In centro c’è il 35% del commercio romano, ma i costi fissi aumentano, come i prezzi degli affitti».
Il settore dell’abbigliamento, continua Giammaria, «è quello più colpito, preda anche del commercio online che avendo una tassazione molto più bassa dei negozi offre merce a prezzi bassissimi. Poi ci sono gli oltre due miliardi di euro del giro d’affari che deriva dalla vendita di merce contraffatta. Altra concorrenza sleale. Gli outlet che si vedono anche in via del Corso sono un segno della crisi. Le istituzioni a tutti i livelli dovrebbero porsi seriamente il problema delle chiusure, ma nessuno tutela i negozi di vicinato». Ieri, tra i negozi con più persone all’interno, oltre alle marche più gettonate come Zara, mango ed H& M, c’erano proprio gli outlet. Che ormai sono di diverso tipo: grandi locali con tre o quattro vetrine che espongono enormi scritte offrendo sconti su capi firmati fino al 70%. La stessa formula, però, viene scelta anche da negozi decisamente più piccoli che sembrano offrire l’occasione imperdibile: un golf griffato, magari di un buon tessuto, ma di vecchie collezioni.Infine, capitolo banche: lungo via del Corso ci sono due grandi spazi, da centinaia di metri quadrati ciascuno, che erano occupati da istituti di credito. Per dare l’idea dell’ampiezza, basti pensare che ciascuna occupa quattro numeri civici. La sede della Banca Nazionale del Lavoro e quella del Monte dei Paschi di Siena sono completamente deserte all’interno e questi spazi, a maggior ragione perché enormi e particolarmente costosi, è difficile che trovino una nuova destinazione, lasciando un immenso vuoto.