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 2024  maggio 21 Martedì calendario

Ritratto di Khamenei

«Fu una sorpresa» quando Ali Khamenei diventò Guida suprema dell’Iran il 6 agosto 1989, dopo la morte del fondatore della Repubblica islamica Ruhollah Khomeini, racconta al Corriere Gary Sick, che fu il principale negoziatore della Casa Bianca durante la crisi degli ostaggi del 1979. «Era un alto funzionario nel Consiglio di Comando della Rivoluzione, il governo rivoluzionario iraniano, e aveva occupato una serie di ruoli chiave, incluso quello di viceministro della Difesa, ma non era mai stato considerato uno di quelli che davvero avevano fatto la rivoluzione o uno dei leader. Era un religioso, ma molti clerici di alto rango non lo ritenevano qualificato per la presidenza né per sostituire Khomeini», spiega Sick, che oggi ha 89 anni, quattro in più dell’attuale leader iraniano, il cui arto destro è parzialmente paralizzato dopo un attentato del 1981 ed è sopravvissuto ad un cancro nel 2014.
Eppure Khamenei è stato presidente per due mandati, a partire dal 1981, e nel 1989 diventò Guida suprema con una modifica della Costituzione. «E immediatamente lo chiamarono ayatollah, anche se non lo era affatto». Era un hojatolleslam, un religioso di rango più basso (i critici negli anni lo hanno deriso con il soprannome «Shish Kelaseh», cioè «sei anni di scuola»).
La Carta riscritta
Nel 1989 è arrivato al vertice dello Stato con una modifica della Costituzione
Per la sua ascesa fu fondamentale l’appoggio di Hashemi Rafsanjani, che nel 1989 era capo del Parlamento: esibì una lettera dichiarando che esprimeva la volontà del defunto Khomeini che Khamenei fosse il suo successore. Rafsanjani pensava di servirsi di Khamenei per detenere il vero potere (e fu presidente fino al 1997) ma i rapporti si deteriorarono (Khamenei e i suoi alleati lo ridimensionarono pian piano, etichettandolo come «capitalista» e «sostenitore dell’Islam americano»). Khamenei è stato in grado di mantenere il potere (e la «fiamma» della rivoluzione islamica), pur non avendo il carisma di Khomeini, grazie all’alleanza con i conservatori e i pasdaran (i Guardiani della Rivoluzione).
È stato in grado di mantenere il suo ruolo, pur non avendo il carisma di Khomeini, grazie all’alleanza con i conservatori e i Guardiani
«Quando prese il potere nel 1989, aprì la porta ai pasdaran in campo economico e in politica, soprattutto per contrastare il movimento riformista», ci spiega Mohsen Sazegara che all’età di 24 anni tornò a Teheran dall’esilio con l’ayatollah Khomeini e fondò per lui questa milizia che risponde direttamente alla Guida suprema. Sazegara, che risiede in America dal 2003, diventato riformista si scontrò con Khamenei e finì in carcere. Da allora la Guida e i pasdaran si sono appoggiati l’un l’altro. «E su questa strada Khamenei ha trasformato l’Iran nel tipo di dittatura che solo lo Scià avrebbe potuto sognare», afferma Sick.
Non era considerato un leader della rivoluzione
L’attuale Guida suprema è una figura complessa, secondo Mehdi Khalaji, teologo che ha studiato a Qom, poi trasferitosi in America. «Da giovane indossava abiti casual, parlava del suo amore per la letteratura, componeva poesie. E da leader ha mostrato quella che ha definito “flessibilità eroica”, per esempio accettando l’accordo sul nucleare con l’Occidente nel 2015, in un momento in cui vedeva un rischio di coesione sociale. Ha permesso l’ascesa di leader relativamente moderati come Khatami o Rouhani, quando pensava che potessero rafforzare la stabilità nazionale».
Solo lo Scià poteva sognare una dittatura simile
La rivoluzione islamica era condotta prima di tutto all’interno dell’Islam, assorbendo i valori della contestazione giovanile degli Anni ‘60 e ‘70, attaccando il clero tradizionalista sciita timoroso di ogni coinvolgimento nelle lotte politiche e invitando gli iraniani a ribellarsi, anche se poi li portava a sottomettersi all’autorità delle «fonti di emulazione» sciite – come nota Alberto Zanconato nella sua biografia di Khomeini – e rivendicava che alla guida della società dovesse esserci un giurisperito islamico, secondo la dottrina del «velayat-e-faqih». Deciso a difendere la sopravvivenza della Repubblica islamica, Khamenei si è scontrato negli anni con altre figure che – all’interno dello stesso regime – ritenevano necessarie delle riforme per quella stessa sopravvivenza. E il rispettato ayatollah Hossein Ali Montazeri, dagli arresti domiciliari, avrebbe accusato la Guida suprema di commettere «gravi peccati, usando la forza contro gli innocenti» e rinnegando l’imparzialità e giustizia necessaria a chi governa in quanto interprete della volontà divina.
Da giovane portava abiti casual, era un poeta
Il regime inoltre non ha portato come promesso alla fine delle diseguaglianze. Il carovita, la corruzione dell’élite e la spesa pubblica nelle guerre in Siria e in Yemen ha spinto anche i mostazafin (i poveri delle province, conservatori e pii), per anni la spina dorsale del regime khomeinista, a scendere in piazza, furiosi con tutti i politici e la stessa Guida suprema («morte al dittatore»), con le istituzioni non elette come i pasdaran e le fondazioni religiose.
Cosa succederà quando Khamenei passerà la torcia a un successore? Se sarà Mojtaba, il favorito tra i suoi sei figli (accusati peraltro dai critici di detenere ricchezze all’estero) potrebbe essere l’inizio di una monarchia ereditaria. Mojtaba, stretto consigliere del padre, non fa discorsi, non ha un ruolo pubblico, non è mai stato eletto. Ha qualifiche religiose ma non è un ayatollah. Il religioso e candidato alla presidenza Mehdi Karroubi nel 2005 fu il primo ad accusarlo per i brogli che portarono alla vittoria Mahmoud Ahmadinejad. E già nelle proteste del 2009 uno degli slogan lo prendeva di mira: «Mojtaba, speriamo che tu muoia e non diventi Guida suprema».