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 2017  luglio 03 Lunedì calendario

Oggi 118 bis - Banche venete

Sento dire che il governo ha salvato altre due banche in crisi, cioè Veneto Banca e Banca popolare di Vicenza. Ma con i soldi nostri?

Sì, con i soldi dei contribuenti, cioè con i soldi nostri. Il ministro Padoan tirerà fuori circa sei miliardi, ed si dice sicuro del fatto che con una gestione oculata delle due banche adesso in crisi li recupererà. La parte sana dei due istituti sarà ceduta a Banca Intesa, quella malata sarà raggruppata in un nuovo soggetto che verrà affidato ai commissari nominati dalla Banca d’Italia.

 

Quanto paga Banca Intesa per portarsi a casa questa parte buona?

Un euro.

 

Un euro?

Visti i conti, sono scappati tutti. Intesa s’è dichiarata disponibile a farsi carico del problema (un buco di una ventina di miliardi), però senza nessun peggioramento del suo bilancio e senza intaccare neanche di un centesimo il dividendo da pagare agli azionisti. In caso contrario, niente. Questa posizione è stata votata all’unanimità dal consiglio d’amministrazione. Banca Intesa manderà anche via tra i quattro e i seimila dipendenti, dato che in Veneto ha quasi lo stesso numero di sportelli delle due banche in crisi, e ci saranno, come al solito, sovrapposizioni.

 

Perché questa parte sana che Banca Intesa si compra per un euro non se l’è presa invece lo Stato?

Lo proibisce l’Europa, che non vuole aiuti di stato quando si tratta di salvare le banche e su questo, in genere, non sente ragioni. Stavolta la Ue è stata addirittura più morbida, perché ha permesso al governo di aiutare le due venete con questi sei miliardi. Però ha imposto un intervento dei privati per almeno 1,25 miliardi. E questi 1,25 miliardi li metterà, nel capitale delle due venete dissanguate (e che saranno fuse), appunto Banca Intesa.

 

Perché l’Europa - implacabile con Montepaschi e con le quattro banche dell’anno scorso - stavolta ha preferito fare in un altro modo?

Perché a suo giudizio stavolta esisteva un «rischio sistemico». Se le due banche venete fossero state liquidate, i correntisti avrebbero perso tutta la parte eccedente i centomila euro dei loro depositi e sarebbe stati rimborsati, invece, del resto. Questo «resto» vale 11 miliardi. Per far fronte a questo tipo di operazioni le stesse banche hanno costituito un “Fondo interbancario di garanzia”, mettendo ciascuna un tanto pro quota. Dopo aver pagato gli undici miliardi ai correntisti veneti, però, il Fondo, che deve essere sempre pronto a soccorrere chi va soccorso, si sarebbe trovato con troppi pochi soldi e avrebbe chiesto alle banche - legittimamente - di rimpinguare la sua cassa. Questo avrebbe messo in crisi parecchi altri istituti, che si sarebbero trovati costretti a ricapitalizzare se stessi o ad attivare procedure simili a quelle adottate dalle due venete. Una spirale tremenda, cioè un terremoto di sistema, insomma, e il conto da pagare sarebbe risultato, alla fine, salatissimo. Banca Intesa, per esempio, avrebbe dovuto tirar fuori due miliardi e mezzo.

 

Ma i responsabili dei buchi delle banche venete se ne stanno tranquilli e sereni nelle loro ville?

La magistratura indaga. Però il responsabile principale, cioè il riccone Gianni Zonin, ha già passato i suoi beni ai figli e risulta al momento nullatenente.

 

Prossima banca nei guai?

Il sistema bancario italiano ha «crediti deteriorati» (che cioè è molto difficile recuperare) per trecento miliardi. Il prossimo problema potrebbe essere la Cassa di Risparmio di Genova, o Carige. Speriamo.