Questo sito utilizza cookies tecnici (propri e di terze parti) come anche cookie di profilazione (di terze parti) sia per proprie necessità funzionali, sia per inviarti messaggi pubblicitari in linea con tue preferenze. Per saperne di più o per negare il consenso all'uso dei cookie di profilazione clicca qui. Scorrendo questa pagina, cliccando su un link o proseguendo la navigazione in altra maniera, acconsenti all'uso dei cookie Ok, accetto

 2024  maggio 13 Lunedì calendario

Intervista a James Ellroy

James Ellroy indossa una camicia sgargiante, ne va molto fiero: «Dovresti comprarla anche tu, sta bene a tutti: l’ho trovata su un catalogo e ne ho ordinate di tutti i colori. Segnati il nome del catalogo». Segno, il tipo non è di quelli ai quali si dice serenamente un no in faccia. Prima dell’intervista, Ellroy incontra il pubblico del Salone del libro per presentare il suo nuovo romanzo, Gli incantatori (Einaudi Stile libero big): il maestro indiscusso del noir americano ha scritto una storia ambientata a Los Angeles nell’estate del 1962, l’estate in cui Marilyn Monroe viene trovata morta in casa sua, uccisa da una overdose di barbiturici e un detective privato entra in casa sua prima dell’arrivo della polizia per cercare di trovare indizi compromettenti per il presidente degli Stati Uniti, John Fitzgerald Kennedy (suo amante) e per suo fratello Robert. Ma questo non è un libro su Marilyn Monroe o sui fratelli Kennedy.
La sala gremitissima accoglie Ellroy con una ovazione. Ellroy ricambia, sale sul palco, prende il microfono e inizia a ululare. Come i lupi, come il cane al quale deve il suo soprannome ("The dog"). Ulula molto forte, molto a lungo. Poi smette, ma ha ancora il suo saluto speciale per il suo pubblico: «Buon pomeriggio. Sono l’autore di venti libri, tutti capolavori, che precedono i miei futuri capolavori. Questi libri vi lasceranno sconvolti, lavati a vapore e a secco, ripiegati, messi in un angolo, fidelizzati, tatuati e sfanculati. Buona sera guardoni, furfanti, pederasti, annusatori di mutande, punk e magnaccia. Sono James Ellroy, il cane infernale, il gufo pazzo con il rantolo della morte, il cavaliere bianco della destra estrema. Ora ascoltatemi e leggete i miei libri. Libri e personaggi perfetti per tutta la famiglia. A patto che la vostra famiglia sia la famiglia Manson». La famiglia Manson, quella dell’eccidio di Cielo Drive, in cui furono assassinati Sharon Tate e quattro suoi amici. Auguri.
Sgombriamo il campo dagli equivoci: questo nuovo libro non è un libro su Marilyn Monroe e i Kennedy. Qui il protagonista è Freddy Otash, ex poliziotto, investigatore privato, ricattatore e pronto a vendersi al miglior offerente. Che personaggio era il vero Freddy Otash che lei ha conosciuto?
«Freddy Otash è un americano di seconda generazione, figlio di immigrati libanesi. L’unica volta che l’ho visto veramente incazzato con me è stato quando gli gridai: “Ehi Freddy, tu sei musulmano?”. Lui mi rispose gridando altrettanto forte che era un cristiano, bianco e americano esattamente come ero io. Era un personaggio losco, sempre ai limiti, un vero figlio di puttana. Era un informatore sia della polizia che delle riviste scandalistiche. Conosceva tutti gli scandali di Hollywood e della politica. Era un tossico, un tipo dei peggiori, ma io nella finzione letteraria gli ho dato delle qualità fisiche e intellettuali, trasformandolo in un personaggio affascinante».
Otash è l’io narrante di questa storia e fin dai primi capitoli si capisce che è un alcolizzato, un tossicodipendente, un voyeur con qualche tratto piuttosto accentuato di necrofilia. Come ci si fida di una storia raccontata da un tipo così?
«Sì, è vero, Freddy è un guardone, un annusatore di mutandine altrui, non c’è modo migliore per definirlo. Ma questo è un aspetto del carattere che mi ha sempre interessato molto. Io sono cresciuto in una zona di Los Angeles molto difficile e del tutto non raccomandabile. Io me ne andavo in giro per Hollywood e mi ricordo quelle ragazze splendide ed eleganti, tutte vestite di rosa confetto. Le guardavo entrare nelle loro case e le spiavo dalla finestra. E per questo motivo fin da ragazzo sono finito nei guai. Freddy Otash in questo senso è una versione di me stesso quando ero giovane. Ma Freddy è anche un ex poliziotto con un talento per dare la caccia ai criminali e per mettere le cose a posto nei casi di omicidio e anche questo è un po’ quello che faccio io con le mie storie».
Spesso nei suoi romanzi personaggi reali e di immaginazione si mischiano. e così importante distinguere il vero dal verosimile?
«Il mio ruolo è quello di creare delle storie, delle gabbie dentro le quali i lettori cadano e non si chiedano mai se quello che stanno leggendo è vero, verosimile e semplicemente falso. Il mio lavoro di scrittore è creare dei mondi dentro i quali i lettori non si facciano quel tipo di domande. Io non dico mai che cosa sia reale e cosa no. La mia missione è distorcere un po’ la storia e insultare persone che ormai sono morte e non possono più denunciarmi perché racconto il falso».
Che ricordi ha del giorno in cui è morta Marilyn?
«Me lo ricordo perfettamente perché come tutti la seguivo e rimasi colpito. Ma all’epoca avevo quattordici anni e consegnavo giornali e il giorno dopo ne vendetti tantissimi ricevendo una montagna di mance assolutamente inaspettate. Tutto sommato, non un giorno cattivo. Però bisogna dire questo. Marilyn era un grande inganno, un’attrice priva di talento, una criminale alle prime armi pazza, noiosissima e fastidiosa con gli altri. È un personaggio che potremmo anche dimenticarci, una persona vuota come una scatola di pietre e patetica».
Il suo sguardo è sempre rivolto al passato, in questo come in altri romanzi ai primi anni Sessanta, ma lei stesso ha definito “Gli incantatori” un romanzo modernista, pensando agli anni Venti del secolo scorso? Cosa l’attrae del passato?
«Tutto, io vivo nel passato. Il presente non esiste. La storia stessa come la conosciamo è costruita attraverso lo stesso meccanismo con cui costruiamo le storie di finzione. Viene data una interpretazione del tutto aleatoria e falsa delle cose che sono successe realmente per adattare il passato a quello che ci fa comodo. La storia è una grande truffa». —