22 novembre 2024
Tags : Nicolás Maduro (Nicolás Maduro Moros)
Biografia di Nicolás Maduro (Nicolás Maduro Moros)
Nicolás Maduro (Nicolás Maduro Moros), nato a Caracas (Venezuela) il 23 novembre 1962 (62 anni). Politico. Presidente del Venezuela (dal 19 aprile 2013). Già vicepresidente del Venezuela (2012-2013) e ministro degli Affari esteri (2006-2013). Ex presidente dell’Assemblea nazionale (2005-2006). Presidente del Partito socialista unito del Venezuela (dal 5 marzo 2013). «17.800 prigionieri politici, 2 mila vittime di tortura, 8 milioni di venezuelani fuggiti dal Paese, 325 persone uccise durante le proteste e centinaia di desaparecidos. Sino ad oggi questo è il curriculum vitae di Nicolás Maduro da quando, nel 2013, Hugo Chávez lo scelse come suo delfino e gli consegnò il potere chavista» (Paolo Manzo). «L’unica proprietà che possiedo è mia moglie Cilia» • «Figlio di una colombiana e di uno dei più noti leader sindacali della provincia di Caracas, Nicolás Maduro ha seguito le orme del padre ancora adolescente» (Roberta Zunini). «La politica, ce l’ha nel sangue sin da ragazzo. Non si è mai laureato, ma alla scuola superiore passava per “uno dalla mano dura e dai giochi pesanti”, ricordano oggi alcuni suoi vecchi compagni. Amava il rock più della lambada, militava per la “Lega socialista” ma in pochi prendevano sul serio il suo impegno politico. Grazie al fisico possente da giocatore peraltro scarso di baseball ai tempi delle superiori, nel 1983 viene assunto come bodyguard disarmato del candidato presidenziale dell’epoca, il giornalista José Vicente Rangel. Stesso incarico che svolgerà poi anche per Chávez, durante la sua prima trionfale campagna presidenziale, nel 1998. I soldi a casa, però, […] Maduro li porta guidando la metrò e diventando il presidente del sindacato di categoria, anche se, a detta di alcuni colleghi che evidentemente non lo amano, era il macchinista “con più incidenti e assenze nel curriculum”. […] A Hugo Chávez deve tutto. Un’amicizia, la loro, che affonda le sue radici nel golpe tentato nel 1992 dall’allora tenente colonnello dei paracadutisti. Il futuro presidente venne arrestato, Maduro cominciò a fargli visita. Prima con sospetto – si trattava pur sempre di un militare –, poi da amico, sino ad arrivare a percorrere assieme i gradini del Palazzo presidenziale di Miraflores» (Manzo). «Chávez lo volle con sé tra i fondatori del Movimento V Repubblica, il partito bolivariano che nacque in quegli anni tra i giovani ufficiali dell’esercito. Con l’avvento di Chávez in politica, nel 1998 Maduro venne eletto deputato» (Omero Ciai). «La svolta di una vita tutto sommato disordinata arriva grazie alla sua fedeltà a Chávez e, soprattutto, al matrimonio con la moglie Cilia Flores, già presidente del Parlamento come del resto lo stesso Maduro, […] procuratrice generale della Repubblica e pasionaria del Psuv, il Partito socialista unito del Venezuela. Accusato, senza prove, di arricchimento illecito nel 2004 dall’opposizione, nell’agosto del 2006 diventa ministro degli Esteri ad appena 43 anni. Un record. Nella storia rimangono alcune sue celebri performance, come quando definì il controverso sottosegretario agli Esteri di Bush jr, John Negroponte, un “piccolo funzionario con la fedina penale sporca”, o come quando […] sbatté i pugni davanti a una sbigottita assemblea dell’Organizzazione degli Stati americani per chiedere il ritorno dell’ex presidente Manuel Zelaya in Honduras, rovesciato da un golpe» (Manzo). Gli eventi precipitarono nell’autunno del 2012, quando Hugo Chávez (1954-2013), appena confermato presidente ma sempre più provato dal cancro, decise dapprima, in ottobre, di nominarlo vicepresidente, per poi, la sera dell’8 dicembre, consacrarlo pubblicamente quale suo erede politico. «Non era un arrivederci, sembrava un addio il discorso televisivo […] del presidente venezuelano. Intorno a un tavolo, nel Palazzo di Miraflores, circondato dai suoi più stretti e fedeli collaboratori, Chávez ha ammesso per la prima volta di fronte al Paese quello che ha negato e conservato nel più assoluto segreto per