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 2024  febbraio 11 Domenica calendario

I finerali di Vittorio Emanuele

Maurizio Crosetti per la Repubblica
TORINO — C’era una volta un re, anzi non c’era, non c’è mai stato. C’era in compenso tutta la pioggia dell’universo a maltrattare rose bianche e rose rosse, davanti a trecento persone scarse in attesa del funerale del signor Vittorio Emanuele di Savoia, gente fredda di suo e gelata dal vento. Il feretro del figlio dell’ultimo sovrano d’Italia, Umberto II, è sfilato davanti a ombrelli e gonfaloni, guardie d’onore e ordini dinastici, e poi mantelli, vessilli, medaglie. È passato davanti a quattro gatti bagnati oltre le transenne, rari testimoni di un mondo che non esiste più, spettatori di una rappresentazione teatrale che, almeno qui da noi, si chiama monarchia.
Sembrava il set di uno dei molti film di stampo ottocentesco che si girano a Torino. E tra prìncipi, cavalieri, granduchi e principesse non proprio delle favole, il carnevale sabaudo ha stretto la mano a volti noti e meno noti. Tutti avranno riconosciuto Alberto di Monaco, molti la regina (emerita) di Spagna, Sofia, e naturalmente il figlio del defunto, Emanuele Filiberto (anche per via dei reality) e la vedova Marina Doria. C’erano pure Carlo e Camilla, però di Borbone delle Due Sicilie, il granduca George di Russia, i principi Astrid e Lorenz del Belgio, l’arciduca Martino di Asburgo e soprattutto il principe Jean Christope Napoleone Bonaparte, discendente.
L’officiante, Sua Eminenza monsignor Paolo de Nicolò, Gran Priore degli Ordini Dinastici della Real Casa (è stato, come capirete, un giorno pieno di maiuscole), ha detto tra l’altro: «In questo momento il nostro amato principe, Sua Altezza Reale Vittorio Emanuele, sta mettendo la sua mano in quella di Gesù, e lo sta ringraziando della sovranità che il Signore gli ha dato: perché la sovranità è un dono divino». Anche Papa Francesco ha inviato un messaggio di condoglianze, evitando però riferimenti ai regni terreni direttamente collegati con quelli celesti.
Tre la autorità civili accorse in Duomo (venerdì, alla camera ardente alla Reggia di Venaria si era presentato anche Ignazio La Russa) non è sfuggita la presenza di Mario Borghezio, leghista emerito, e neppure quella del presidente del Consiglio regionale del Piemonte, Stefano Allasia. Non c’era Stefano Lo Russo, sindaco di Torino. «Non lo conosco» ha commentato Emanuele Filiberto. «Mio padre era nato a Napoli e sarà sepolto a Torino: questa è l’unità d’Italia, questa è Casa Savoia».
È stato un funerale a inviti, altrimenti non si poteva entrare, i diversi settori del Duomo indicati da lettere, come a teatro. La baradi Vittorio Emanuele è stata deposta a terra davanti all’altare, coperta dalla bandiera del Regno d’Italia e dal drappo con i colori di Casa Savoia, listato a lutto. Tra le mani che hanno sistemato il tessuto rosso, anche quella di Aimone di Savoia-Aosta, ovvero il Duca d’Aosta, figlio di quell’Amedeo che per decenni, prima di morire nel 2021, si era sentito il legittimo erede al trono inesistente. Un gesto, quella mano sul drappo, che segnerebbe la fine delle ostilità tra i due rami della famiglia.
Ci sarebbe stato una volta un re, senza il referendum del 2 giugno 1946, ma qualcosa resta della presenza monarchico-nostalgica in questa città prima capitale, con strade e piazze piene di sovrani, una toponomastica che il tempo non cancella. Anche se avere concesso addirittura la cattedrale a Vittorio Emanuele ha suscitato dubbi e polemiche. Qui, dove vennero celebrate le esequie del Grande Torino e dei morti della Thyssen, oltre che dell’avvocato Agnelli, e dov’è custodita la Sindone, che peraltro fu donata dai Savoia allo Stato dal padre del defunto. Un luogo di grande significato religioso e forte valore simbolico, forse un po’ troppo per dire addio a un personaggio così controverso.
