La Stampa, 29 novembre 2024
La guerra è arrivata in Occidente e noi siamo già potenziali reclute
Per i compilatori in pantofole delle arti della guerra, categoria in allarmante dilatazione numerica in Occidente da due anni e mezzo a questa parte, è il momento cautamente annunciato, previsto, diciamolo pure atteso: si marcia, scendiamo in campo, dunque arruolatevi. Ci vuole qualcosa in più per mettere i russi gambe all’aria e far loro ripassare i vecchi violati confini. La sbandierata strategia logoratrice che ci doveva dare la vittoria senza combattere funziona: ma purtroppo al contrario. La mette a frutto il subdolo Putin. Le sanzioni includono infatti elaborate disposizioni per privare la Russia di tutto ciò di cui poteva a fare a meno...
Siamo dunque alla guerra vera anche per noi potenziali reclute d’Occidente, quella ai cui bordi non si mettono le poltrone per guardare con comodo. Basta con le mossette della guerra per procura: dell’aiutiamo gli ucraini a casa loro, l’avanspettacolo del forniamo finanziamo paghiamo aggiungiamo carri armati proiettili aerei missili e tutta questa costosa ferraglia affinché possano essere eroici e si facciano ammazzare per la buona causa. I conduttori della Grande Alleanza, i politici ottusi e gli accorti speculatori della economia bellica, si sono dibattuti finora sotto gli impiastri di questa farmacopea. Sarebbe bello se le imprese restassero fino alla fine dilettevoli come all’inizio, se il fondo di bottiglia fosse gustoso come il primo sorso. Ma la annunciata vittoria non è arrivata e gli ucraini nonostante rifornimenti e armi nuove sono in gravi difficoltà. Si legge tra le righe, sempre più esplicitamente, che bisogna preparare e prepararsi a sacrifici più diretti se non si vuole la confessione di impotenza, la rinuncia, l’accettazione del fatto compiuto. La Nato è ancora un totem ma che perde ogni potere nei confronti dei tabù. E poi, suvvia, la guerra è un delitto solo quando la si perde. Troppo terrore genera apatia ma una dose appropriata crea obbedienza. Dunque procediamo…
Resta poco tempo: un paio di mesi, non di più, per avviare la pratica, prima che l’imprevedibile Trump, chissà, forse, sconvolga le carte sul tavolo e metta i bastoni tra le ruote del sillogismo bellicoso più consolidato, ovvero che trattare con il criminale Putin è già riconoscere di aver perso. Scorriamo la cronaca degli ultimi giorni, un devastante uragano: via libera agli ucraini di colpire la Russia in profondità (con missili che necessitano della partecipazione diretta degli occidentali al loro uso), forniture belliche e finanziarie a pioggia prima che a Washington la nuova amministrazione chiuda con avarizia mercantile i rubinetti dei forzieri, una semplificazione da parte russa delle regole per innescare l’Apocalisse, l’ingiunzione occidentale a Kiev di arruolare anche i diciottenni, la leva in massa insomma, e soprattutto la possibilità di “foreign fighters” occidentali nei reparti ucraini. Manca alla guerra solo una solenne dichiarazione ufficiale.
Lo scarto con cui questa accelerazione è stato sottovalutato (la ravvicinata soglia atomica è diventata disinvoltamente un patetico bluff putiniano!) rivela la nostra incapacità come opinioni pubbliche occidentali di legare in un ragionamento unico quello che è purtroppo chiaro in ogni conflitto, ovvero il suo irreversibile automatismo. La strategia è sempre il modo di pensare degli insoddisfatti. In fondo l’unico ad aver capito quale sarebbe stato il capitolo finale, la guerra mondiale, è stato Zelensky, perché ha ben poco da perdervi nella sua condizione di aggredito via via più fragile, e la accoglierebbe come una liberazione.
Eppure sondaggi coincidenti e indipendenti svelano che la maggior parte degli europei non vuole che la guerra continui e soprattutto li coinvolga. Già: qualcuno ha mai chiesto loro, ufficialmente, politicamente e non per un ufficio di sondaggi demoscopici, se è disposto a combattere? Se le giovani generazioni che non sanno cosa è il servizio militare e la cartolina precetto sono disposti a tornare indietro, al tempo del Centro Addestramento Reclute, del tiro a segno e, peggio ancora, al campo di battaglia? I guerrafondai sanno bene che in quel caso i menamani e i violenti sparirebbero e gli unici a beneficiare di milioni di reclute infervorate sarebbero i pacifisti, finora ridotti a patetici profeti di impossibili sventure da una ben articolata propaganda dell’indifferenza. I renitenti diventerebbero nelle piazze minacciosa marea da far impallidire il “Satyagraha” del mahatma Gandhi.
Allora, per evitare il rischio, ordine di servizio a quelli che un tempo si definivano “gli operatori dell’intelligenza”: avanti a piccole ma inesorabili dosi, giorno dopo giorno ma aumentando la velocità degli annunci, delle necessità, in modo che non ci sia tempo per ragionare, riunire i tasselli, esigere spiegazioni: ma come dopo tanti proclami nobili e generosi, tante sicurezze... Dove siamo arrivati? A un bagno di sangue generale, questa è la scelta che ci si offre? Guerra o disordine, nessun altra prospettiva, la gloria nel fragore dei cannoni... Ma quale eroismi! In guerra si muore come cani!
A fare da apripista alla guerra davvero mondiale è il presidente francese Macron, in collaborazione con la Gran Bretagna, combinazione non casuale, sono i vecchi soci micro-imperialisti della sconclusionata operazione democrazia in Libia. La politica non spiega tutto, il resto purtroppo lo spiegano i caratteri: Putin Biden Trump... e Macron. Macron ! Come nell’epigrafe di Pier della Vigna, «Venuto dal nulla tornato nel nulla». In politica interna deve subire lazzi e molestie di personaggi balzachiani come Melenchon; in attesa che le sue opere siano consegnate alla tomba delle raccolte giornaliste, gli resta la politica estera, riserva di caccia della eredità monarchico-gollista. Perché non una nuova spedizione in Crimea contro i russi? Sebastopoli... Il bastione Malakoff... Qui sono e qui resto! Verso la pensione, sì, ma come un Mac Mahon in mezzo allo strepito e al tumulto!