mesi. Il tumore […] non è stato vinto. Il presidente non è guarito nonostante tre interventi chirurgici, la chemio e la radioterapia. E ora, appena due mesi dopo la sua rielezione, la situazione è grave. Tanto grave che il presidente è rientrato da Cuba soltanto per designare un successore in diretta tv, per chiedere “con il cuore” ai suoi militanti di appoggiare un suo delfino, strozzando sul nascere le lotte intestine che potrebbero scoppiare nel movimento chavista se lui dovesse abbandonare la scena senza aver fatto testamento. Così l’ha fatto, da grande leader populista qual è, ed è tornato al Cimeq, l’ospedale dell’Avana. […] “La mia opinione ferma”, ha detto, “piena, come la luna piena, irrevocabile, assoluta è che, se io non fossi in grado di svolgere le mie funzioni e fosse necessario convocare nuove elezioni, voi dovreste eleggere Nicolás Maduro come presidente”. Mentre Chávez parlava, alla sua sinistra Maduro aveva l’aria sconvolta, quasi impaurita. A un certo punto Chávez stava addirittura per passare a Maduro la spada di Bolívar (bastone del comando in Venezuela), ma si è fermato tra gli sguardi attoniti degli altri presenti. Era troppo. Sarebbero diventate simbolicamente dimissioni in diretta e in anticipo» (Ciai). «Perché lui e non altri? Probabilmente per la sua lealtà a Chávez, che lo ha portato, tra i pochi del suo gabinetto, a essere informato puntualmente sull’evoluzione della malattia dell’amico Hugo. […] Nicolás il politico ma anche l’amico e, soprattutto, l’uomo che gestisce i cubani della security a Caracas e dintorni. Insomma, “el hombre” giusto a cui consegnare il Paese del dopo Chávez» (Manzo). Assunta ad interim la presidenza alla morte di Chávez (5 marzo 2013), alle elezioni presidenziali del successivo 14 aprile, nonostante l’autorevole investitura, Maduro prevalse di stretta misura sul riformista Henrique Capriles Radonski, ottenendo il 50,66% dei consensi a fronte del 49,07% dell’avversario (con una partecipazione al voto pari al 79,68% degli aventi diritto), tra non poche denunce di brogli e contestazioni. «Nel primo discorso al Paese, Maduro è apparso incerto. La sua è una vittoria con un sapore di bocciatura che pochi si aspettavano. Secondo i primi calcoli, nelle cinque settimane che sono trascorse dalla scomparsa di Chávez il nuovo leader avrebbe “bruciato” quasi un milione di voti» (Rocco Cotroneo). Una volta proclamato presidente a tutti gli effetti, Maduro assunse immediatamente un atteggiamento autocratico, avocando a sé il potere legislativo, dapprima in formale ossequio alla costituzione vigente grazie all’acquiescenza dell’Assemblea nazionale dominata dalla sua stessa coalizione, e poi, all’indomani della schiacciante sconfitta subita alle elezioni legislative del 6 dicembre 2015 (in cui la coalizione d’opposizione ottenne ben 109 seggi sui 167 totali), esautorando di fatto la nuova Assemblea nazionale in favore del Tribunale supremo di giustizia, opportunamente infiltrato dal regime, e traendo quindi da questo la legittimazione del suo potere sempre più autoritario. La crisi istituzionale si esasperò dopo che, il 21 ottobre 2016, il Consiglio nazionale elettorale (anch’esso legato al regime) ebbe annullato l’indizione del referendum richiesto dall’opposizione per revocare l’elezione di Maduro: in seguito alle tensioni innescate dalle proteste parlamentari e popolari, prontamente represse, il 30 marzo 2017 il Tribunale supremo di giustizia esautorò l’Assemblea nazionale, spogliandola anche formalmente del potere legislativo per assumerlo esso stesso a tempo indeterminato, e revocando contestualmente l’immunità parlamentare. Il tentativo di colpo di Stato fallì grazie al coraggioso intervento del procuratore generale Luisa Ortega Díaz, che l’indomani denunciò sulla televisione di Stato l’incostituzionalità del provvedimento: di fronte a tale inatteso smacco, Maduro ordinò al Tribunale supremo di giustizia di rivedere la propria decisione, e il 1° aprile i poteri dell’Assemblea nazionale furono restaurati, sebbene solo formalmente. Dopo nuove proteste e almeno 29 morti, il 1° maggio 2017 