Ora il corpo di Vittorio Emanuele Alberto Carlo Teodoro Umberto Bonifacio Amedeo Damiano Bernardino Gennaro Maria di Savoia verrà cremato, quindi le ceneri saranno tumulate nella basilica di Superga. L’ultimo atto di una vita e di una cerimonia chiuse sì da una corona, non sul capo ma di fiori.

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Candida Morvillo per il Corriere
Torino Davanti all’altare, quattro guardie in mantello nero presidiano – per evitare che qualcuno lo calpesti – il tappeto persiano dove di lì a poco sarà poggiato il feretro di Vittorio Emanuele di Savoia. Fuori dal Duomo di Torino, l’ispettore per l’Istituto nazionale per la guardia d’onore alle Reali tombe del Pantheon Massimiliano Gottardi ondeggia sotto le folte piume nere del cappello e addestra un picchetto di guardie per l’arrivo dei reali da tutta Europa: «Naturalmente», scandisce, «state schierati senza ombrello. Quindi: chiunque passi, a…ttenti! A…ttenti! E solo quando passa il feretro: presentat’arm». E qui, sul «presentat’arm», fa un gesto secco e svelto col braccio che neanche i meme di Angela Brambati dei Ricchi e Poveri al Festival di Sanremo.
La monarchia che non c’è più è un altrove fatto anche di coreografie, un luogo dove sopravvivono i riti, gli ordini, i cavalierati, gli stendardi arrivati da tutta Italia, rigorosamente su invito. Quattrocento gli ospiti. La monarchia che non c’è più è qui, dove sulle corone di fiori leggi «presidente del Consiglio», ma non è Giorgia Meloni che spedisce i fiori, quanto il premier di una qualche consulta monarchica, dinastica, chi può dirlo. È come una favola dove arriva un enorme cuscino di rose viola da Farah Diba Pahlavi di Persia, ultima imperatrice di un impero scomparso. È un funerale dove la famiglia del defunto prende posto sotto la Sacra Sindone, che per tutti è la reliquia più importante della cristianità, ma che per loro era un cimelio che apparteneva ai loro avi e perciò monsignor Paolo De Nicolò che officia le esequie li ringrazia del dono. Il Gran Priore degli Ordini Dinastici della Real Casa fa un’omelia asciutta, solenne, e assicura che Sua Altezza «sta guardando negli occhi Gesù e sta vivendo il suo solenne incontro con Cristo».
Piove sul sagrato del duomo, piove sulla folla sparsa e rada, piove sull’indifferenza della città, che sembra come sempre farsi i fatti suoi anche oggi che cadono tutti i re, oggi che si celebrano le esequie dell’ultimo Savoia nato in monarchia e allo stesso tempo si viene a sapere che John Elkann è indagato per una borghesissima questione di testamenti. Se ne va Vittorio che non fu mai re, scricchiola l’altra Casa Reale, quella degli Agnelli, del denaro e dell’industria. La storia inanella bizzarre coincidenze, come la vita del resto. Domattina, Vittorio Emanuele avrebbe compiuto 87 anni e sua moglie Marina Doria 89. Quando l’altra sera si sono chiuse le porte della camera ardente alla Reggia di Venaria, la sovrana mancata ha detto agli amici più cari: sarà il mio primo compleanno da sola da quando ho vent’anni. Ora, siede sull’altare, accanto a suo figlio Emanuele Filiberto. Ha gli occhiali scuri e no, non piangono né lei né lui. Non piangono i reali perché gli insegnano che mostrare i sentimenti fa plebeo. Non piansero Harry e William ragazzini dietro la bara di Diana, non lo fanno oggi Emanuele, le due figlie, Luisa e Vittoria, che con la morte del nonno diventa la nuova erede al trono perduto. Vittoria è sottile, elegante e somiglia alla mamma attrice, Clotilde Courau. Tutti in nero, i Savoia, come Maria Pia, la maggiore dei figli di Umberto. È in grigio solo Emanuele, entrato per ultimo, dietro alla bara, senza cappotto nel gelo di quest’inverno arrivato a tradimento, lui solo con la giacca, perché ce l’ha insegnato The Crown: i reali non temono il freddo neanche quando vanno alla messa di Sandringham a Natale.
