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 2023  novembre 28 Martedì calendario

Biografia di Peter Cameron

Peter Cameron, nato a Pompton Plains (Stati Uniti) il 29 novembre 1959 (64 anni). Scrittore. Tra i suoi romanzi Il weekend (1994), Quella sera dorata (2002), Un giorno questo dolore ti sarà utile (2007), Cose che succedono la notte (2020). Da ultimo in Italia è stata pubblicata la raccolta di racconti Cosa fa la gente tutto il giorno? (2023), apparsi originariamente su varie riviste tra il 1984 e il 2014. «Scrittore emozionante e raffinato, popolare e sofisticato, autore di romanzi ironici, coltissimi, tutti tradotti da Adelphi» (Alessandra Iadicicco)
Vita «“Incoraggiarmi a leggere è stato forse il regalo più grande dei miei genitori, poiché la lettura mi ha permesso di vivere esperienze che non avrei mai potuto vivere altrimenti. Penso spesso a quanto mi sentirei solo se non avessi letto romanzi fin dalla più tenera età: sono cresciuto in un mondo ferocemente e incessantemente eterosessuale, dove non ho trovato alcuna indicazione, né tanto meno conferma, della mia omosessualità. Ho sempre avuto bisogno di questo modo alternativo di essere vivo per sentirmi veramente vivo”. E cosa l’ha spinta alla scrittura? “L’idea che ogni vita, se esaminata da vicino, sia affascinante e degna di attenzione. Leggere è un atto ingegnoso poiché chiunque, leggendo un romanzo, lo filtra attraverso la propria coscienza. In questo modo ritengo che scrivere un libro sia un’esperienza molto simile alla lettura e che scrittori e lettori si somiglino più di quanto pensiamo. Gli scrittori creano, i lettori immaginano. L’idea della verità, da bambino, non mi interessava molto. Mi interessava di più inventare verità alternative, il che, ovviamente, equivale a mentire. Mi piaceva il potere di ingannare le persone, ed era sempre quel sottile equilibrio tra ciò che era successo e ciò che potevo far credere fosse successo, che mi eccitava. Credo che i miei romanzi siano proprio questo, bugie: ciò che poteva accadere, ma non è accaduto”. C’è mai stato un episodio in cui ha capito che, da quel momento in poi, nulla sarebbe stato come prima? “C’è stato un momento, all’università — avevo circa vent’anni — in cui ho capito di essere uno scrittore in modo profondo e consequenziale. È stato quando ho intuito che c’era un’abilità, dentro di me, ma che non sembrava mia, che non controllavo. Suppongo sia il talento. Quando siamo giovani, la nostra mente subconscia è spesso molto più avanzata di quella conscia, cosicché possiamo sapere e capire cose che possono essere espresse solo artisticamente, non intellettualmente. Forse anche per questo, man mano che invecchio, mi è sempre più difficile scrivere narrativa”» (a Maurizio Fiorino) • Laureatosi nel 1982 in Letteratura inglese all’Hamilton College di New York, nel 1983 ha venduto il suo primo racconto al The New Yorker. «All’inizio della sua carriera letteraria, Peter Cameron ha pubblicato alcuni racconti sul New Yorker, che si sono distinti, oltre che per la prosa elegante e la notevole capacità introspettiva, per una sincerità cruda e piena di dolore: si trattava di storie che rivelavano un’insopprimibile urgenza di essere condivise, e nelle quali lo spasmo lasciava spesso il posto a un’ironia inaspettata e catartica. Queste caratteristiche sono presenti anche nei due romanzi che gli hanno dato il successo internazionale: Un giorno questo dolore ti sarà utile, che già nel titolo tratto da una citazione di Ovidio ribadisce il suo approccio alla letteratura e all’esistenza, e Quella sera dorata, che in originale ha un titolo molto evocativo: The City of Your Final Destination, la città della tua destinazione finale. “Sono cresciuto in una cittadina a sole trenta miglia da New York, da dovesi vedeva l’Empire State Building: New York era il luogo mitico, la meta a cui aspirare, da vedere con rispetto e persino paura. Anche in quei momenti, però, sapevo che volevo andarci il più velocemente possibile» (Antonio Monda) • «Quando iniziai, negli anni Novanta, mi definivano “minimalista”. Un’etichetta che serviva soprattutto ai critici e oggi è dimenticata. Mi ritengo piuttosto uno scrittore d’altri tempi: costruisco romanzi come faceva Jane Austen. In fondo non lavoro in modo diverso da come facevano autori vissuti duecento anni fa. […] Scrivo lentamente. E fra un libro e l’altro vivo lunghi periodi in cui non trovo idee. Quando accade ho paura: mi convinco che non me ne verranno più, che non scriverò altri libri. Ho già vissuto quei momenti e so che prima o poi l’ispirazione arriva. Ma