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 2024  novembre 07 Giovedì calendario

I dazi di Trump una follia dannosa

La vittoria Donald Trump è ascrivibile anche al suo programma economico che può essere riassunto con lo slogan, non nuovo ma certamente efficace, «Make America great again». Come intende procedere? Semplice: attraverso l’imposizione di tariffe. «Tariffa» ha spiegato il neopresidente in campagna elettorale, «è la parola più bella del dizionario». È ancora presto per valutare l’impatto di una simile agenda: bisognerà capire come e in quale misura verrà messa in atto. Tuttavia, alcune considerazioni di carattere generale possono già essere tratte: la strategia è miope, lo strumento rischioso e l’implementazione complessa. Andiamo con ordine.Primo la strategia. Trump ha promesso dazi «terribili», ossia pari ad almeno il 60% sui prodotti provenienti dalla Cina e il 10-20% su quelli provenienti dall’Unione europea. L’obiettivo è quello di proteggere le aziende che producono i loro beni in America. La strada delle tariffe è miope perché ad azione corrisponde sempre una reazione: stupisce che un business man come Trump non lo abbia messo in conto. Ai dazi americani faranno seguito dazi cinesi e dazi europei. Il risultato ultimo sarà quello di un impennata dei prezzi dei prodotti e dei beni intermedi fabbricati fuori dai confini nazionali. Ciò si tradurrà in maggiore inflazione ovvero l’opposto di ciò che è stato promesso ai consumatori americani.Secondo, lo strumento. Il futuro Presidente degli Stati Uniti ha prospettato un massiccio ricorso al debito pubblico. Per rilanciare l’economia, che per inciso non sta andando affatto male grazie all’azione della presidenza Biden, egli vuole abbassare le tasse, a cominciare da quelle che pesano sulle aziende. Le minore entrate, tuttavia, non saranno finanziate con minori uscite: potenziare la spesa pubblica è, infatti, uno dei capisaldi dell’agenda economica di Trump. E allora non resta che ampliare il già elevato indebitamento. I numeri parlano chiaro. Dal 2015 al 2023 il debito americano è salito dal 104,7% del Pil al 118,7 registrando un incremento del 14%. Nel 2029 è previsto raggiungere quota 132%. Il debito europeo, invece, dovrebbe scendere dall’86% del 2015 all’83 del 2029. Prendere soldi a prestito costa. «La spesa per il servizio del debito» scrive la Banca mondiale nel suo ultimo rapporto «rappresenta un costo significativo per tutti i Paesi». In America nel 2023 è stata il 4,5% del Pil, oltre un punto percentuale in più del decennio precedente e, soprattutto, tre volte superiore a quella della media dell’Unione europea. Mantenere nel tempo una dinamica crescente del debito pubblico non è solo una scelta costosa. È innanzitutto una scelta rischiosa per chi come l’America registra – oramai da anni – un disavanzo delle partite correnti. Che cosa significa? La differenza delle esportazioni e importazioni in rapporto al Pil è negativa e pari a circa il 2% (a titolo di esempio, il saldo in Europa è positivo e si attesta al 3%). In un simile contesto, il proprio debito va finanziato attraverso risorse che provengono dall’estero. Quindi per ricapitolare, il ricorso al debito, ossia lo strumento scelto da Trump per rafforzare l’economia, rischia di trasformarsi in una trappola visto che aumenta la dipendenza dall’estero. Ancora una volta l’esatto opposto di ciò che è stato annunciato.E qui arriviamo alla terza considerazione, quella legata all’implementazione. Trump ha prospettato il migliore dei mondi. Ha usato toni forti, a tratti surreali. Ad esempio, ha dichiarato di voler proteggere i cittadini americani e, nel caso specifico delle donne, ha assicurato che lo farà anche «se non lo vogliono». Più in generale, ha promesso la fine delle guerre e la deportazione degli immigrati irregolari. È chiaro che, ancora una volta, dovrà ridimensionare gli impegni presi con gli elettori.E l’Europa? A conti fatti, all’Unione non resta che trasformare questa elezione in una lezione: non ci sono alternative all’integrazione. —