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 2023  novembre 28 Martedì calendario

Franco Arminio, fotografo

«Perché io, in realtà, sono un fotografo. Ma non voglio diventare un fotografo». Gioca sul filo del paradosso, ma fino a un certo punto, Franco Arminio. Scrittore, paesologo, una delle voci più autorevoli della poesia italiana, Arminio “debutta” adesso anche in un campo che solo apparentemente non è il suo: «Sono un autodidatta, scatto con il telefonino, scelgo di fermare in un’immagine luoghi che stanno scomparendo, il portone di una casa che magari tra qualche anno non ci sarà più, un muretto che sta per crollare. Il mio è quasi un esercizio etico: voglio che ciò che appartiene a un territorio non sia dimenticato, che se ne conservi la memoria. Quasi un gesto d’affetto, mi piace allargare l’idea dell’umano a tutto ciò che non lo è. Perché se c’è un Dio, c’è anche nel legno scalfito di un portone malmesso o nelle pietre che stanno per cadere, non crede?».

Qualche tempo fa, dopo aver visto un bel po’ di foto che Arminio ha raccolto nel suo archivio, un editore gli ha proposto di farne un libro. «E diciannove di quelle immagini, scattate durante il lockdown nel mio paese, Bisaccia, nell’Alta Irpinia, ho deciso di metterle in mostra a Roma. Questa ancora mi mancava, sarà una bella esperienza». E così dall’1 dicembre fino al 31 gennaio del prossimo anno, l’Università eCampus, partner dell’Esposizione Triennale di Arti Visive, ospiterà la mostra Presenze, esercizi di paesologia del «fotografo non praticante che fa lo scrittore» come Arminio ama definirsi. Scatti nei quali il poeta avellinese scrive per immagini e fotografia, immagini nelle quali il guardare viene prima dello scrivere: «Come un soffio visivo che alimenta la scrittura, un paesaggio interiore che affiora scrivendo», la spiega lui. Luoghi e persone fotografate in chiave “paesologica”, rispettandone l’intimità senza alcuna alterazione o trasformazione, sempre col desiderio di testimoniare ciò che si vede dove «il luogo è un testo che qualcuno ha scritto e qualcuno legge», sottintendendo la grande responsabilità nel «saper leggere un territorio, attraverso uno sguardo dolce e clemente per evitarne una cattiva qualità di lettura».
 
Del resto, per Franco Arminio, guardare il paesaggio che ci circonda dovrebbe essere una materia da studiare a scuola, ben più di tanti manuali che magari, una settimana dopo il “rompete le righe” i nostri ragazzi hanno già dimenticato del tutto: «Se facessi il professore, porterei gli studenti fuori dalle classi, anche solo in cortile perché non occorre andare troppo lontano, e poi chiederei loro di raccontare per iscritto ciò che hanno visto. Io la chiamo “abitudine percettiva” che va sviluppata sin da piccoli. E che serve da grandi, magari quando poi fai l’assessore in un comune e autorizzi la cementificazione o la distruzione di una cosa per sostituirla con un’altra. Ecco, se avesse guardato bene, se avesse avuto appunto quella “abitudine percettiva”, forse quell’assessore avrebbe fatto una scelta diversa e migliore per la collettività». Perché il segreto e vedere ogni cosa come se fosse bella, anche se bella non è: «Io dico sempre ai miei amici: non ti piace? Guarda meglio…».
Ecco perché, quando l’Italia si è fermata per il Covid, Arminio ha deciso di scoprire ciò che anche a un osservatore di professione come lui era sfuggito: «Camminavo a piedi per Bisaccia, anche perché non si poteva andare più lontano, e ho scoperto un paese che non conoscevo. Anche se ci vivo da quando sono nato».
 
Per Stefania Pieralice, che ha curato l’allestimento della mostra, le foto di Arminio sono «testimonianze visive della “qualsiasità” che restituiscono al paesaggio un volto semplice, genuino, lontano dalle immagini stereotipate, dalle nuove costruzioni di cemento armato, dalle coltivazioni intensive, dall’inquinamento urbano, dai volti truccati». Ecco perché in quegli scatti riusciamo quasi a cogliere «il dialetto che resiste, l’odore umido dei pomodori passati in cantina, il lento muoversi delle tende moschiere tra le porte aperte, le tracce, il senso della dolcezza del vivere, un vivere comunitario, un posto popolato di “anonimi” che hanno fatto la storia, vecchi abbandonati entro paesi spaesati allo stesso modo dei poeti, o degli artisti».
Dopo una trentina di libri pubblicati, come “paesologo” Franco Arminio ha ideato nel 2012 il festival La luna e i calanchi, evento di cui è direttore artistico e che si svolge ogni anno ad Aliano, il paese del confino di Carlo Levi, con migliaia di partecipanti. Molto attivo sul web, allo stesso tempo gira continuamente l’Italia: oltre duecento incontri all’anno, specialmente con i più giovani, per portare la sua idea di poesia e la sua battaglia contro lo spopolamento dei paesi. Nel 2021 ha vinto il Premio Napoli alla cultura e come osservatore di luoghi collabora con il Touring Club e con National Geographic. Si occupa anche di documentari e, appunto, fotografia. La sua prima mostra sarà inaugurata l’1 dicembre alle 11 all’Università eCampus di via Matera 18, a Roma: i visitatori potranno incontrare e scambiare due chiacchiere con l’autore prima di vedere le immagini.