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 2018  aprile 09 Lunedì calendario

Oggi 161 - Gioco

Il caso del prete di Spinea unito a quello dello sconosciuto che s’è portato a casa 130 milioni col Superenalotto...

Che cosa ci dicono?

Due cose opposte. Che il gioco ti rovina, che il gioco ti fa ricco.

Chi ha ragione?

Cominciamo dal prete di Spinea. Siamo dalle parti di Mestre, parrocchia di San Vito e Modesto. Un certo giorno di due anni fa don Flavio Gobbo sparisce. Ai fedeli sbigottiti lascia una lettera. Dice, più o meno: sono stanco, ho bisogno di riposo. La settimana scorsa, però, i parrocchiani leggono sui giornali la conclusione della vicenda: don Gobbo non è andato a riposarsi, è andato in clinica a disintoccsicarsi da un male che si chiama «ludopatia», dove la parola «ludo», di origine greca, significa «gioco». Il sacerdote, che aveva cominciato quasi per scherzo, prendeva i soldi dalle casse della parrocchia e andava al casino a puntarli sulla roulette. Pensava: vinco, e restituisco. Non era possibile, e trattandosi di un uomo colto doveva perfino saperlo. Alla fine era sparito mezzo milioni. La diocesi l’ha fatto curare, i magistrati che l’hanno giudicato per l’ammanco si sono accontentati di una condanna a due anni, imponendo però il ricovero. Il prete, che secondo la diocesi non avrebbe mai perso la vocazione e la fede, ha accettato.

Che cosa ci insegna questa storia?

Che a giocare si perde. Abbiamo casi classici, con nomi famosi: Dostoevskij, Tommaso Landolfi, Vittorio De Sica. Da ultimo, Emilio Fede. Non s’è mai arricchito nessuno.

Però c’è il tizio che ha vinto al Superenalotto.

Sì. Un investimento di 21 euro. Una schedina di due colonne. Una ricevitoria di Caltanissetta. Ha indovinato sei estratti (12, 23, 39, 54, 72, 73), s’è portato a casa 130 milioni, la quinta vincita più alta di sempre. Impossibile, per ora, sapere chi è. Detto questo, l’esistenza di un signore, o di una signora, che giocando si è fatto ricco non dimostra niente.

Perché?

Il vincitore cammina su una montagna di perdenti. Le probabilità di azzeccare il 6 è di una su 622 milioni. Significa che il fortunato di Caltanissetta si confronta con 622 milioni almeno di uomini e donne che i soldi li hanno lasciati al banco, in questo caso lo stato. Dal gioco lo stato ricava ogni anno 96 miliardi. Più di sei punti di pil. La roulette è più onesta: le probabilità di perdere sono solo una su 37. Ma alla lunga, anche alla roulette, non hai speranza.

Quanti sono i malati come don Gobbo?

Due milioni e mezzo, si dice. È un problema.