Amava l’Italia e ha provato attraverso i suoi ordini a fare del bene A me ha dimostrato tutto l’affetto che poteva
È lui il nuovo capo della Real Casa di Savoia, nato in esilio, nel 1972, che è stato trentenne e nazionalpopolare quando faceva l’inviato di Quelli che il calcio, quando cantava con Pupo e si piazzava secondo a Sanremo. Sarebbe lui se non fosse che le diatribe ereditarie non le hanno inventate gli sceneggiatori di Succession. Alle 13.51 il primo a entrare in chiesa è suo cugino Aimone di Savoia Aosta con la moglie Olga di Grecia. Per la consulta del Regno, sarebbe lui invece l’erede al trono, a discapito dei Savoia che ne avrebbero perso il diritto quando Vittorio Emanuele sposò senza il consenso di re Umberto Marina Doria, rea di essere principessa solo del jet set, dello sci nautico e dei celebri biscotti. Ad Aimone chiedi: «Altezza, è qui come capo dei Savoia?» e lui, arrossendo: «Questa è proprio la domanda da non fare oggi. Sono qui per i funerali di mio zio». L’ultima volta che suo padre Amedeo e Vittorio Emanuele si videro (al matrimonio di Felipe e Letizia di Spagna) suo papà finì steso da un pugno («mi tirò su la principessa di Grecia» disse il Savoia Aosta a chi scrive). Perciò, adesso non passa inosservato Aimone che si mette sulla porta con Serge di Jugoslavia ad accogliere gli ospiti a partire dal regnante Alberto II di Monaco. Quando la bara entra in chiesa alle 15 e viene coperta con il drappo reale rosso è lui che prende uno dei cordoncini e la guida verso l’altare con altri tre Cavalieri Collari dell’Annunziata. «È un segnale di pace e distensione» si sussurra fra i banchi: le nuove generazioni sono meno litigiose delle precedenti. «Tra me e Aimone c’è sempre stata una forte amicizia e un grande affetto» dirà dopo Emanuele Filiberto. Almeno per oggi la tenzone è sospesa.
Ci sono la regina Sofia di Spagna, re Fouad II d’Egitto, Lea del Belgio, Carlo e Maria Caroline di Borbone delle Due Sicilie, Victoria Romanova, Diane del Lussemburgo, Licia Napoléon Bonaparte, Leka II di Albania, Alfonso di Bragança. Alberto di Monaco è arrivato da Sanremo, senza Charlène e senza Beatrice Borromeo, moglie di suo nipote Pierre, la quale ai Savoia ha tirato il brutto scherzo di un docufilm su Netflix non proprio elogiativo. Dalla quarta fila, non si sa come e perché, spunterà Daniel McVicar, il Clarke di Beautiful.
Emanuele Filiberto glissa sull’assenza delle autorità italiane, manca pure il sindaco di Torino Stefano Lo Russo: «Ognuno fa quello che vuole». C’è però l’ex sindaco di Milano Gabriele Albertini («Non sono monarchico, ma senza i Savoia, non ci sarebbe l’unità d’Italia»). Il principe, a fine cerimonia, ricorda che suo padre l’Italia l’amava, che era nato a Napoli e voleva essere sepolto a Torino, «che ha provato attraverso i suoi ordini a fare del bene». Quindi, ricorda il papà affettuoso: «Lui l’affetto non l’aveva ricevuto perché ai suoi tempi si usava così, ma con me ha rimediato dimostrandomi tutto il bene che poteva». I reali, se non hanno più un trono, possono almeno permettersi di avere un cuore.