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 2021  marzo 09 Martedì calendario

Biografia di Cavour

Cavour campò una cinquantina d’anni e per quattro quinti della sua vita fu un qualunque cittadino del Regno di Sardegna.
I primi quattro quinti È il secondogenito di una famiglia torinese molto ricca e, per la legge del maggiorasco (tutto al primogenito, nel nostro caso il fratello, marchese Gustavo), non gli tocca niente. Di fargli fare il prete non se ne parla, la carriera militare gli è preclusa per il suo dichiarato disprezzo per Carlo Alberto (lo salva dall’esilio il fatto che il padre è il capo della polizia), lo mettono perciò a curare gli interessi di una zia piena di debiti che ha proprietà in Francia e questo gli fa fare una grande esperienza di tipo amministrativo: alla fine degli anni Trenta potrebbe essere considerato, con le categorie del nostro tempo, una specie di avvocato-commercialista alla Guido Rossi. Diventa ricchissimo negli anni Quaranta, amministra i mille ettari di Leri che gli ha affidato il padre, specula su ferrovie, grano, banche, scrive di politica per riviste che vanno in mano alla classe dirigente, tutti ne notano acume e preveggenza. Ma re Carlo Alberto, ricambiato, lo detesta ed è escluso che possa far strada nella politica.
 
Ultimo quinto Alla fine del 1847 Carlo Alberto concede che possano circolare giornali politici. Cavour raccoglie denaro tra gli amici e fonda “Il Risorgimento”. Chiede subito Statuto, Parlamento, elezioni. Il re vuole farlo arrestare. Invece, spaventato dalla rivoluzione di Napoli, a febbraio concede tutto. Lo Statuto è pronto a marzo, e a maggio si vota. Cavour entra in Parlamento a luglio e resta semplice deputato fino al 1850, quando diventa ministro di Agricoltura, Commercio e Marina.
Tratti che ne fanno un diverso rispetto ai colleghi: benché pensi in francese, sua lingua madre, pronuncia – con quella vocetta stridula, con quella ridicola forma a palla – dei discorsi di impressionante forza e diviene presto il dominatore della Camera. Secondo tratto: si intende come pochi di economia, disciplina allora pressoché sconosciuta e anche vagamente disprezzata. Insomma, rispetto alla media degli italiani colti anche futuri, è un alieno: niente retorica nazionalista, niente poesia romantica, niente romanzi, un’inclinazione scandalosa alla concretezza e alla velocità d’esecuzione. Si tratta di un non-italiano anche dal punto di vista familiare: la madre è svizzera, la nonna savoiarda.
Nel ’51 è anche ministro delle Finanze, e da ministro orchestra, all’insaputa del suo presidente del Consiglio (Massimo d’Azeglio), l’intesa con la sinistra di Rattazzi che passa con il nome di “Connubio”. Poco dopo, Vittorio Emanuele II, di malavoglia, è costretto ad affidargli il governo del Paese, che Cavour terrà – salvo un breve intervallo – fino alla morte (6 giugno 1861, essendo nato il 10 agosto 1810).
Tentiamo adesso di dare un’idea del cosiddetto “decennio” descrivendo alcuni filoni della sua azione politica.
Primo filone, l’anticlericalismo. Basta la formula “Libera Chiesa in libero Stato”, declamata a fine carriera, ma già presente in certi suoi appunti di quando aveva 19 anni, per fare di Cavour un rivoluzionario. Il papa era papa-re, cioè sovrano spirituale per il mondo e sovrano assoluto per volontà di Dio su un territorio che comprendeva Lazio, Umbra, Marche, Emilia, Romagna. Solo ipotizzare che questo “potere temporale” potesse venir meno significava bestemmiare. Sul piano pratico, Cavour si guadagnò i suoi primi anatemi già da ministro favorendo il varo delle leggi Siccardi che consentivano anche allo Stato di celebrar matrimoni («lo Stato vuole amministrare un sacramento!»), proibivano al clero di avere tribunali suoi, abrogavano il “diritto d’asilo”, cioè se tu avevi ammazzato la moglie e ti rifugiavi in convento nessuno poteva farti niente. Opposizione violentissima del clero, bisognò mettere in galera l’arcivescovo di Torino. Altra tornata nel ’55: lo Stato aveva bisogno di soldi, e Cavour confiscò i beni dei conventi. Roma lo scomunicò. Abbiamo qui l’esempio, pressoché inaudito se si pensa agli anni nostri, di una classe dirigente allo stesso tempo cattolica e anticlericale.
Secondo filone. La disinvoltura finanziaria. Cavour lasciò uno stato indebitatissimo, e non solo per via della guerra del ’59. Stressò la finanza nazionale, grazie anche ai soldi che gli prestava il Rothschild parigino, per costruire 400 chilometri di ferrovie, ponti, l’arsenale di Genova, il traforo del Moncenisio, la creazione di un sistema bancario.
Terzo filone. L’unità d’Italia, un  incidente di percorso, se vogliamo, a cui Cavour non aveva pensato (anzi, parlandone con Manin nel ’58, l’aveva definita una corbelleria). L’unità d’Italia è un prodotto della politica internazionale, dominata all’epoca da cinque potenze, Francia, Inghilterra, Russia, Prussia, Austria. I prussiani sarebbero stati i nostri alleati naturali, ma era troppo presto. Gli inglesi avevano simpatia per noi solo se al governo c’era Palmerston. I francesi invece erano una garanzia: volevano sostituirsi agli austriaci nel controllo del centro-nord italia e Napoleone III intendeva ridisegnare la carta d’Europa restaurata dal Congresso di Vienna. Quindi Cavour lo incontrò a Plombères, gli promise Nizza e Savoia e lo trascinò nella guerra del ’59, seconda guerra d’indipendenza. L’obiettivo del momento era limitato: creazione di un Regno dell’Italia del Nord, Lombardia e Regno di Sardegna fusi. Ma un pezzo d’Italia, guidata in segreto da Cavour, si consegnò spontaneamente ai Savoia attraverso i plebisciti. E Garibaldi, nel ’60, conquistò il Sud. Mentre il generale avanzava, Cavour corrompeva i generali napoletani e teneva buone le potenze indignate – per vero o per finta – dal pirata.
Qui cala la tela, perché poco dopo Camillo muore. Di malaria? Io dico – senza averne le prove – che Napoleone III lo fece avvelenare, tramite l’ultima sua amante, la ballerina Bianca Ronzani. Cavour aveva manovrato in modo da impedire ai francesi di diventare i padroni d’Italia ed era meglio toglierlo di mezzo. Fosse rimasto vivo un altro po’, la nostra storia sarebbe stata tutt’altra.
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