Questo sito utilizza cookies tecnici (propri e di terze parti) come anche cookie di profilazione (di terze parti) sia per proprie necessità funzionali, sia per inviarti messaggi pubblicitari in linea con tue preferenze. Per saperne di più o per negare il consenso all'uso dei cookie di profilazione clicca qui. Scorrendo questa pagina, cliccando su un link o proseguendo la navigazione in altra maniera, acconsenti all'uso dei cookie Ok, accetto

 2024  febbraio 12 Lunedì calendario

Il secolo lungo de «l’Unità»

L’omaggio allo stile umano e professionale di Alberto Jacoviello, storico inviato di esteri de «L’Unità», porta la firma di Indro Montanelli che condivise con lui i giorni della rivolta dell’Ungheria nel 1956 contro i carri armati sovietici. Jacoviello, raccontò Montanelli (la testimonianza appare in Profili di grandi giornalisti lucani, di Annalisa Tarullo), era diviso tra fedeltà alla linea ufficiale del Pci a favore di Mosca e istintivo sostegno all’insurrezione anti-russa: «Mi appariva come uno che, avendo preso i voti, sente crescere in sé la forza dell’eresia, e non trova scampo. In quel clima di disperazione Jacoviello si dimostrò d’altronde un eccellente collega: non profittò mai della posizione di privilegio che, almeno in teoria, doveva venir riconosciuta a un comunista in un Paese comunista». Detto da Montanelli, una medaglia sul campo.
Il libro L’Unità. Una storia, tante storie di Roberto Roscani, appena uscito da Fandango è una miniera di testimonianze e racconti (come Montanelli-Jacoviello) sulla vicenda dell’organo ufficiale del Pci ideato da Antonio Gramsci e uscito per la prima volta esattamente cent’anni fa, il 12 febbraio 1924. Chi conosce Roscani sa che è il suo primo libro («non scriverei cose che non avrei voglia di leggere») perché ignora manie di protagonismo. Roscani entrò in quella redazione nella primavera 1974, diventando anni dopo capo della sezione Cultura e Spettacoli, e lì rimase fino alla traumatica chiusura nel luglio 2000, appresa al telefono al rientro da una vacanza all’estero. Da testimone di lungo corso narra «una storia nella Storia d’Italia e dentro – come in una matrioska – ci sono le storie di chi l’ha scritta e di chi l’ha letta, di chi l’ha diretta e di chi l’ha diffusa, di chi l’ha portata con orgoglio, piegata in tasca o ostentata alle manifestazioni…»: cronache del quotidiano nella seconda metà del Novecento. Poi, certo, «L’Unità» è tornata nel nuovo secolo ma, scrive l’autore, «le storie seguite nel nuovo millennio sono altre storie, quello che chiuse nel luglio 2000 era il quotidiano fondato da Gramsci e soprattutto rifondato da Palmiro Togliatti, il giornale di partito più diffuso in Italia e nell’Europa occidentale».
Il libro non vuole essere un manuale di storia diacronico, ma procede per vicende e temi. Per esempio la presenza di ex democristiani in redazione, poco nota al grande pubblico ma culturalmente significativa. Mario Melloni, alias Fortebraccio, ex fustigatore di comunisti da direttore dell’organo della Dc «Il Popolo» e poi sarcastico corsivista su «L’Unità». E Ugo Baduel, destinato a firmare sul giornale la cronaca dell’agonia e della morte di Enrico Berlinguer nel giugno 1984: bello il passaggio sui famosi titoli per le edizioni straordinarie, solo parole in rosso maiuscolo in carattere Franklin cubitale a mezza pagina, «È MORTO», «ADDIO». Poi «TUTTI» per i funerali. Pochi mesi prima c’era stato «ECCOCI» per i cortei operai a difesa della scala mobile. Modulo comunicativo che inconsapevolmente anticipava gli sms della nostra contemporaneità. C’è il complesso rapporto di Pier Paolo Pasolini con il quotidiano tra stroncature (leggendaria quella di Carlo Salinari, uomo della Resistenza e temuto docente di Letteratura italiana a La Sapienza di Roma, che nel 1955 condannò il «gusto del morboso» in Ragazzi di vita) e rivalutazioni (già nel 1957, per Una vita violenta, Michele Rago parlò di «vigorosa denuncia dello stato di violenza che produce tra i giovani altra violenza»).
Ecco la morte, il 6 dicembre 1966, dell’allora direttore Mario Alicata, ucciso da un infarto nel letto di una signora che non era la sua compagna ufficiale: la poveretta avvisò nel panico la vigilanza delle Botteghe Oscure che spostò il corpo in una clinica romana da dove partì poi la notizia ufficiale della scomparsa «per arresto cardiaco in sala operatoria, dopo alcune cure».
C’è l’onesta ammissione della iniziale incapacità di comprendere, in redazione, il fenomeno del 1977 con la storica contestazione di Luciano Lama, leader della Cgil, all’università La Sapienza. Poi la ricostruzione dello «Tusnami del 1982» (titolo del capitolo), ovvero «della pubblicazione di “un documento artefatto”, come lo definirono gli analisti dei Servizi segreti, che chiamava in causa esponenti della Dc, cioè Francesco Patriarca e Vincenzo Scotti, come protagonisti di una trattativa col capo camorrista Raffaele Cutolo per ottenere la liberazione dell’assessore regionale Ciro Cirillo, rapito dalle Brigate Rosse». L’allora direttore Claudio Petruccioli, che si dimise dopo la scoperta del finto scoop, ha fornito a Roscani tutti i documenti per una storia ancora non del tutto decifrabile.
C’è infinitamente molto altro nella matrioska di Roscani (ecco direttori come Emanuele Macaluso, Walter Veltroni, Renzo Foa), tutto materiale accurato e documentato. Un capitolo essenziale della storia dell’Italia repubblicana.