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 2024  novembre 29 Venerdì calendario

Storia avventurosa delle bandiere del mondo

Aprite il dizionario. Scorrete, scorrete. Scorrete ancora un po’ e fermatevi alla lettera V. Superata la parola vessazione, appena prima di vestaglia ecco il vocabolo che cercavamo: vessillologia. La Treccani, prima che la lingua si arrotoli da sola, ci spiega che parliamo della «ricerca, raccolta e studio di vessilli, bandiere, labari, gonfaloni, ecc.».
Tutta questa rincorsa, letterale, per via degli interessi di Dmytro Dubilet. Chi è Dmytro Dubilet? Imprenditore ucraino che nel 2019 è stato ministro del gabinetto in uno dei governi sotto la presidenza Volodymyr Zelenskyy. Durante il lockdown, colpevole il Covid-19, ha scritto Storia avventurosa delle bandiere del mondo ( Utet, 256 pp.; 29,00 euro) che nella sua nazione natale, è nato nel 1985 a Dnipro, è diventato un vero e proprio bestseller appena prima dello scoppio del conflitto russo-ucraino.
La sua passione da dove arriva? «La mia passione per le bandiere è iniziata in tenera età, durante i Mondiali di calcio del 1994. Ero in vacanza in Crimea con i miei nonni e ogni sera, nella nostra piccola stanza d’albergo alle pendici del monte Ayu-Dag, guardavamo le partite in televisione». Sempre lui, il signor calcio, che con la sua sfera che incede sui rettangoli verdi smuove fantasie, illuminazioni e paesaggi sconosciuti. Il volume è arrivato nelle librerie italiane a fine ottobre per volontà di Utet e della traduzione di Alfredo Goffredi.
Primo capitolo: Il tricolore nel mondo. Superata la Francia ecco il volo pindarico sulle nostre terre. «Pensate al tricolore italiano, che apparve per la prima volta alla fine del XVII secolo, ovvero quando Napoleone (all’epoca ancora “soltanto” generale dell’esercito) costituì la Repubblica cisalpina come Stato satellite della Francia: non sentendo alcun bisogno di perder tempo con una nuova bandiera, si limitò a sostituire il blu di quella francese con il verde delle divise della milizia cittadina di Milano».
C’è il tempo per l’aquila con fascio littorio di Mussolini e il ricordo del Risorgimento, ma l’interpretazione più plausibile riguardanti i colori del nostro vessillo rammenta come il verde «simboleggi la vegetazione mediterranea», il bianco «le Alpi innevate» e il rosso «la sanguinosa lotta per l’unificazione nazionale».
Haiti invece? Il piccolo stato caraibico, la seconda nazione delle Americhe dopo gli Usa a dichiarare la propria indipendenza, vuole secondo la leggenda che la propria bandiera sia nata quando il leader ribelle Jean-Jacques Dessalines «prese il tricolore francese, strappò la banda bianca al centro (probabilmente perché gli ricordava troppo i coloni bianchi) e chiese a sua nipote di cucire insieme le due bande colorate rimanenti».
Ci sono anche gli incidenti cromatici. Vedi Cipro. Nel 1960 Gran Bretagna, Grecia e Turchia decretano l’indipendenza dell’isola situata nella parte orientale del Mediterraneo. «Il progetto grafico selezionato fu quello di Ismet Güney, artista e insegnante turco, che scelse l’arancione come colore principale, ispirandosi ai depositi di rame di cui è ricca l’isola. (Sembra infatti che il nome Cipro derivi dalla parola latina per “rame”, cuprum). Sotto alla sagoma dell’isola compaiono i due rami di ulivo, che ritornano anche nello stemma nazionale assieme a un terzo che viene stretto nel becco di una colomba». Per qualcuno addirittura saremmo davanti a un uovo all’occhio di bue. Allucinazioni visive.
Arrivano poi la Somalia e il Gibuti. La Somalia nel 1953 ha unito la parte britannica e quella italiana, mentre quella francese ha intrapreso la via del Gibuti diventando indipendente nel 1977. Nella sua bandiera ha scelto «un tono di celeste come la Somalia, un modo per rendere onore al proprio vicino».
L’incrocio di croci, invece, ci mostra come vivisezionando il drappo norvegese sia possibile ricavare le insegne di Indonesia, Polonia, Finlandia, Paesi Bassi, Thailandia, Francia e principato di Monaco. Bandiere nella bandiera. E sicuramente non avete mai fatto caso che il labaro della Croce Rossa ha preso spunto, anzi copiato, il vessillo svizzero. C’è anche il tempo per un viaggio nell’eredità romana tra i drappi. Parola d’ordine: aquila.
La bandiera del Venezuela deve i suoi colori alle teorie di Johann Wolfgang von Goethe. Il poeta tedesco incontrò nell’inverno del 1785 Francisco de Miranda, quello che poi sarebbe diventato il presidente dello Stato sudamericano, che gli spiegò la sua visione sul rosso, sul giallo e sul blu. Così fu. Oltre al Venezuela anche Colombia ed Ecuador, oggi, conoscono il “tricolore mirandino”.
Scopriamo l’incredibile somiglianza, rovesciata, tra l’Irlanda e la Costa d’Avorio arrivando infine alla grande mietitrice. Il vessillo rosso comunardo, Parigi 1871, è diventato un irrinunciabile segno distintivo nel XX secolo per tutte le nazioni in preda al comunismo.
Ecco la sfilata delle repubbliche socialiste dell’Urss, per poi sbarcare in Africa. La più aggressiva? Quella dell’Angola. «Sotto la stella a cinque punte, al posto di falce e martello, si trovano una mezza ruota dentata, simbolo degli operai al lavoro nelle industrie, e un machete, che rappresenta i contadini». Il viaggio è ancora lungo, sterminato, ma spetta al lettore posare il giornale e farsi accompagnare da Dubilet tra curiosità e segni di un tempo che sventola con noi e con la nostra bandiera.