Il Messaggero, 10 gennaio 2025
Quanto costa l’isola più grande del mondo?
Donald Trump l’ha detto chiaramente, potrebbe usare la forza militare o quella economica per espandere gli Stati Uniti fino a inglobare la più grande isola del mondo, la Groenlandia, che diventerebbe lo Stato più vasto fra i 50 più uno degli Usa. Peccato che la Groenlandia sia territorio autonomo della Danimarca, membro dell’Ue, che conserva il controllo della sua politica estera e di difesa. In prospettiva, un referendum potrebbe regalare ai 56 mila abitanti, forti di un Pil pro capite di 57 mila dollari, superiore alla media dell’Ue, la piena indipendenza in pochi anni. Ma non è escluso che gli Inuit, l’88 per cento della popolazione, siano in fondo propensi a farsi comprare. L’Economist la mette giù con il solito spirito da impero britannico, immaginando che Trump getti un po’ di carne rossa davanti all’orso polare, simbolo della Groenlandia.E il settimanale politico-economico di Londra calcola quanto potrebbe costare a Trump, presidente Maga degli Stati Uniti, il “deal”, l’affare, del secolo. Una prima stima, frutto di un bilancio tra costi, spese e prospettive di crescita nel futuro non proprio immediato, a partire dal dato attuale di 3 miliardi di dollari come Pil, porta la cifra a 50 miliardi di dollari. Sull’unghia. E, dice l’Economist, sarebbe pur sempre un affarone, certamente per l’America di Trump, forse anche per gli Inuit. A patto che non si facciano conquistare dal miraggio polare del guadagno facile e non slittino nella deriva della “corruzione”.L’Economist riporta i precedenti: l’acquisto della Louisiana da parte del grande presidente Thomas Jefferson nel 1803, un raddoppio netto delle dimensioni del Paese all’epoca. E 64 anni dopo, la mossa di William Seward, l’allora segretario di Stato americano, che si aggiudicò l’Alaska per 7.2 milioni di dollari, pari a 162 milioni di oggi. Più una stangata che una compravendita. Per di più sulla pelle e le spalle della Russia, che oggi, seriamente, interviene il giorno dopo le rivendicazioni di Trump sui ghiacci polari, affermando il proprio interesse strategico alla Groenlandia. Quasi un inizio di asta, con la Danimarca nella posizione più “politicamente corretta” di dire che però a decidere sul proprio destino devono essere i groenlandesi. Ma poi che cosa acquisterebbe l’America trumpiana, oltre al privilegio di fregiarsi del titolo di proprietaria della più grande isola del mondo?Un suolo e sottosuolo che ha potenzialmente la ricchezza di ben 43 minerali presenti sui 50 che sono considerati necessari per mandare avanti l’economia mondiale. In corso anche trivellazioni e perforazioni petrolifere e minerarie in 170 siti, rispetto ai 12 di appena un decennio fa, ma potrebbero essere di più se i groenlandesi decidessero di allargare le maglie delle concessioni. Ci sono anche i costi da mettere nel conto, ovviamente. Il governo danese versa 500 milioni di dollari l’anno per pagare gli stipendi ai dipendenti pubblici, pari al 43 per cento della popolazione attiva (rispetto al 15 di quella in Europa). Un’azienda-Stato. L’avvenire è luminoso. L’Economist annota che i pozzi al largo della costa groenlandese potrebbero produrre 52 miliardi di barili di petrolio, ossia il 3 per cento delle riserve mondiali certificate su una stima del 2008. Inoltre, il riscaldamento globale per gli Inuit sarà altra manna dal cielo, perché negli ultimi tre anni si sono sciolti ghiacci su un’area vasta come tutto il Massachusetts e le nuove terre pian piano si aggiungono a quelle che potranno dar vita a una vera e propria “autostrada” del Nord, a corridoi di comunicazione che trasformerebbero l’isola in un hub fondamentale per le vie commerciali fra continenti. Già adesso ci sono basi militari, addirittura aerospaziali, che domani andrebbero ad arricchire il carnet. I 50 miliardi di dollari, in fondo, sono un buon prezzo. E allora non è strano vedere l’aereo di Trump sulla pista ghiacciata dell’aeroporto internazionale di Nuuk, nel nuovo Eldorado. Business is business.