il presidente annunciò la convocazione di un’Assemblea costituente incaricata di riformare la costituzione vigente, con l’evidente obiettivo di esautorare definitivamente l’Assemblea nazionale. Ne risultò una lunga sequela di esecrazioni da parte della comunità internazionale e, soprattutto, un crescendo di manifestazioni di protesta, ferocemente represse dal regime con oltre centosessanta morti, almeno quindicimila feriti e circa cinquemila arresti. Il 16 luglio 2017 si tenne un referendum, indetto dall’Assemblea nazionale e considerato illegittimo dal regime, cui parteciparono oltre 7,5 milioni di venezuelani, esprimendo con quasi il 99% dei voti la loro contrarietà all’istituzione dell’Assemblea costituente e il loro desiderio di mantenere e consolidare la costituzione vigente: ciononostante, due settimane dopo, il 30 luglio, si svolsero come previsto le elezioni dell’Assemblea costituente, che secondo i dati ufficiali avrebbero visto la partecipazione di poco più di otto milioni di elettori, pari al 41,53% degli aventi diritto (dato fortemente contestato dall’opposizione e da osservatori internazionali, che stimarono invece un’affluenza compresa tra l’11 e il 21 per cento). Il nuovo organismo s’insediò ufficialmente il 4 agosto 2017: tra i suoi primi atti, la deposizione, deliberata l’indomani stesso, del procuratore generale Luisa Ortega Díaz, la quale fu quindi costretta ad abbandonare il Paese insieme alla famiglia per evitare arresto e ritorsioni. Ormai dittatore conclamato, Maduro, dopo aver bandito quasi tutti i suoi oppositori, fu confermato alle elezioni presidenziali del 20 maggio 2018 con il 67,84% dei consensi, a fronte però di una partecipazione al voto ufficialmente calcolata in 9,4 milioni di elettori, pari ad appena il 46,07% degli aventi diritto (dato drasticamente ridotto dagli osservatori indipendenti), peraltro nell’ambito di consultazioni giudicate irregolari da quasi tutta la comunità internazionale. «La stragrande maggioranza dei venezuelani non ha dunque accolto l’invito di Maduro ad accorrere ai seggi. Un gesto politico ancor più significativo data la pressione del regime, che, oltre a minacciare gli assenteisti di tagliare loro i sussidi alimentari di Stato, ha anche tentato di intimidire col licenziamento i dipendenti pubblici» (Manzo). Sempre più impopolare in patria come all’estero, il 4 agosto successivo, a Caracas, durante le celebrazioni dell’81° anniversario dell’istituzione della Guardia nazionale bolivariana, il presidente scampò a un attentato condotto con l’uso di droni armati di esplosivo, rivendicato da un gruppo di militari dissidenti, cui seguirono nuove misure repressive; secondo alcuni commentatori l’attacco sarebbe invece stato falsamente organizzato dallo stesso Maduro per giustificare un ulteriore inasprimento della dittatura. Poche settimane dopo, nel tentativo di arginare il crescente dissenso dovuto anzitutto alle disperate condizioni della popolazione, Maduro varò un controverso programma di riforme economiche e finanziarie, popolarmente denominato «“el paquete del hambre”, ovvero “il pacchetto della fame”. […] Dopo avere cercato di controllare per un ventennio i prezzi di ogni bene, compresa la moneta, centrando il solo obiettivo che tali politiche storicamente centrano, ovvero un florido mercato nero, rendere introvabili beni sui mercati legali e la moneta senza valore, ora Maduro ha deciso di aumentare il prezzo del gasolio di un milione e 400 mila per cento […] e quello della benzina del 700 mila per cento, eliminando 5 zeri dal bolívar: moneta passata per decreto da “forte” a “sovrana”, nella folle speranza che cambiare nome possa fermare un’inflazione annua al milione per cento (fonte Fmi). In altre parole: un pollo che, pochi giorni fa, costava 14 milioni di bolivares “forti” oggi con il nuovo conio ne vale “solo” 140. Nulla cambia, però» (Manzo). «Il 23 gennaio del 2019 il presidente dell’Assemblea nazionale Juan Guaidó, leader dell’opposizione, si proclamò presidente pro tempore con l’intenzione di deporre Maduro e indire nuove elezioni. Guaidó ricevette immediatamente