ogni volta non riesco a crederci: e vado in crisi Mi riconosco in tutti i miei personaggi, sono empatico con ciascuno di loro […] Le storie maturano nel mio subconscio, intrecciandosi a ciò che mi accade o che leggo. Ogni tanto diventano l’idea di un libro. Ma è un processo che non controllo. Del resto è difficile spiegare alla gente di cosa scrivo: non ho un genere riconoscibile. Scrivo storie di persone, ecco. Quei piccoli momenti della vita in cui il modo in cui interagiamo con gli altri ci cambia per sempre […] Chi scrive libri lo fa per sé stesso: inventa un mondo dove prende tutte le decisioni. Chi scrive per il cinema cede le sue idee agli Studios che possono cambiare tutto. Io scrivo mettendomi in gioco emotivamente e creativamente: non sopporterei imposizioni. È vero, ho scritto per il cinema: ma solo adattamenti di miei racconti. Forse ad attrarre i registi è il fatto che la mia struttura narrativa si basa sul dialogo e dunque la sceneggiatura è già lì: è facile immaginarsi il film. Romanzi più interiori sono meno facili da adattare. Se c’è un film tratto da un mio libro che preferisco? Quella sera dorata di James Ivory. Amo il suo perfezionismo: l’attenzione al dettaglio che ho anche io nei miei libri. D’altronde penso che quando si adatta un romanzo per il cinema la persona più importante non è lo sceneggiatore ma lo scenografo. È lui a tradurre la tua visione del mondo in immagini. I film dai miei libri in cui mi riconosco meno? The Weekend di Brian Skeet e Un giorno questo dolore ti sarà utile. Con Roberto Faenza provammo a lavorarci insieme: ma avevamo idee diverse e decisi di lasciare tutto a lui. Questo non vuol dire che il film non sia buono: solo che quando metti una storia fuori da te gli altri ci trovano quel che vogliono. Succede anche con i lettori, ciascuno si ricrea la storia a modo suo» (ad Anna Lombardi) • «Un giorno questo dolore ti sarà utile è stato paragonato al capolavoro di Salinger. “Quando ho cominciato a scrivere quel libro ero molto concentrato sulla storia di James e sul mondo che lo circondava e non pensavo a Il giovane Holden. Solo verso la metà della stesura mi sono reso conto che stavo scrivendo la storia di un ragazzo a New York, che incontrava gli stessi problemi e si poneva le stesse domande di Holden. Ho pensato: allora devo smetterla di scrivere, questo libro è già stato scritto. Ma poi mi sono reso conto che tutto - i personaggi, l’epoca, la città - era diverso. Bisogna dimenticarsi dei romanzi del passato, bisogna convincersi di scrivere l’unico libro che esista”» (a Riccardo De Palo) • «La scrittura cristallina e l’immaginazione rendono i romanzi di Peter Cameron perfetti e fascinosi. Cose che succedono di notte inizia in una stazione ferroviaria, marito e moglie non sono sicuri che sia quella giusta. Il marito scende per accertarsene, le valige verranno buttate giù dal treno in corsa. È una storia fascinosa, si entra e lì vorremmo restare. Ma neanche la mania dei romanzi massicci ha contagiato Peter Cameron: gli bastano 250 pagine per inventare un mondo, popolarlo di gente interessante, raccontare la morte e la vita, sfiorare il miracolo, tornare all’ironia» (Mariarosa Mancuso) • «Che scrittore meraviglioso, Peter Cameron. In questa raccolta di racconti, Che cosa fa la gente tutto il giorno?, è riuscito a distillare, con la grazia di una scrittura rivelata, tutto il dolore e l’inadeguatezza di una generazione nata e cresciuta nell’America degli anni Ottanta, che ha perso i punti di riferimento e può solo sopravvivere, giorno per giorno, senza neppure provare a schivare i colpi bassi della vita. Famiglie, case, amanti, matrimoni: i rifugi sicuri da cui sono stati educati a dipendere non garantiscono più riparo o stabilità a personaggi in cerca di un’identità, che si mostrano vulnerabili e insicuri di fronte alle cose che accadono, anche all’Aids che fa capolino nella narrazione. Cameron ci racconta le piccole cose delle piccole vite di questi uomini e donne non memorabili, un’umanità sconsolata ma non triste, che suscita piuttosto tenerezza e ci apre le porte a un mondo che assomiglia molto a quello dei racconti fulminei di Raymond Carver, un mondo rischiarato dai riverberi della luce al neon di una tavola calda di Edward Hopper» (Caterina Soffici) • «Che rapporto ha col passare del tempo? “Sono un nostalgico. Non mi piace la rapidità con cui le cose cambiano e preferisco il passato al presente o, Dio non voglia, al futuro. Vorrei essere più bravo ad accettare i modi in cui il mondo cambia, tutte le persone anziane che ammiro lo fanno, vivono nel