La Stampa, 21 novembre 2024
Il parlamento come un jukebox
In una bella intervista a Salvatore Merlo per Il Foglio, il ministro Luca Ciriani dice che presto o tardi «arriverà anche il momento di spegnere la fiamma», quella missina rilucente nel simbolo del suo partito, Fratelli d’Italia. Il ragionamento di Ciriani – noi per quel simbolo ci saremmo buttati nel fuoco, ma per un ragazzo non significa più nulla – mi pare non faccia una grinza. Eppure la fiammella tricolore continua a mobilitare i polemisti più pigri, abili a rintracciare quotidiani indizi di fascismo nella quotidiana chincaglieria, quella più a portata di social. E invece nell’intervista c’è un passaggio – offerto con soave noncuranza – molto più sintomatico dei guasti della democrazia, e molto più trascurato, laddove Ciriani dice che alcuni ministri tendono a considerare il Parlamento un jukebox: tu metti la monetina e il Parlamento esegue. Ciriani è stato ampiamente generoso: non alcuni ministri, ma l’intero governo fa così. Una tradizione recente e floridissima vuole che ogni governo italiano, come il governo precedente e un po’ più del governo precedente, scriva le leggi al posto del Parlamento, coi decreti, imponendo poi al Parlamento di votarli in obbedienza al volere del capo. Per quanto ci si impegni, non si riesce a trovare un esempio più mirabile di fascisteria e, con statistica evidenza, non esclusiva di Giorgia Meloni e dei suoi, ma diffusa in tutti i partiti, di destra e sinistra, che negli ultimi due decenni sono stati al governo facendo strazio della separazione dei poteri, per poi lamentarsene dall’opposizione. Accidenti come arde quella fiammella nei più imprevedibili dei cuori.