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 2023  novembre 28 Martedì calendario

Intervista a Jolanda Renga

Jolanda Renga, «Danda» per chi le vuole bene, ha il dono della trasparenza: quello che pensa lo capisci. Non è solo una questione di età: compie 20 anni il 4 gennaio. Ha proprio una grazia innata nel lanciarsi in ciò che giudica importante senza soffermarsi su possibili vantaggi o svantaggi. Si chiama empatia. La troviamo anche nel suo romanzo di esordio, Qualcosa nel modo in cui sbadiglia, pubblicato per Mondadori. Racconta la storia di Giaele, ma forse un po’ la sua, amatissima figlia di genitori separati che si misura con un profondo senso di inadeguatezza e una emozionante scoperta di sé. Questa è la sua prima intervista da sola.
Jolanda, il romanzo la sta portando in giro per l’Italia.
«La cosa bella è che ci sono persone diverse per età e storia, la loro emozione mi commuove. Ma più di tutte mi ha toccata una signora di Torino, che ha iniziato a piangere mentre parlavo. Così sono andata ad abbracciarla e quando è venuta a farsi firmare il libro mi ha mostrato una foto di me piccola con sua figlia in braccio: l’aveva fatta a teatro, era venuta per mia madre».
Nei ringraziamenti del libro scrive che i suoi genitori, Francesco Renga e Ambra Angiolini, non lo hanno letto finché non era finito. Davvero hanno resistito?
«Sì. Solo il mio fidanzato Filippo e nonna Doriana lo hanno letto prima. Con mamma e papà era diverso: mi spaventava l’idea, non volevo farmi influenzare».
E Filippo perché?
«Con lui è stata una mossa d’astuzia: volevo che attraverso la protagonista arrivasse a capire i miei punti deboli».
Quali sono?
«Giaele ha un po’ di problemi di relazione, fatica a esprimere quello che sente, è come se creasse da sola dei muri tra sé e gli altri. Non si accetta, quindi è difficile che lo facciano gli altri. La scrittura mi ha aiutata a rileggere determinati avvenimenti della mia vita e a capire che non avevo sempre sbagliato io, potevo essere meno dura con me stessa».
Vorrebbe fare la scrittrice?
«Mi piace tutto quello che riguarda la scrittura, dalla narrativa alla sceneggiatura. Mi piace anche l’idea di scrivere testi di canzoni».
Lo proponga a suo padre!
«Ma io glielo dico sempre! Lui risponde sì, ma poi non se ne fa mai nulla. Quindi mi sono stufata, ora si arrangia».
Cosa studia?
«Sono al primo anno della Iulm, indirizzo “Comunicazione, media e pubblicità”. Le parole scritte hanno un potere grandissimo: entrano nelle persone e tirano fuori ricordi ed emozioni personalissimi».
Il suo primo ricordo?
«Ero piccola. Ogni mattina mia madre mi portava in questo asilo bellissimo, colorato, dove quasi tutti i bambini giocavano e ridevano. Ma io piangevo fino a vomitare perché volevo tornare a casa con lei. Poi, però, dieci minuti dopo che era andata via diventavo il capo della classe».
Perché si chiama Jolanda?
«Sono fortunata, è un nome bellissimo: era di mia nonna paterna, che è mancata quando mio padre aveva la mia età. Lui ce ne ha parlato poco. So che le piaceva cucinare: mio papà lo ha imparato da lei e quando ero più piccola ha provato a insegnarmi le sue ricette, tipo il ragù».
Il suo piatto forte?
«I dolci: cheese cake e torta con la crema di limone».
Cos’ha preso dai genitori?
«Penso di assomigliare di più a mia madre: sono determinata come lei, ci piace esporci per una giusta causa. Papà è più silenzioso, ama stare nella comfort zone. Però sono testarda come tutti nella mia famiglia, compreso mio fratello Leonardo: abbiamo quattro caratteri molto forti».
Non possiamo dimenticare la volta in cui, minorenne, si espose contro il Tapiro consegnato a sua madre per la fine della storia con Allegri.
