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 2024  febbraio 11 Domenica calendario

La «reunion» della Fgci


firenze A tarda sera, d’improvviso, direttamente da Santiago del Cile, con un clic si materializzano in diretta video gli Inti-Illimani: El pueblo unido jamás será vencido. È forse questa «la nuova frontiera del socialismo, un socialismo digitale», evocata poco prima dal «compagno» Folena. Al Tuscany Hall, dove 50 anni dopo si sono riuniti quasi 500 (ormai ex) giovani comunisti, è un trionfo, tra abbracci e occhi lucidi.
Ci sono tutti i segretari della Fgci tra il ’70 e il ‘90. È la grande rimpatriata degli «eretici» del Pci, arrivati da tutta Italia grazie ad «Allonsanfàn», l’associazione che prende il nome dal film dei fratelli Taviani riadattando l’incipit della Marsigliese. L’ex deputata Marisa Nicchi, promotrice della reunion, è iperattiva. Di lei si narra un aneddoto mitico: custodisce una foto che la immortala con D’Alema a Cuba nel 1978, convinto a ballare per la prima volta in vita sua. Il rosso domina ovunque. E l’atmosfera sembra quella nostalgica di Good bye Lenin: mancano, forse, solo i cetriolini dello Spreewald. Parlano tutti o quasi, e i siluri sono diretti in gran parte verso il Pd, pur mai evocato esplicitamente. Walter Veltroni ha mandato un messaggio, Nicola Zingaretti ha scritto un ricordo «figiccino» su l’Unità, resuscitata per la quarta volta. In sala ci sono Andrea Orlando e Livia Turco. L’attesa ha un pathos crescente, con un unico traguardo collettivo: ascoltare Massimo D’Alema. Perché la verità è che tutti o quasi, nonostante da decenni ne contestino carattere e piglio elitario, sono lì per lui. Del resto il già «lider maximo», colpito dall’inchiesta sulla sua attività di lobbying per la vendita di navi e aerei alla Colombia, dopo aver stracciato la tessera del Pd è da tempo fuori dal giro. Ma da qualche tempo ha iniziato a rifare capolino in pubblico. Lo introduce Gianni Cuperlo, ultimo segretario della Fgci e fido scudiero: «La verità è che sono qui come gruppo spalla di D’Alema», dice al termine di una sentita riflessione storica, che non rifugge l’autocritica. Quei ragazzi di 40 anni fa, del resto, mai e poi mai avrebbero pensato che un giorno gli eredi del Msi sarebbero arrivati a Palazzo Chigi.
Le lacrime
L’ex leader ricorda
la piccola Hind Rajab uccisa a Gaza
dai bombardamenti
Poi il palco è tutto per D’Alema, tra il pacifismo (anche se non in salsa M5S), botte da orbi al suo ex partito e una prima pressoché assoluta: le lacrime. In sala non vola più una mosca. L’inizio è sarcastico: «Finora è stato tutto bellissimo. Ma non ho capito benissimo cosa stiamo facendo: un convegno storico, una seduta d’autocoscienza collettiva?». E poi: «Veniamo da una storia che è stata anche molto pedante: oltre alle lodi dobbiamo dirci pure la verità», dice l’ex premier. È il preludio alle staffilate: «Non è che la sinistra non c’è più nel mondo: ce n’è tanta... È che si è assai indebolita quella occidentale. Guardiamo la Spd in Germania: sulla politica estera ci fa rimpiangere la Merkel». È il passaggio che apre una lunga riflessione contro le armi: «L’Occidente vede ridimensionarsi il suo ruolo e il suo peso specifico. E reagisce a questa crisi con la paura, con il rancore, avendo come unico mezzo politico l’esercizio della forza: fattore che esalta le componenti nazionaliste».
Le critiche alla Nato
«Sull’Ucraina servirebbe aprire un negoziato per trovare una via d’uscita»
D’Alema non cita mai né il Pd, né la segretaria Schlein, ma gli obiettivi sono chiari: «La cosa di cui si avverte di più la mancanza è di un soggetto politico della sinistra. C’è, e io li capisco, il malessere di chi reclama l’assenza di un soggetto politico cattolico-democratico, mentre da parte mia avverto un’altra mancanza a sinistra». Ridateci Ds e Margherita, insomma.
E poi: «Vedo disumanizzazione, razzismo. Oggi per la prima volta vedo il volto di una bambina palestinese», dice riferendosi alla piccola Hind Rajab, uccisa dai bombardamenti israeliani. Ed è qui che l’ex premier si commuove: «Sono le lacrime di un vecchio militante...». E tornando sulla necessità di fermare le bombe a Gaza e in Ucraina, riavvolge il nastro al Prodi II, con lui ministro degli Esteri: «Nel 2006, quando ci fu la guerra in Libano noi non solo fummo per il “cessate il fuoco”, ma andammo a costruire... E lo facemmo non accettando l’idea che da una parte c’erano i buoni e dall’altra i terroristi». Ne ha pure per la Nato: «C’è un’opinione pubblica in Italia in disaccordo con il segretario generale Stoltenberg quando dice: “Prepariamoci a 10 anni di guerra contro la Russia”. Mentre invece servirebbe aprire un negoziato per vedere se si trova una via d’uscita ragionevole». E la lectio dalemiana non può che terminare sarcastica, com’era iniziata: «Devo dire che, tutto sommato, ci manteniamo abbastanza bene».