il riconoscimento degli Stati Uniti e di quasi tutta l’Europa. Ma non del nostro Paese, che (su iniziativa grillina) si tenne neutrale. Né della Chiesa. […] Ma la guerra civile non ci fu. E Maduro, forte di un evidente sostegno di parte della popolazione, restò al suo posto. Malgrado le sanzioni imposte al Venezuela» (Paolo Mieli). A fine 2022, «con 72 voti a favore, 29 contro e otto astensioni, il Parlamento venezuelano ha messo fine al governo ad interim di Juan Guaidó in Venezuela. […] Il governo di Guaidó sarebbe diventato una struttura burocratica con ambasciatori, personale, commissioni e bilancio. Solo a marzo del 2022, il programma di sicurezza e difesa della democrazia del governo ad interim è costato 35 milioni di dollari. Le accuse di malversazione di fondi e corruzione hanno dunque portato alla fine dell’incarico» (Rossana Miranda). «I suoi propagandisti lo raffigurano come un eroe in mantella, “Súper Bigote” (cioè, Super Baffo), un fumetto che vola e sconfigge i nemici della patria. Ma Nicolás Maduro, presidente del Venezuela, finora ha dimostrato soltanto un vero superpotere: una straordinaria abilità di restare aggrappato al comando. […] Nel 2019 Maduro era dato per spacciato. […] Contro ogni previsione Maduro è restato al comando. Da qui in poi inizia la seconda fase del tentativo di risalire la china. Si comincia con la guerra in Ucraina per arrivare alle notizie più recenti: il referendum per annettere una grossa fetta della Guyana, Paese ricco di petrolio e confinante col Venezuela. Dopo la vittoria del “sì” – la vera affluenza in realtà è stata scarsa […] – Maduro il 5 dicembre [2023 – ndr] ha ordinato la creazione di un nuovo Stato venezuelano, la Guayana Esequiba. […] Facciamo un passo indietro. Nel 2022, con l’invasione dell’Ucraina, il pendolo delle relazioni internazionali è girato in favore di Maduro. L’America di Joe Biden ha dovuto ricalibrare il rapporto con gli Stati petroliferi. È partita una caccia globale ad alternative al greggio russo. Così gli Usa hanno corteggiato l’Arabia Saudita, hanno lasciato che l’Iran – nonostante le sanzioni – esportasse più petrolio. Infine è stato ripensato anche l’isolamento di Maduro. Il Venezuela detiene il 20% delle riserve petrolifere accertate del mondo, più di qualsiasi altro Paese. […] Ecco il piano di Biden: allentare la morsa economica, a patto però che Maduro accetti di ripristinare la democrazia. […] All’inizio, con gran sorpresa degli scettici, era stato fatto un passo avanti notevole. Il 17 ottobre scorso, alle Barbados, membri del governo e dell’opposizione hanno trovato un accordo per aprire la strada a elezioni presidenziali libere nel 2024. Il giorno dopo si è capito cosa aveva convinto Maduro. Il 18 ottobre Biden ha annunciato la revoca immediata della maggior parte delle restrizioni imposte al settore energetico, aurifero e finanziario del Venezuela. […] Super Baffo sta forzando pericolosamente la mano di Biden. Ha indetto un plebiscito surreale per inglobare un pezzo di Stato sovrano. Sulla Guyana il Venezuela accampa da sempre delle rivendicazioni e Maduro ha pensato che il referendum lo avrebbe reso più popolare. Ma l’affluenza scarsa ha dimostrato il contrario» (Tommaso Carboni). In quanto alle elezioni presidenziali, esse furono effettivamente indette per il 28 luglio 2024, senza però che fossero rispettati gli accordi stipulati alle Barbados il 17 ottobre 2023, che avrebbero dovuto garantirne la regolarità. «Contenuto dell’intesa: il diritto di ogni attore politico a selezionare i suoi candidati; garanzie elettorali; elezioni presidenziali nel secondo semestre del 2024. Ma Maduro li ha clamorosamente violati, prima confermando la inabilitazione che ha impedito la candidatura di María Corina Machado, plebiscitata alle primarie della opposizione del 22 ottobre 2023 con 2.253.825 voti, pari al 92,35 per cento; poi impedendo la candidatura della sua sostituta Corina Yoris. Alla fine però è stata consentita la candidatura dell’ex diplomatico Edmundo González Urrutia. […] Ma, più nei sondaggi aumentava il vantaggio per l’opposizione, più