la Repubblica, 14 maggio 2024
L’addio alle discoteche
Non sventola più bandiera gialla, neppure quella. E anche se la gioventù è bella, non saprai più che qui – la Rimini di Fellini e della festa che doveva essere per sempre, come cantava Gianni Pettenati nel ’66 – si balla. Cinquantotto stagioni e molte generazioni dopo, è Max Pezzali a ricordarlo: «Ma poi che fretta c’era di chiudere un locale che, alla fine, per noi, è stato una bandiera?». Un’altra bandiera.
Pezzali, 56 anni, che del pop nostalgico e a presa rapida è icona, parla del tramonto di un’epoca intera:Discoteche abbandonate. È il titolo dell’album che ha appena pubblicato. Lo ha ispirato un libro fotografico, Disco Mute, a cura di Davide Calloni e Alessandro Tesei. Raccontano, il libro, le sue foto e pure la canzone derivata, come quel fine settimana cresciuto nel 1977 sull’abbrivio dei falsetti della Febbre del sabato sera e diventato onda travolgente per due decenni con Giorgio Moroder, i Righeira e poi la techno sincopata in sala, oggi faccia soltanto luce su un cumulo di macerie. Macerie proprio, divanetti squarciati, palle a specchio crollate, ortiche a custodirle. È accaduto in tutta Italia, in particolare nella sua provincia. «E poi non è più sabato e poi le insegne cadono», questo è sempre Pezzali.
Già, le discoteche abbandonate. Dal primo gennaio 2010 al 31 dicembre 2023 sono state 2.698 le imprese che, già iscritte come attività di sala da ballo e night club, sono state cancellate dalla Camera di commercio. Nello stesso periodo ne sono nate 630 e il saldo dice che in quattordici anni il Paese ha perduto 2.068 locali dell’intrattenimento danzante. Una ricostruzione diRepubblica ha contato altre 6-800 sale da ballo rese inattive tra il 1980 e il 2010. Ecco, oggi le disco in vita sono 3.346 e si può ipotizzare che a fine anni Novanta, quando il fenomeno era al suo apice, fossero 7.000. ll 52 per cento non esiste più. «Che effetto fa passare da lì, ora che sembra un supermercato».
Si potrebbe liquidare il contro-fenomeno “addio alle discoteche” spiegandolo con la crisi delle nascite. Nel 1965, l’anno più prolifico del dopoguerra, hanno visto la luce 1.018.000 neonati, che nel 1983 hanno invaso i locali. Nel 2006 (e quindi parliamo degli attuali ragazzi di 18 anni) sono nati 556.805 infanti: poco più della metà. Il dato demografico, però, non basta. Come fa notare Riccardo Giannini detto “Il barone”, storico pr, gestore e proprietario di importanti locali del Nord Italia, «lediscoteche contemporanee sono più piccole e vuote di quelle dei Novanta e lavorano la metà».
Sì, a cavallo delle due decadi aprirono edifici per il ballo di massa di impressionante dimensione. Ad Airasca, 24 chilometri a sud di Torino, il 18 dicembre 1992 fu inaugurato Ultimo Impero, stile neoclassico, tre anni di lavori. Era su quattro piani,aveva sette piste e nove bar. Venivano in pullman da Brescia, Pavia e da Genova, spesso guarniti di alcol e pasticche, per ascoltare la martellante house proposta. Oggi, diciassette anni di abbandono, una coltre di alberi è cresciuta sul prospetto d’ingresso.
Se ci spostiamo sull’asse emiliano Reggio-Modena-Parma, nella primafase di quell’epoca il vero centro del divertimento italiano, troviamo, a Cella, i resti del Marabù. «Funzioneranno solo le discoteche grandi», predisse nel 1977 Marcella Bella all’imprenditore locale Sandro Gasparini. Così fu: palco da 130 metri quadrati, pista da 300, 2.000 posti a sedere. La cassa arrivò a staccare 15.000 biglietti. Il Marabù fu ampliato nell’86 e dotato di un impianto di luce stellare. Tanto, troppo costoso. Con il calo dei clienti, si trasformò in un oggetto ingestibile e alla fine, nel 2000, passò di mano a una cooperativa per 7 miliardi di lire (erano debiti). Marcella Bella ricorda: «Le discoteche sono state una palestra fondamentale che i giovani cantanti di oggi non conoscono».
Il Gheodrome di Cesena ospitò i Genesis. Il Piper di Roma, giovanissimi Pink Floyd. Il “dancing” diventò l’ombelico del nostro mondo, muovendo denaro e interessando la politica. Al Picchio Rosso di Formigine (Modena) sempre nel 1977 fu ambientato un episodio de I nuovi mostri, oggi ci hanno costruito appartamenti. All’esterno del Lanternone di Palinuro, alla cui consolle si è formato Jovanotti, ci pascolano mucche e cavalli. L’Exodus di Portomaggiore, Ferrara, fu lo sfondo per la sigla diÈ Fantastico (Discobambina), con Heather Parisi. Non esiste più. Sull’area del Rolling Stone di Milano, ispirato allo Studio 54 di New York, è cresciuto un condominio di tredici piani. Il Palladium Disco di Torri di Quartesolo, fuori Vicenza, due anni fa è diventato una chiesa ortodossa serba. All’interno del mastodontico Genux di Lonato, provincia di Brescia, si contemplano riti con croci rovesciate e scritte 666.
C’è chi capì un istante prima che l’incanto stava finendo. Umberto Smaila, 74 anni, paroliere e musicista dei Gatti di Vicolo Miracoli, quindi imprenditore in franchising dei locali Smaila’s dove si fa musica per pianoforte e voce, racconta: «Al volgere degli Anni ’80 c’era già stanchezza per dischi e consolle, me ne accorsi quando iniziai a usare il piano nei locali. Molti cercavano un rapporto più diretto con la musica e certi ritmi, il twist italiano, Rocky Roberts, tutto Battisti, venivano meglio dal vivo».
Johnson Righeira, ideatore con Michael di brani aderenti agli Anni ’80 —Vamos a la Playa, Lestate sta finendo –, ora dice: «La discoteca è finita perché non poteva essere infinita e perché in questo Paese per la musica di intrattenimento non c’è mai stata alcuna attenzione pubblica».