Questo sito utilizza cookies tecnici (propri e di terze parti) come anche cookie di profilazione (di terze parti) sia per proprie necessità funzionali, sia per inviarti messaggi pubblicitari in linea con tue preferenze. Per saperne di più o per negare il consenso all'uso dei cookie di profilazione clicca qui. Scorrendo questa pagina, cliccando su un link o proseguendo la navigazione in altra maniera, acconsenti all'uso dei cookie Ok, accetto

 2024  febbraio 12 Lunedì calendario

New York – «Esorto tutti a trovare l’artigiano che è in voi». Ci separano una decina di tatuaggi e un paio di stivali a botte da queste parole

New York – «Esorto tutti a trovare l’artigiano che è in voi». Ci separano una decina di tatuaggi e un paio di stivali a botte da queste parole. Quarantaquattro anni, una scia di scazzottate divise tra Atlantide (Aquaman) e i nomadi Dothraki del Trono di spade. Jason Momoa poteva finire appeso a qualche calendario nei depositi delle bobine dei film Warner, prima che Los Angeles diventasse la Babele dei Macho Burrito (potete recuperare l’Ercole hawaiano, a inizio carriera, mentre mormora “It’s good to be macho!” nello spot Del Taco). Tra una licenza da bagnino e i dreadlocks esibiti in Stargate: Atlantis, Momoa si è conquistato piano piano il titolo di Ultimo Grande Eroe. Senza dubbio, il più imponente: un metro e 93 di altezza, cicatrice al sopracciglio, status di single vagabondo, dopo il divorzio da Lisa Bonet.
Con una sola manovra dell’occhio rimette tutto in prospettiva: l’infanzia a Honolulu, l’adolescenza nella periferia di Des Moines tra opere di Keith Haring e Willem de Kooning, l’arte del dare gas e perdersi per il mondo in sella a una Harley-Davidson. Lo star system continua a reclamarlo: lo attendono la miniserie Apple Chief of War, l’adattamento del videogioco Minecraft, il ritorno al franchise Fast & Furious. In testa, un travel show che piacerebbe al David Carradine di Fast Charlie... the Moonbeam Rider. Si chiama On the Roam e sarà disponibile su Discovery+ dal 26 febbraio, un episodio a settimana ogni lunedì. Di viaggio in viaggio, la docuserie esplora avventure e passioni dell’attore – artigianato, rock, armature – fino all’incontro con i suoi mostri sacri, dai fabbri eremiti ai costruttori di telai e motori, dai fotografi di paesaggi agli stunt con cui si allena sui set.
In On the Roam c’e il Momoa che non conoscevamo ancora.
«Mettermi in viaggio a Fort Worth e trovarmi nel garage di Terry Shanks oppure osservare un fotografo come Todd Hido – il mio mito dopo Tom Waits – e vedere la sua Leica compiere magie tra i paesaggi dell’Idaho, dove sono cresciuto, è come sentire l’America che apre le porte. Ogni artigiano di On the Roam è un pezzo di vita che porto con me: dalla giacca con la fodera di viscosa ai corni di Baba Voss in See fino a gemme e pietre tagliate ad arte da Richard Baggett. Per non parlare del guardaroba di Aquaman o dei pugnali targati Neil Kamimura – il suo bisnonno è stato il primo e ultimo fabbro delle Hawaii. I miei personaggi non esisterebbero senza questa tribù di amici-artigiani. Tutti gli artisti di cui mi circondo hanno qualcosa da insegnare e sono parte del mio vivere zingaro. Rendo loro il tributo che meritano. Sono un papà orso ma con l’eterna curiosità di un bambino. A tenermi acceso è l’empatia umana».Da collezionista hardcore, cosa ha aggiunto al suo caveau dopo la fine delle riprese?
«Non smetto mai di cercare lenti vintage, amo le imperfezioni nelle macchine fotografiche. Le motociclette sono un grosso tarlo».
New York – «Esorto tutti a trovare l’artigiano che è in voi». Ci separano una decina di tatuaggi e un paio di stivali a botte da queste parole. Quarantaquattro anni, una scia di scazzottate divise tra Atlantide (Aquaman) e i nomadi Dothraki del Trono di spade. Jason Momoa poteva finire appeso a qualche calendario nei depositi delle bobine dei film Warner, prima che Los Angeles diventasse la Babele dei Macho Burrito (potete recuperare l’Ercole hawaiano, a inizio carriera, mentre mormora “It’s good to be macho!” nello spot Del Taco). Tra una licenza da bagnino e i dreadlocks esibiti in Stargate: Atlantis, Momoa si è conquistato piano piano il titolo di Ultimo Grande Eroe. Senza dubbio, il più imponente: un metro e 93 di altezza, cicatrice al sopracciglio, status di single vagabondo, dopo il divorzio da Lisa Bonet.

Con una sola manovra dell’occhio rimette tutto in prospettiva: l’infanzia a Honolulu, l’adolescenza nella periferia di Des Moines tra opere di Keith Haring e Willem de Kooning, l’arte del dare gas e perdersi per il mondo in sella a una Harley-Davidson. Lo star system continua a reclamarlo: lo attendono la miniserie Apple Chief of War, l’adattamento del videogioco Minecraft, il ritorno al franchise Fast & Furious. In testa, un travel show che piacerebbe al David Carradine di Fast Charlie... the Moonbeam Rider. Si chiama On the Roam e sarà disponibile su Discovery+ dal 26 febbraio, un episodio a settimana ogni lunedì. Di viaggio in viaggio, la docuserie esplora avventure e passioni dell’attore – artigianato, rock, armature – fino all’incontro con i suoi mostri sacri, dai fabbri eremiti ai costruttori di telai e motori, dai fotografi di paesaggi agli stunt con cui si allena sui set.