aumentavano gli arresti di oppositori. […] Dopo che Maduro ha minacciato “un bagno di sangue” se non vince, è sbottato persino il presidente brasiliano Luiz Inácio Lula da Silva. […] La critica di Lula si unisce a quella già da tempo esplicita del presidente cileno Gabriel Boric, anche da molto prima che emissari di Maduro uccidessero in Cile un esule venezuelano, e a quella del colombiano Gustavo Petro, sia pure più sfumata. Ma alle critiche di questa che definisce “sinistra codarda” Maduro risponde ostentando l’appoggio di Russia, Cina e Iran e l’asse con Cuba e con il Nicaragua di Daniel Ortega» (Maurizio Stefanini). «González Urrutia, che ha sostituito in corsa la popolarissima María Corina Machado, dichiarata ineleggibile per varie accuse di corruzione, è un uomo pacato, che vive in una casa modesta con la pensione da ex funzionario e dice di non aver mai pensato di diventare un leader. Ha promesso di costruire “un Paese di prosperità, democrazia e pace”. E di liberare tutti i prigionieri politici» (Sara Gandolfi). L’esito della consultazione è fortemente controverso: mentre secondo il Consiglio nazionale elettorale (organismo governativo) Maduro avrebbe ottenuto il 51,95% dei consensi e González Urrutia il 43,18% (a fronte di oltre 12,3 milioni di voti complessivi), secondo la Piattaforma democratica unitaria (costituita dai principali partiti d’opposizione) Maduro avrebbe ottenuto solo il 30,46% dei consensi e González Urrutia ben il 67,08% (a fronte di oltre 10,8 milioni di voti complessivi). «Senza avere mai presentato i verbali, Maduro si è autoproclamato vincitore quella stessa notte, scatenando massicce proteste. La risposta è stata l’“Operazione Tun Tun”, una brutale ondata di repressione che ha già causato migliaia di detenuti e decine di morti. Maduro ha anche tentato di interrompere il flusso di informazioni ordinando il blocco del social X e chiedendo ai venezuelani di disinstallare WhatsApp. Gli attivisti dell’opposizione sono fuggiti in Colombia e, secondo quanto riferito, i passaporti di centinaia di venezuelani che si sono espressi pubblicamente contro il regime sono stati annullati» (Stefanini). «Nicolás Maduro, 61 anni, non molla. Impopolare, criticato dalla comunità internazionale, indagato dalla Corte penale internazionale per crimini contro l’umanità, sopravvissuto a una crisi economica devastante, alle sanzioni americane, alla pandemia e agli scandali, il presidente-padrone del Venezuela si avvia a un terzo mandato, con l’avallo delle istituzioni che il suo governo controlla. Se frode c’è stata, probabilmente mai nessuno riuscirà fino in fondo a provarlo. I giudici costituzionali restano l’arma più fedele del regime post-chavista, che li nominò in extremis subito dopo la disfatta elettorale del 2015. […] Maduro può contare anche sulle forze armate, che condividono con lui il potere e controllano 12 dei 34 ministeri del governo, tra cui quello del Petrolio, e sulla polizia semi-militare, che anche in queste elezioni si è aggirata per i seggi con fare intimidatorio, quasi sempre a cavallo di moto» (Gandolfi). «L’opposizione grida alla frode: “Abbiamo vinto noi e lo sa tutto il mondo”, hanno detto in una conferenza stampa congiunta il candidato della Piattaforma democratica e María Corina Machado, leader del fronte oppositore che era stata dichiarata ineleggibile dal regime. […] Gli unici a congratularsi subito con Maduro sono stati il presidente di Cuba e quello della Bolivia, suoi solidi alleati» (Paolo Foschi e Sara Gandolfi). «Usa, Argentina, Uruguay, Costa Rica ed Ecuador hanno riconosciuto il candidato della Plataforma Unitaria Democrática come legittimo presidente. […] Il Venezuela ora trattiene il fiato. Testimoni raccontano di strade deserte e negozi chiusi o svuotati da chi fa provviste per le settimane a venire. Intanto, continuano gli arresti. […] Indiscrezioni dicono che il brasiliano Lula, spalleggiato dal colombiano Petro e (controvoglia) dal messicano Obrador, stia cercando una via d’uscita onorevole per Maduro. Potrebbe essere l’esilio temporaneo, come fu per il boliviano Morales, e