presente, lo accettano. Sento che i recenti sviluppi tecnologici, perché non li chiamerei progressi, ci allontanano da noi stessi e dagli altri, e sminuiscono le nostre vite. In particolare, mi mancano i modi di scrivere e leggere che stanno scomparendo: il piacere estetico della penna sulla carta, lo sforzo di premere i tasti di una macchina da scrivere, il tenere tra le mani o sul viso un libro. Ho molti libri che hanno più di cento anni e funzionano ancora perfettamente”. Non si è mai cimentato, non in maniera spudorata, con l’autofiction. “Credo che alcuni romanzieri scrivano ispirandosi alle loro esperienze, altri, al contrario, partendo dalle loro esperienze e trasformandole con l’immaginazione. Faccio parte del secondo gruppo. Non ho mai trovato spunti narrativi nella mia vita, forse perché è troppo vicina a me e non riesco a vederla, o forse perché l’idea di vivere qualcosa e poi scriverne mi sembra ridondante. Scrivo per dimenticare me stesso, per esplorare e immaginare persone, luoghi ed esperienze che non sono le mie. È lo stesso motivo per cui amo leggere: per allargare e complicare il mio mondo, per dimenticare e perdermi nelle vite degli altri”» (a Maurizio Fiorino) • «Molti suoi personaggi sono gay. Ma a chi le chiedeva se una letteratura gay esiste lei ha risposto che “considerare uno scrittore rappresentante di qualcosa è segno di pigrizia intellettuale”. “Non esiste una letteratura etero: non capisco perché cercare una distinzione speciale. Scrivo di quello di cui ho esperienza: nella mia vita i gay esistono e dunque li voglio nei miei libri. Ma non ho una mia agenda: non cerco di influenzare nessuno”» (ad Anna Lombardi) • Ha casa a New York ma passa gran parte del tempo in Vermont: «Interagisco e convivo ogni giorno con gli animali e meno frequentemente con gli esseri umani. Bevo vino, birra o un cocktail tutti i giorni. Soffro di insonnia, cosa che mi preoccupa perché trovo che dormire e sognare siano di grande conforto, e possono passare anni in cui non scrivo. Stare in Vermont mi permette di continuare a sentirmi impegnato nel mondo. La mia vita è stata arricchita dal fatto di vivere a New York, in tutti i modi: sentimentalmente, sessualmente, intellettualmente, culturalmente, finanziariamente, ma è nella natura che sento l’antidoto a tutti i problemi che l’uomo ha creato» (a Maurizio Fiorino).
Critica «Influenzato da scrittrici britanniche quali Macaulay, Pym, Mortimer, ne mutua l’attitudine a scandagliare le vite individuali innescando, pur con una prosa limpida e scorrevole, meccanismi narrativi complessi che compongono un ritratto realistico e a tratti spietato delle relazioni umane, e in cui risaltano come nodi tematici fondamentali la memoria e il passato» (treccani.it) • «È fra gli scrittori americani uno di quelli che più sanno dosare la leggerezza dell’ironia e la pesantezza della serietà. Come un vittoriano catapultato nelle atmosfere di The Sex and the city. O viceversa, a piacere. [...] “Io scrivo romanzi perché ciò rappresenta una parte naturale e necessaria della mia vita. Sono una persona tranquilla e solitaria, la narrativa è il mio modo di comunicare e rappresentarmi. E spesso proprio leggendo altri romanzi mi sento connesso col mondo nel modo più vitale”» (Mario Baudino) • «Parlano di Peter Cameron come dello scrittore che ogni lettore sogna. Descrivono i suoi libri come “un Noël Coward riscritto da Franz Kafka”. Sono giusti i personaggi, ma sbagliati i ruoli: “Franz Kafka riscritto da Noël Coward” sarebbe molto più in linea con la linea “che male c’è a risvegliarsi scarafaggio?”» (Mariarosa Mancuso).
Amori Omosessuale • «Credo che tutti i matrimoni siano strani, eccome, lo credo davvero. L’idea di dedicarsi esclusivamente a una sola persona per il resto dei propri giorni mi pare incredibilmente coraggiosa, certo, ma anche presuntuosa. Forse è perfino un atto innaturale. Inoltre, come nelle famiglie infelici dei romanzi di Tolstoj, sono sicuro che i matrimoni strani siano soggetti ben migliori per i romanzi di quelli ben riusciti» (Alessandra Iadicicco).
Religione «Penso che gli esseri umani si ingannino credendo di capire completamente come funziona il mondo. Credo alla scienza e la apprezzo, ma sono anche convinto che ci siano cose che non abbiamo ancora scoperto o compreso. Per questo sono sempre aperto a tutte le possibilità. Mi rassicura, anzi, il fatto di non capire fino in fondo. Uno dei motivi per cui scrivo narrativa è che mi aiuta a esplorare e comprendere ciò che non so, a sperimentare ciò che non è mio, ad andare dove non posso andare» (a Laura Pezzino).