Anteprima, 30 dicembre 2024
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Biografia di Cesare Ragazzi
Cesare Ragazzi (1941-2024). Imprenditore bolognese. «È morto a 83 anni per un malore improvviso. Raccontò che la sua idea geniale, dopo aver venduto la sua azienda a un fondo finanziario londinese nel 2011, gli era venuta dai film western: “I film di allora erano quasi tutti di indiani e cow-boy e gli indiani scalpavano i cow-boy come trofeo. Allora io ho pensato che se una cosa si tira via, si può anche mettere”. Nacque così, nella sua mente fervida di immaginazione, il concept del parrucchino naturale, che rese Cesare Ragazzi un pioniere della materia, ma anche un personaggio televisivo noto in tutto il paese, con l’inconfondibile sorriso a trentadue denti, la chioma fluente e quel cordiale “Salve, sono Cesare Ragazzi” che proiettava direttamente nel suo mondo di benessere ritrovato. L’imprenditore bolognese si era fatto letteralmente dal nulla: nato a Bazzano nel 1941, a 8 anni Cesare Ragazzi iniziò a lavorare vendendo brustolini al cinema e facendo il fattorino da un meccanico. “In famiglia eravamo dei braccianti che andavano a lavorare dai contadini. Dai 18 anni fino ai 23 anni ho fatto 17 lavori”, raccontò con orgoglio, senza nascondere le origini umili. Ha venduto porta a porta le pentole antiaderenti, gestito un circolo ricreativo a Bazzano, lavorato in fabbrica e persino suonato la chitarra in un gruppo che riecheggiava i Nomadi, I Vagabondi appunto, in cui faceva anche la seconda voce (“fu in quelle serate che conobbi Lucio Dalla” che diventò poi suo cliente). Per sbarcare il lunario gestì anche i calcio balilla che installava dentro i bar. Erano i tempi in cui chi partiva dal basso cercava di avere le cose che i figli dei ricchi avevano, “come la bicicletta”. Per andare a scuola, raccontava, faceva sei chilometri a piedi, anche in un metro e mezzo di neve. Negli anni Sessanta la svolta: tutto nacque da una crisi personale, la perdita improvvisa dei capelli e la voglia folle (per l’epoca) di riprenderseli. Cesare cominciò a studiare il problema della calvizie e riuscì a inventare una protesi tricologica, ovvero un trapianto non invasivo applicato direttamente sul cuoio capelluto, attraverso un nastro: lui stesso lo definì, senza tanti giri di parole “un parrucchino di capelli naturali”. Grazie a un’indovinata campagna pubblicitaria – Ragazzi fu uno dei primi imprenditori italiani a metterci la faccia, comparendo direttamente nelle réclames televisive – negli anni Ottanta e Novanta diventò un personaggio noto in tutta Italia, finendo pure nei salotti di Fabio Fazio, di Giorgio Panariello e di Maurizio Costanzo. “Ho creato in Italia 80 centri altri 18 all’estero – raccontava –. Io ho sempre detto che è meglio pensare in grande che in piccolo e per questo ho voluto espandermi. Ricordo che un giorno ho firmato così tante cambiali che mi hanno ingessato il braccio. Il primo negozio che ho aperto all’estero è stato in America e sapevo a malapena dieci parole in inglese, mangiare, bere, dormire, volare, taxi. Ogni mese pagavo circa 700 dipendenti”. Ma quello che lo rendeva più fiero, in assoluto, era l’aver donato una seconda vita ai suoi clienti: “Il nostro lavoro ha dato la felicità e il sorriso a milioni di persone, in certi casi era un servizio sociale. C’erano persone, sia uomini che donne, che venivano da me e mi dicevano: ‘Se non trovo una soluzione, la faccio finita’. Questo perché avevano un problema estetico e per alcuni diventava una ossessione”. Sognava di diventare centenario, come la nonna, morta a 106 anni. “Ma se possibile vorrei anche superarla”. La sua azienda ha avuto però anche guai finanziari e giudiziari: nel 2017 patteggiò una pena di due anni e otto mesi per bancarotta fraudolenta, relativa al fallimento del suo gruppo nel settembre del 2009. I reati contestati si riferivano agli anni tra il 2002 e il 2008, quando Ragazzi rivestiva le cariche di presidente, amministratore unico e amministratore di fatto. Alla data del fallimento la società avrebbe accumulato crediti inesigibili per circa 1,7 milioni, che la portarono, appunto, al fallimento. L’accusa parlava di un meccanismo di svuotamento del patrimonio societario a favore di altre società. Beni dell’azienda sarebbero stati distratti e dissipati a favore di società direttamente o indirettamente riconducibili ad alcuni membri della sua famiglia» [Baccolini, Rep].