una transizione guidata da un volto più “accettabile” del regime. Altre voci assicurano che Maduro non ha alcuna intenzione di cedere. […] “Ciò che Maduro e i suoi alleati temono di più non è perdere il potere, ma trascorrere il resto delle loro vite in una prigione di massima sicurezza negli Usa”, sostiene l’analista americano Brian Winter. “Non lasceranno mai senza un accordo per l’immunità”» (Gandolfi). «Il Wall Street Journal ha confermato la notizia secondo cui il governo degli Stati Uniti, nel quadro di conversazioni segrete, avrebbe detto di essere disposto a concedere un’ampia amnistia sia a Maduro che al suo entourage nel caso in cui cedesse il potere in Venezuela. […] In tutto ciò il regime di Maduro risponde aumentando la repressione» (Stefanini). «Gli uomini degli apparati di sicurezza agiscono indisturbati arrestando chiunque finisca nel mirino. Ci sono quasi venti giornalisti dietro le sbarre in qualche centro di detenzione e di loro non si sa più nulla. Almeno 2.000 altre persone, tra cui 100 ragazzini, sono stati portati via da squadre in uniforme nere e passamontagna dopo la serie di manifestazioni di protesta. Le case dei sospetti sono marchiate con una X sulla porta d’ingresso che ricorda i tempi della caccia agli ebrei durante il nazismo. Adesso si punta ai leader. […] La Ue torna a chiedere con insistenza a Caracas di pubblicare gli atti elettorali che stabiliscano una verità. Cosa che Maduro non può fare perché, evidentemente, dimostrerebbero la sua sconfitta» (Daniele Mastrogiacomo). A fronte di questo quadro politico interno, in cui il suo sfidante Edmundo González Urrutia è stato infine costretto a cercare asilo politico in Spagna per sfuggire al mandato d’arresto spiccato nei suoi confronti dalle autorità venezuelane dietro accuse pretestuose, Maduro ha recentemente esternato la propria preoccupazione per le sorti della democrazia in Europa, giungendo ad adombrare complotti internazionali contro il suo Paese: «È una cosa incredibile, è impressionante come il fascismo, il neofascismo e le loro imitazioni avanzino in Spagna, mettendo alle strette la democrazia; in Italia, dove hanno conquistato il potere politico; e in Germania, con imitazioni naziste che rivendicano Hitler. […] Bisogna chiamarlo per nome: il fascismo è il diavolo. Nessuno edulcori le espressioni di intolleranza e di persecuzione tipiche dei progetti fascisti. […] L’intera internazionale fascista e neofascista ha preso di mira il gioiello della corona del Sud America, il Venezuela» • «Sospetti di legami con il narcotraffico dopo l’arresto a Haiti di due nipoti di Cilia, che trasportavano 880 chili di cocaina» (Ciai). «Non esiste tabarro migliore in grado di nascondere traffici e corruzione che quello della rivoluzione. […] Mentre raccontava al mondo la sua opposizione alle guerre, dando solidarietà a Putin e ai popoli sfruttati, Nicolás Maduro rendeva il Venezuela l’hub mondiale del traffico di cocaina, il luogo in cui stoccare e far partire cocaina in ogni angolo della Terra. Dalle indagini della Dea emerge che i porti venezuelani sono ormai completamente in mano ai cartelli e la gestione delle spedizioni è diretta emanazione dell’autorità politica. La risposta dinanzi alle prove è sempre la stessa: tutta propaganda americana. […] Il Venezuela è un narco-Stato, la cocaina permette un ingresso dei soldi perduti con la crisi del prezzo del greggio. Gli uomini di Chávez erano tutti legati al petrolio, gli uomini di Maduro sono maggiormente vicini al narcotraffico. […] Chi crede davvero a questi trafficanti in nome dell’ideologia sta solo creando una cortina fumogena per difendere i loro affari» (Roberto Saviano) • Un figlio dalla prima moglie, da tempo introdotto nelle istituzioni venezuelane; tre figliastri dal primo matrimonio della sua seconda e attuale consorte, l’avvocato e politico Cilia Flores (conosciuta nel 1992, quando era impegnata nella difesa legale di Chávez), oggi membro dell’Assemblea costituente. «Avvocato penalista e deputata del Parlamento nazionale, Cilia non è certo una “primera dama” casalinga. Fu Chávez che le fece