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 2021  aprile 20 Martedì calendario

Napoli banalizzata da Augias

Ho visto anche io con fastidio crescente il documentario di Corrado Augias, su RaiTre. Era fastidioso perché, proclamando di voler evitare gli stereotipi, li raccoglieva tutti e spruzzava dove possibile un velo di cipria o dava coltellate con un pugnale dalla lama arrugginita. Ma soprattutto perché della Città Segreta che pretendeva di raccontare non c’erano segreti, ma solo la faccia che Napoli mostra ai distratti. La vera Napoli non si mostra mai, nonostante la fama di città sfacciata. La vera Napoli si nasconde. Neanche chi vive a Napoli, immerso tra vicoli e mare, tra nobili e poveri diavoli, nello splendore delle chiese o nelle periferie sgarrupate riesce a vederla bene: ci si deve limitare ad amarla. Bisogna accettare anche la ferita aperta perennemente sanguinante che provoca nella nostra carne.
Augias a me è sembrato a disagio. Non ha capito e si è limitato alla superficie, anche se era partito bene con la Certosa di San Martino, ma poi ha scelto di parlare di quello che tutti sappiamo, ci ha solo risparmiato la pizza. Spero che l’abbiano portato in una buona pizzeria, almeno. Ha infilato un po’ di errori. Leopardi ha abitato ai Quartieri, ma a Palazzo Cammarota e in un palazzo di via San Mattia e non a via Speranzella (meglio cantata da Carlo Bernari). Masaniello (del quale ho sempre avuto un giudizio pessimo) non era un lazzaro, ma un pescivendolo. Il cardinale Ruffo non era il capo di una feroce banda di straccioni, ma un generale con la tonaca, una sorta di Garibaldi borbonico. La Sanfelice era poco più di una sciacquetta, mitizzata da quel magnifico bugiardo che è stato Dumas padre. Poi non ho capito perché tra tanti grandi pittori abbia scelto di puntare sulla meravigliosa Artemisia Gentileschi che non è associata alla città più di Caravaggio, per dire (Caravaggio sarebbe stato banale, forse, ma tra tante banalità ci andava a pennello). E siamo stanchi di sentire parlare di camorra solo attraverso le imprese di Cutolo: da decenni la criminalità a Napoli e in Campania (e in Italia e nel mondo) è qualcosa di diverso. E potrei continuare ancora per molto.
Alla fine posso dire solo che è stato solo un esercizio di banalità. Ciascuno di noi, è vero, può raccontare la propria Napoli. Ce n’è una per ognuno di noi. Io non l’ho ancora trovata, sebbene viva a Napoli, e non la troverò mai. Napoli non è una città, Napoli è un sentimento che trasforma il dolore in uno slancio verso il cielo. È il cielo che ti stordisce con il suo azzurro, è l’azzurro che corre attraverso un prato verde tra le urla di gioia quando il pallone entra nella rete avversaria. Napoli è la puzza del mondo, perché solo quando c’è puzza c’è vita. Solo la morte non ha odore, e non bisogna essere chimici per capirlo.
Ma lasciamo che ci raccontino come vogliono. Sorridiamo, ringraziamo, facciamoli fessi e contenti. Noi siamo Napoli e purtroppo loro no, perché il Padreterno ha voluto castigarli facendoli nascere altrove.
Leggiamoci Domenico Rea e anche un piccolo vecchio racconto di Joseph Conrad, “Il Conde”, che in poche pagine riesce a mostrare tutta l’attrazione e la repulsione che Napoli può ispirare a chi non ci vive.
Pietro Treccagnoli