«Quella volta ho agito d’istinto, di pancia. Mamma è sempre stata la mia roccia e mi era dispiaciuto vederla tornare a casa abbattuta. Su due piedi ho pensato a cosa potevo fare per aiutarla e l’unico strumento che avevo a disposizione era il mio telefonino: ho scritto un post e l’ho pubblicato. Magari avrei dovuto pensarci di più, però sono felice che mamma mi abbia potuta sentire vicina».
Sono state tante anche le reazioni al video su TikTok in cui esordiva dicendo: «Sono Jolanda, la figlia brutta...».
«Sui social si sentono autorizzati a dire cose cattive che di persona non ripeterebbero mai. Ma non volevo replicare in modo offensivo: non sono una persona maleducata».
Fu un trionfo.
«Non me lo aspettavo. Nella prima ora avevo avuto poche visualizzazioni. Poi hanno iniziato ad arrivarmi messaggi e commenti bellissimi di ragazze, donne, ma anche papà. Persone che si sentivano come me e altre che non si erano mai sentite così».
Qual è la cosa più brutta che le hanno scritto?
«“Fai schifo”, “Non ti meriti quello che hai”, “Sei solo una figlia di”. Io replico dicendo: “Vabbe’, forse hai ragione, ma lasciami almeno il beneficio del dubbio”. E questo li disinnesca: “No, ma io non intendevo dire quello...”».
Essere «figlio di» non aiuta.
«Fin dalle elementari sapevo che era un’arma a doppio taglio. C’erano bambini che venivano da me e mi chiedevano: ma tu vivi in una villa? i tuoi genitori li vedi? Come se vivessi in un mondo parallelo e non fossi, come loro, una figlia con due genitori presenti, un fratello, la casa».
Le hanno chiesto autografi per suo padre o sua madre?
«Al liceo è successo un paio di volte. Il colmo è stato quando uno studente mi ha chiesto il numero di telefono di mamma, poi di papà e infine il mio. Incredibile».
Scene buffe?
«Sempre al liceo, il linguistico Leonardo di Brescia, qualcuno mi diceva: “Ma sai che in questa scuola c’è la figlia di Francesco Renga?”. “Maddai...”. È andata meglio quando mi sono trasferita a Milano con mamma: mi sono iscritta a una scuola privata e ho studiato restando a casa».
Filippo quando lo ha conosciuto?
«A giugno del 2022, abbiamo lavorato assieme in un campo estivo a Canazei: io animatrice, lui istruttore sportivo. Ci siamo rivisti a settembre: mi ha invitata al concerto di Blanco e da lì è nata la storia. È paziente e sdrammatizza. E poi è buonissimo».
Lei fa tanta beneficenza.
«Sia mamma che papà sono molto impegnati su questo e fin da piccoli hanno spiegato a me e a mio fratello perché è importante. Da poco sono andata al Gaslini di Genova con mamma per trovare dei bambini: eravamo vestite da principesse. Altre cose le faccio con “Fare x bene”».
Un’associazione contro il bullismo. Ne è stata vittima?
«Più che altro a scuola spesso sono stata esclusa: dicevano che ero la cocca degli insegnanti, che ero secchiona... Invece alle medie mi sono beccata la fama della spia, ma lo rifarei: una mia compagna veniva bullizzata, le dicevano che era lesbica, l’hanno spinta alla depressione. La convinsi ad andare insieme dall’insegnante».
Il libro più bello?
«Potrei rileggere all’infinito quelli di Matteo Bussola e Chiara Gamberale. Forse il più bello è Il grembo paterno».
Il film?
«Mia moglie per finta, con Brooklyn Decker e Adam Sandler: se sono triste, mi fa tornare il sorriso».
Un’abitudine familiare?
«Io e mamma guardiamo i film al pomeriggio. Con papà, è la tassa da pagare la sera: gli piacciono quelli noiosissimi di tre ore!».
E con suo fratello?
«Ora è fissato con l’estetica e mi tocca fargli le maschere».