conoscere anni fa un ancora oscuro leader sindacale di Caracas: Nicolás Maduro. Lasciarono i rispettivi coniugi e iniziarono, dice Flores, a “condividere lo stesso sogno”. La scalata politica è andata avanti rapida per entrambi, sotto Chávez. Cilia venne eletta presidente dell’Assemblea nazionale e cominciò a tessere una rete di potere fortissima intorno al marito. Dura, determinata e spietata con gli oppositori politici. “Cilia ti ama o ti odia: lei non fa negoziati”, dicono a Caracas» (Gandolfi) • Cresciuto con un’educazione cattolica, è stato però anche seguace del predicatore indiano Sai Baba (1926-2011). Inoltre «Maduro non disdegna l’esoterismo, e nei momenti politici più delicati sembra sia solito consultare l’I-Ching» (Manzo) • «Hugo Chávez, che ha governato il Paese fino alla sua morte nel 2013, ha avuto la grave responsabilità di non aver sfruttato la fase del prezzo alto del petrolio per creare nel Paese le condizioni per uno sviluppo sostenibile e duraturo, ma anzi di aver creato le precondizioni per il disastro del Paese dopo il 2014 con il crollo del prezzo del petrolio. Il presidente Nicolás Maduro ha portato avanti una politica economica seguendo prevalentemente la stessa impostazione data da Chávez, anche dopo il collasso delle entrate tratte dalla risorsa petrolifera, contribuendo in modo determinante al peggioramento della situazione economica» (Antonella Mori). «Quando Nicolás Maduro spiegò durante una trasmissione a reti unificate che la soluzione alla crisi economica del Venezuela è nell’allevamento di galline, lui ci credeva veramente. Il presidente venezuelano sostiene di avere un orto urbano e un pollaio che cura personalmente insieme alla moglie. Così sono immuni dalla mancanza di alimenti e dall’aumento dei prezzi. È un uomo “spirituale” e feticista, che vive circondato da talismani. Aveva cercato di trasformare il progetto della rivoluzione bolivariana in una religione politica con l’idealizzazione di Hugo Chávez. Ma la magia è svanita davanti alla cruda realtà del Paese» (Miranda). «Un disastro completo, senza alcuna possibilità di redenzione. […] Nicolás Maduro si è spinto laddove Hugo Chávez non aveva né avuto bisogno né osato, e cioè fino allo smantellamento completo della democrazia» (Cotroneo) • «La caratteristica del Venezuela è che la sua crisi è senza precedenti nell’ultimo mezzo secolo: numeri da Paese in guerra per un Paese in pace. L’iperinflazione dello Zimbabwe sotto Mugabe; le ristrettezze del Período especial della Cuba dopo il crollo dell’Unione Sovietica; il crimine dilagante della Colombia in mano ai narcos; l’emigrazione di massa della guerra civile in Siria; la disoccupazione della Bosnia alla fine della guerra nella ex Jugoslavia; un crollo del Pil triplo rispetto alla Grecia della crisi del 2011. Tutto insieme. Con la differenza, rispetto a questi Paesi, che il Venezuela è storicamente una delle nazioni più ricche dell’America Latina grazie alle sue risorse naturali: le più grandi riserve petrolifere del mondo. Negli anni ’70 il Venezuela aveva di gran lunga il Pil pro capite più alto del Sud America, ora è il più basso. […] La crisi da economica è diventata umanitaria. Nel 2021 la povertà ha raggiunto il 95% della popolazione, di cui il 75% in povertà estrema. Due terzi della popolazione hanno perso 10 chili di peso. Anche la disuguaglianza è notevolmente aumentata: il Venezuela è diventato il Paese più disuguale del continente, nel continente più disuguale del mondo. Secondo l’Unhcr, 7,7 milioni di venezuelani sono emigrati all’estero (un quarto della popolazione): più dei rifugiati siriani dopo la guerra civile (5,5 milioni) e dei rifugiati ucraini dopo l’invasione da parte della Russia (6,5 milioni). Un livello di devastazione economica e sociale che, appunto, si vede solo negli Stati dilaniati dai conflitti militari. È la guerra che il chavismo sta conducendo da decenni contro il popolo venezuelano, e che difficilmente si concluderà con un passaggio pacifico del potere all’opposizione da parte della banda criminale che comanda da un quarto di secolo» (Luciano Capone).