PUBBLICITÀ

© 2023 Warner Bros. Discovery, Inc. or its subsidiaries and affiliates. All rights reserved.
© 2023 Warner Bros. Discovery, Inc. or its subsidiaries and affiliates. All rights reserved.
In On the Roam c’e il Momoa che non conoscevamo ancora.
«Mettermi in viaggio a Fort Worth e trovarmi nel garage di Terry Shanks oppure osservare un fotografo come Todd Hido – il mio mito dopo Tom Waits – e vedere la sua Leica compiere magie tra i paesaggi dell’Idaho, dove sono cresciuto, è come sentire l’America che apre le porte. Ogni artigiano di On the Roam è un pezzo di vita che porto con me: dalla giacca con la fodera di viscosa ai corni di Baba Voss in See fino a gemme e pietre tagliate ad arte da Richard Baggett. Per non parlare del guardaroba di Aquaman o dei pugnali targati Neil Kamimura – il suo bisnonno è stato il primo e ultimo fabbro delle Hawaii. I miei personaggi non esisterebbero senza questa tribù di amici-artigiani. Tutti gli artisti di cui mi circondo hanno qualcosa da insegnare e sono parte del mio vivere zingaro. Rendo loro il tributo che meritano. Sono un papà orso ma con l’eterna curiosità di un bambino. A tenermi acceso è l’empatia umana».
© 2023 Warner Bros. Discovery, Inc. or its subsidiaries and affiliates. All rights reserved.
© 2023 Warner Bros. Discovery, Inc. or its subsidiaries and affiliates. All rights reserved.
Da collezionista hardcore, cosa ha aggiunto al suo caveau dopo la fine delle riprese?
«Non smetto mai di cercare lenti vintage, amo le imperfezioni nelle macchine fotografiche. Le motociclette sono un grosso tarlo».
© 2023 Warner Bros. Discovery, Inc. or its subsidiaries and affiliates. All rights reserved.
© 2023 Warner Bros. Discovery, Inc. or its subsidiaries and affiliates. All rights reserved.
La troviamo in versione Easy Rider dalla Nuova Zelanda all’America pre-elezioni. Esiste ancora il sogno americano?
«A diciannove anni, per Baywatch Hawaii guadagnavo tremila dollari a episodio, tasse escluse. Vivevo a casa di mio padre e guidavo la sua auto. Avevo anche un Jeep ma questo lui non lo sa. Risparmiavo soldi per comprare una Harley, una Panhead del ‘57, che possiedo ancora. Ho girato un film con quella moto: Road to Paloma. La distanza più lunga che abbia mai percorso sulla Panhead va dalla West Coast al Midwest. Da ragazzo non sapevo bene cosa fosse il sogno di cui tutti parlano e quanto incredibile sarebbe stato attraversare l’America in motocicletta. Gli Stati Uniti sono un film infinito, e i miei sogni oggi si spostano un po’ più in là: un giorno mi vedrete sfrecciare lungo la Continental Divide, rigorosamente a bordo di una moto anni Venti».
Ha terminato le riprese di In the hand of Dante, diretto da Julian Schnabel. Ora che è ufficiale una seconda stagione di On the Roam, l’Italia sarà tra le prossime tappe?
«Potrei girare una dannata, intera stagione di On the Roam sugli artisti italiani. Siete gli inventori dell’artigianato. Se solo potessi passare tutto il tempo seduto accanto a un calzolaio, in bottega. Sarebbe un onore anche scovare borghi sperduti e rubare con gli occhi le specialità della casa, soprattutto la pasta fatta a mano. Poi ho un debole per l’abbigliamento: se penso agli abiti Valentino, non esco più dal guardaroba. Julian Schnabel? Lo aggiungo alla lista degli artisti generosi che ho incontrato. Tra un ciak e l’altro in Sicilia e a Venezia, mi ha insegnato nuove tecniche di pittura e di regia. Non a caso, On the Roam è co-diretto e prodotto da me».
In casa ha una maglia del Palermo…
«Non vedete quanto gesticolo? Sono diventato un siciliano vero».
La sua docuserie è accompagnata da parecchia musica. Dai Metallica a Willie Nelson che canta On the road again, fino alla partecipazione del chitarrista dei Guns n’ Roses, Slash. «Mio nonno suonava la chitarra elettrica. Entrambi i miei zii erano basso e chitarra della band del nonno. Mio padre suonava i bonghi e l’ukulele, e tutti cantavano. Slash è l’eroe della mia infanzia – Sweet Child o’ Mine può bastare? Il mio Aquaman è praticamente Slash con un tridente al posto della chitarra. Le chitarre sono delle capsule del tempo, ogni strumento ha il suo mojo ed è fatto di tante cose: polvere, cenere, anima. Tenere in mano la Gibson Les Paul, parlare ore e ore di Muddy Waters o visitare la casa delle Gibson Guitars a Nashville, è tutta vita che pompa nelle mie vene. Io sono un semplice cantastorie che non riesce a stare fermo un istante. Starei sempre sul palco, con l’orecchio teso verso il mondo per apprendere ciò che non so. L’arte è il mio, e spero anche il vostro, Santo Graal».