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 2021  marzo 28 Domenica calendario

La data di nascita di Venezia e di Napoli

Gli scarni fotogrammi di una Venezia deserta nel giorno simbolico del suo 1600mo compleanno, celebrato convenzionalmente il 25 marzo, hanno generato un’incontenibile tristezza. Piazza San Marco muta senza una nota di Vivaldi, le calli e i campielli con le serrande abbassate, come una Quaresima infinita senza la speranza di un Carnevale, le sagome luttuose delle gondole ormeggiate alle bricole delle fondamenta hanno rilanciato un’immagine dechirichiana della città che fino a poco più di un anno fa era la Mecca del turismo. Venezia vuota è un ossimoro. Immersi nel Dantedì probabilmente ci siamo lasciati sfuggire la potenza infausta del paradosso in una data annebbiata dal contrasto tra la bellezza della Storia e l’amaro presente della Cronaca virale che ci avvolge e ci stordisce.Le città (quasi tutte, sicuramente le più antiche) non possiedono un autentico certificato di nascita. Per loro non è prevista un’anagrafe. Le fondazioni, con qualche eccezione contemporanea, sono convenzioni, invenzioni, spesso giochi letterari. Di sicuro prima del marzo del 421 dopo Cristo nelle isole sabbiose della laguna veneta viveva un’attivissima comunità di pescatori, in particolare nella zona in cui poi s’è sviluppata Rialto, dove ancora si vendono pesci. Ma tant’è, se proprio una data bisognava sceglierla, meglio puntare in alto, come il giorno dell’Annunciazione.
Anche Roma ha i suoi Natali, celebrati in modo ossessivo dal fascismo: il 21 aprile del 753 avanti Cristo. Sopra è stata ricamata una retorica millenaria, ma già ai tempi di Virgilio era noto che sui sette colli, prima di Romolo e Remo, proliferava una tenace tribù di pastori. Vuoi mettere, però, le bande di rudi pecorari con fascinoso Enea il troiano?
Napoli pure ha la propria data di nascita, farlocca, fasulla, leggendaria, nata a tavolino e che viene bellamente e giustamente ignorata dagli storici. Napoli, la Neapolis degli attuali Decumani (non la Partenope di Pizzofalcone, la Città Vecchia, Palepolis) sarebbe stata fondata il 21 dicembre del 475 avanti Cristo, dopo la nascita di Roma, forse per rispettarne la supremazia, chissà. Ma, molto prima dell’insediamento dei Cumani a Monte Echia, acropoli di Partenope, presumibilmente alla fine dell’VIII secolo avanti Cristo, sulle rive del Golfo e all’ombra del Vesuvio, abitavano popolazioni indigene. Erano lì almeno dal Neolitico. Lo testimoniano diversi ritrovamenti archeologici a Monte di Dio, a Materdei, nell’area dell’attuale piazzale Tecchio. Erano gli Ausoni e gli Opici, come i greci chiamavano gli Osci. E fors’anche altri ancora.
Ma le leggende sono leggende e se sono più seducenti della realtà l’eterno fanciullino che è in noi preferisce le leggende alla realtà, talvolta oscura, senza fascino, prosaica. Perché rifiutarle, quindi? I simboli parlano al cuore, talvolta più lungimirante del cervello, meno miope della ragione. Del resto leggendari sono persino gli eroi dell’Iliade, dell’Odissea e della stessa Eneide. E nessuno può negare che non siano vivi e vegeti ancora oggi, mentre i loro padri sono morti e sepolti: loro, i figli della fantasia hanno saputo generare più realtà della realtà stessa. Le fondazioni e i toponimi con ascendenze illustri sono passioni da eruditi, maniaci del campanilismo aggrappati a friabili frammenti per costruire castelli di sabbia. Ancora oggi non si esita a falsificare pergamene e incunaboli, o impalpabili file immessi artatamente nelle sinapsi della Rete, per il gusto della scoperta sensazionale o solo per vedere l’effetto che fa. Le illusorie creature di carta e inchiostro, impastate senza la polvere degli archivi, resistono tenacemente e spesso hanno avuto il timbro e il nulla osta di insospettabili umanisti, tra i quali, un nome fra tanti, quell’instancabile ruffiano di Francesco Petrarca, maestro della fabbricazione di mitiche ascendenze.
Napoli, quindi, sarebbe stata fondata 2496 anni fa, cioè tra quattro ne compirà 2500, cifra tonda, tondissima. Ben 900 in più di Venezia. Il compleanno a venire di Neapolis, per quanto storicamente implausibile sia, potrebbe essere un’occasione da non farsi sfuggire. Per cosa? Per festeggiarlo con una serie di iniziative spettacolari, culturali, turistiche. Perché no? Del resto pure Natale, la festa delle feste, cade in una data inventata, scelta per farla coincidere con un culto pagano dell’antica Roma. E mica la snobbiamo. Anzi. E poi il logo sarebbe bello e pronto: “Napoli 2500”.
Il 21 dicembre è il giorno del solstizio d’inverno, il giorno più corto dell’anno, la notte più lunga dell’anno. È l’eduardiana nuttata che deve passare. La scelta, a rifletterci con il senno di poi, mostra una forma di preveggenza oracolare. Non sembra casuale. Si sapeva già come sarebbe andata a finire. Magari, provando a festeggiarla questa lunga nuttata, riusciremmo a esorcizzarla. Nella città dei curnicielli rossi e degli scartellati portafortuna l’esorcismo potrebbe funzionare. Chissà.
Il compleanno scaramantico, a testimoniare una ripresa che fra quattro anni vorremmo ben piantata se non consolidata, può apparire un’idea bislacca. Qualcuno arriccerà il naso. Teniamo altro per la testa. Da un anno è impossibile concentrarsi se non sul virus e sui vaccini. Ci preme sapere quando riapriranno scuole, negozi, cinema e ristoranti, ci preoccupa la Pasqua imminente, un’altra da passare in clausura, consolandoci, se ci riesce, con casatielli e pastiere fatte in casa, abbiamo la necessità di liberare la mente e il mondo dal cigno nero della pandemia che ci sta uccidendo la salute e sta distruggendo l’economia con un colpo d’ali dopo l’altro. Un disgustoso pipistrello, altro che cigno. Eppure bisognerebbe progettare quanto viene erroneamente ritenuto secondario, se non effimero e futile. Da qui a quattro anni, tempo ce n’è e per allora al cigno del malaugurio la schioppettata mortale l’avremo data.
Pietro Treccagnoli
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