Questo sito utilizza cookies tecnici (propri e di terze parti) come anche cookie di profilazione (di terze parti) sia per proprie necessità funzionali, sia per inviarti messaggi pubblicitari in linea con tue preferenze. Per saperne di più o per negare il consenso all'uso dei cookie di profilazione clicca qui. Scorrendo questa pagina, cliccando su un link o proseguendo la navigazione in altra maniera, acconsenti all'uso dei cookie Ok, accetto

 2016  gennaio 25 Lunedì calendario

Oggi 45 - Banche

Parliamo delle montagne russe della scorsa settimana, quelle della Borsa, voglio dire. Il su e giù ha riguardato tutte le piazze degli Affari e non solo quella milanese. E ha coinvolto titoli di tutti i tipi, ma specialmente quelli delle banche. Il Monte dei Paschi di Siena ha dimezzato il suo valore in pochi giorni, poi in una sola seduta ha recuperato più del 40%. Un surf impressionante... A proposito di «surf», visto quante metafore per rappresentare l’ascesa e la caduta dei prezzi? La parola che adoperano in genere quelli che se ne intendono - specialmente quando i prezzi salgono - è «rally». Il mondo della finanza è pieno di parole strane, che dicono e non dicono. Per esempio, quando leggete che una certa azione si è «consolidata», significa semplicemente che è scesa di prezzo. Perché non parlar chiaro allora? Perché uno degli elementi del gioco borsistico è la fiducia o l’aspettativa, e la fiducia e l’aspettativa possono essere deformati da una parola, da una dichiarazione, da una notizia. Per esempio, il «rally» della settimana scorsa è stato provocato (anche) dalla notizia che la Banca Centrale Europea (quella di Francoforte, che sovrintende alla stampa degli euro e dove comanda Draghi) aveva chiesto alle banche italiane notizie sulle sue sofferenze. La parola «sofferenze» nasconde, anche lei, una verità troppo cruda per essere dichiarata in modo chiaro. Significa che la banca ha prestato soldi a qualcuno che poi non li ha più restituiti e non li restituirà, almeno non tutti. Dunque, la Banca Centrale Europea ha chiesto alle banche italiane notizie sulle sofferenze e la notizia è uscita fuori e quelli che giocano in Borsa, comprando e vendendo azioni dalla mattina alla sera, hanno pensato: «Se da Francoforte vogliono notizie sulle sofferenze italiane significa che il caso è grave. Significa che oltre alle quattro banche andate in malora proprio per i prestiti impossibili da restituire, ce ne sono altre. Dài, vendiamo tutto». Solo dopo s’è saputo che la richiesta della Bce era normale, la fanno ogni tanti mesi, e non solo alle banche italiane, ma a tutte le banche europee abbastanza grandi.

Quindi, si potrebbe pensare, non esiste un problema italiano. Purtroppo un problema italiano esiste, anche se in tutta Europa ci sono banche alle prese con debiti e sofferenze, comprese le famose banche locali tedesche che la Merkel ha salvato quando le regole non erano rigide come adesso tirando fuori 250 miliardi di euro (e c’è anche, da quelle parti, il debito altissimo di Deutsche Bank). Il problema italiano riguarda proprio queste famose sofferenze che ammontano a 201 miliardi e che rischiano di crescere fino a 350. L’origine di queste sofferenze è presto detta: troppe volte si sono prestati soldi, grazie alle raccomandazioni della politica, ad amici degli amici, che poi sono scappati con la cassa. Che cosa si può fare a questo punto, oltre a riformare il sistema (Renzi ha preparato un paio di leggi)? L’idea più forte è quella della «bad bank» o banca cattiva. Si crea una banca cattiva, la si dota di un po’ di soldi e si impiegano quei soldi per comprare le sofferenze. Due problemi: la dotazione della bad bank deve essere fornita da privati, se no è aiuto di stato e la Ue lo proibisce. Il valore delle sofferenze da cedere (le sofferenze hanno un valore, c’è sempre qualcuno che se le compra) dev’essere secondo l’Europa del 17-18%, secondo l’Italia del 40%. Il contrasto su questo punto non è da poco, perché la svalutazione andrà registrata nel bilancio dalla banca che cede le sofferenze, e una svalutazione troppo forte potrebbe portare al fallimento della banca stessa, anche se divenuta, grazie alla bad bank, «buona».

Il fallimento della banca può avere conseguenze gravi sui correntisti, cioè su tutti noi. Dal 1° gennaio è infatti in vigore la regola del «bail in» o «garanzia interna», l’opposto del «bail out» o «garanzia esterna» cioè garanzia fornita dallo Stato. Significa che quando una banca fallisce, se non possono pagare gli azionisti, se non possono pagare gli obbligazionisti, pagano gli stessi correntisti, mettendo a disposizione (cioè perdendo) la parte dei loro depositi che supera i centomila euro. La cosa riguarda molta più gente di quello che si crede.