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 2024  novembre 29 Venerdì calendario

George Garbero Pianelli: “Mio nonno amava il Toro"

Se chiude gli occhi è ancora lì, nel cortile della vecchia sede a giocare con i campioni dello scudetto con cui è cresciuto. Assemblati pezzo per pezzo da nonno Orfeo con cura, competenza, passione e tanti soldi in 19 anni alla guida del Torino. Un primato di longevità che lunedì Urbano Cairo toglierà al presidente più amato della storia granata del dopo Superga, giusto in tempo per celebrare il compleanno, il giorno dopo, del club. 
George Garbero Pianelli, le fa effetto?
«Molto effetto, ho rivisto da poco un bel video della giornata dello scudetto vinto nel 1976, compreso l’autogol e fine partita che aveva fatto tremare uno stadio impazzito per l’attesa. Il Toro ha portato tante soddisfazioni, ma è stato un progetto anche molto faticoso». 
Che cos’aveva di speciale quel Torino, oltre che tanti giocatori di classe e temperamento?
«Era più una famiglia, che una società. Si mangiava tutti in sede dopo la partita, una tavolata lunghissima con i calciatori e i tortellini come a Mantova, la città natale del nonno. Io sono nato nel momento più importante del Toro, ricordo le finali di Coppa Italia: che emozioni! Ma anche le delusioni». 
Quali le più grandi?
«Io e la mia famiglia abbiamo anche vissuto tempi difficili quando siamo stati contestati: proteste che hanno lasciato il segno. Una volta siamo andati al Comunale con una Fiat 130 Coupé blindata, l’abbiamo buttata via a causa dei colpi ricevuti». 
È stato il momento di massima amarezza?
«Sì, assieme ad un altro sgarbo: quando un presidente, di cui non faccio il nome, al Delle Alpi tolse al nonno il parcheggio della tribuna d’onore. Ci rimase male perché già non riusciva a camminare bene. Ma quando rivedeva la squadra dello scudetto ringiovaniva di 20 anni: gli sono sempre stati vicini i suoi ragazzi, come dei veri figli. Da Pecci a Sala, a Pulici, Puia, Zaccarelli e molti altri». 
Chi era suo nonno?
«Un imprenditore che ha impiegato molti anni per mettere insieme la ricetta vincente: ci è riuscito dopo tanti sacrifici. Essere presidente per tanto tempo al di là dei risultati è un’eccezione, non si vedono più molte famiglie italiane nel calcio come in passato, tutto è cambiato». 
Il patron Cairo ha detto di essere disposto a cedere il Torino: anche lei pensa che dopo quasi vent’anni sia la scelta migliore?
«Non giudico la decisione di un’eventuale vendita, nel caso succeda gli auguro di trovare uno con la passione che aveva nonno Orfeo. La cessione del Torino credo sia stato uno dei momenti più difficili della nostra famiglia, ha rappresentato la separazione da un’altra grande famiglia e da quel modo di vivere». 
Quali differenze, risultati a parte, nota con l’attuale gestione?
«Cairo è stato un businessman rimettendo a posto i conti, gliene va dato atto. La differenza più grande tra la società di Pianelli e la sua è stata la crescita diversa. Anche mio nonno ha preso il club che navigava in brutte acque. Poi però pian piano l’ha portato al vertice. Ha perso anche tanti soldi, adesso non puoi più farlo». 
Come procede l’intitolazione della piazza di Torino in onore di Pianelli? 
«Il cambio di toponomastica è stato approvato e adesso dovrebbe essere eseguito, ma da un po’ non se ne sa più niente. Compete all’Urbanistica, spero di poter avere notizie e festeggiare con i tifosi». 
Ha mai pensato di avvicinarsi un giorno al Torino e non solo da semplice e appassionato tifoso qual è?
«Vivendo a Bruxelles tutto è un po’ complicato... Credo che la famiglia Pianelli abbia fatto la storia per 19 anni, ricordare il passato del Toro è molto importante e spero di tenere in vita quel periodo per le generazioni future».