Questo sito utilizza cookies tecnici (propri e di terze parti) come anche cookie di profilazione (di terze parti) sia per proprie necessità funzionali, sia per inviarti messaggi pubblicitari in linea con tue preferenze. Per saperne di più o per negare il consenso all'uso dei cookie di profilazione clicca qui. Scorrendo questa pagina, cliccando su un link o proseguendo la navigazione in altra maniera, acconsenti all'uso dei cookie Ok, accetto

 2024  aprile 13 Sabato calendario

La rivolta dei giornalisti


romaLa maggioranza di governo ha deciso di trasformare la Rai nel proprio megafono». La rivolta dei giornalisti del servizio pubblico esplode in un comunicato di fuoco del sindacato Usigrai, letto in tutti i telegiornali della tv di Stato. La protesta nasce dalla delibera sulla par condicio approvata – solo con i voti del centrodestra – dalla commissione di Vigilanza Rai martedì sera, e sconfessata ieri da una decisione dell’Agcom. Due i passaggi contestati dalla sigla sindacale più rappresentativa in Rai: la norma che «consente ai rappresentanti del governo di parlare nei talk senza vincoli di tempo e senza contraddittorio» e quella che permetterà a Rainews24 di trasmettere integralmente i comizi «senza alcuna mediazione giornalistica». La nota promette una mobilitazione «per garantire un’informazione indipendente e plurale». Si dissocia Unirai, sigla minoritaria di destra: «Anche i nostri iscritti sono stati costretti a leggere in diretta l’esagerato comunicato dell’Usigrai».Nelle stesse ore, l’Agcom (ieri il presidente Giacomo Lasorella è stato ricevuto al Quirinale) si è smarcata dalla delibera della Vigilanza: il consiglio dell’Autorità ha approvato il proprio regolamento sulla par condicio per le emittenti private senza accogliere le modifiche introdotte per il servizio pubblico dalla maggioranza. Nessun riferimento alla possibilità, per i ministri e la premier, di prendersi più spazio nei talk show in nome della «puntuale informazione sulle attività istituzionali». Tutto chiaro, dunque? Affatto. L’Usigrai ha plaudito alla scelta «di non accogliere le modifiche varate dalla maggioranza», ma la decisione ha dato vita a una giungla di interpretazioni, su cui l’Autorità finora non ha fatto chiarezza con una lettura univoca. Anzi, i membri dell’organo sono intervenuti in ordine sparso. Secondo il consigliere Antonio Giacomelli, ex deputato Pd, il regolamento approvato da Agcom «è perfettamente sovrapponibile con la delibera della commissione di Vigilanza», formulata nel rispetto delle leggi del 2000 e del 1993, «pur con diverse variazioni lessicali». Vorrebbe dire che le eccezioni pensate dalla maggioranza a uso e consumo del governo non hanno alcun valore davanti ai due provvedimenti, più restrittivi sulla presenza dei ministri nei programmi di approfondimento. Dissente Elisa Giomi, consigliera in quota M5s, l’unica a votare contro la delibera: «Per la prima volta dalla legge sulla par condicio del 2000, i due regolamenti che la attuano, quello di Agcom e quello della Commissione di Vigilanza Rai sono differenti, e non si tratta certo di una pura questione lessicale». Per la professoressa «la discrepanza introduce due pesi e due misure» per la tv pubblica e quella privata. La confusione è testimoniata da un’anomalia: applaudono sia la maggioranza che l’opposizione. Secondo il capogruppo dem in Vigilanza Stefano Graziano, «il voto del consiglio dell’Agcom conferma che non possono essere previste corsie preferenziali per la maggioranza e il governo». Dario Carotenuto, per il M5s, parla di «schiaffo al “lodo Fazzolari"», in riferimento al sottosegretario alla presidenza del Consiglio, che sarebbe stato l’ispiratore degli emendamenti a misura di governo. Per FdI, al contrario, l’Agcom ha chiarito che «le regole sono uniformi», così «stroncando le clamorose falsità della sinistra». Affermazione che non spiegherebbe perché la maggioranza abbia sentito l’esigenza di inserire nella delibera Rai una deroga ad hoc per la comunicazione istituzionale nei talk show. Esprime soddisfazione il capogruppo di Forza Italia Maurizio Gasparri: «Le decisioni sono totalmente coincidenti, perché ispirate alle leggi vigenti del 1993 e del 2000».I parlamentari dell’opposizioni attribuiscono proprio al dirigente forzista il trabocchetto in cui sono caduti i colleghi della maggioranza. FI non ha mai voluto la norma per svincolare il governo dalla par condicio: i ministeri azzurri sono meno pesanti e meno mediatici, al netto degli Esteri di Antonio Tajani. Per questo Gasparri, veterano del parlamento, ha disinnescato il regolamento senza spaccare la coalizione: i riferimenti alle leggi del 1993 e 2000 potrebbero aver neutralizzato del tutto le generose deroghe introdotte dalla delibera della commissione di Vigilanza Rai. —