9 novembre 2015
Oggi 34 - Mafia capitale
Carminati e gli altri Giovedì scorso è cominciato il processo detto “Mafia Capitale” in cui vengono messi alla sbarra Massimo Carminati, detto “Er Cecato”, vero capo della congrega, Salvatore Buzzi e altri presunti responsabili di un sistema che secondo l’accusa corrompeva politici e amministratori, lucrava sui contributi alle cooperative e vinceva malandrinamente le gare d’appalto. Carminati ha detto che parlerà, un altro imputato importante, Luca Odevaine, ha chiesto il rito abbreviato e si è messo a disposizione degli inquirenti. La sentenza dirà quel che dirà, ma intanto perché in questo caso si parla di “mafia”, non essendo in ballo nessun siciliano e nessuno dei noti capibastone con la coppola?
Processetto Alemanno, ultimo sindaco di Roma prima di Marino, sarà quasi certamente processato, ma è tutto contento perché la parola “mafia” è stata cancellata dai capi d’accusa che lo riguardano. Anche i difensori di Carminati e degli altri dicono che il procuratore Pignatone ha adoperato la parola “mafia” strumentalmente, per impressionare i giornali e creare il clima adatto alla condanna. «Si tratta di un qualunque processeto per corruzione» dicono «niente di particolare». È su questa linea anche Giuliano Ferrara che vede nel termine “mafia” una forzatura dei giudici che vogliono buttare in politica quello che è semplice fatto di criminalità comune.
Giudici Pignatone e i pubblici ministeri adoperano la parola “mafia” per sottolineare il carattere sistemico del malaffare scoperto. Mezza burocrazia romana era d’accordo, i politici coprivano e incassavano, le cooperative al centro di questo modello criminale sono esse stesse per definizione “sistema”. Dunque, “mafia”. Ma c’è un elemento che sarà difficile dimostrare. La mafia vera deve la sua forza al consenso sociale che la circonda, e così la ’ndrangheta o la camorra. I mafiosi hanno i loro tribunali e persino una loro polizia. Sarà difficile dimostrare che Carminati e gli altri tenessero in pugno Roma allo stesso modo.