Corriere del Mezzogiorno, 29 gennaio 2021
La ferocia dei repubblicani nella rivoluzione napoletana del 1799
Cicerone diceva che la Storia è «maestra di vita». Perciò ho letto con grande interesse l’articolo di Pietro Treccagnoli dedicato al 1799 pubblicato di recente sul Corriere del Mezzogiorno.
Con altrettanta curiosità ho poi seguito il dibattito suscitato. Anche i drammatici «fatti del ‘99» sono in un certo senso una medaglia con due facce.
Tanti continuano a sostenere che i repubblicani napoletani erano degli eroi, trascurando l’altra faccia della medaglia. La verità è che la partenza dei francesi li aveva lasciati liberi di decidere. E alcuni di essi si comportarono come delle belve. Persino Benedetto Croce dovette ammette che «la partenza dei francesi accrebbe le agitazioni e portò a nuovi arresti e nuove esecuzioni capitali». Croce racconta che nell’aprile del 1799 furono arrestati «il principino di Canosa, il negoziante Abbenante socio dei Baccher, il duca di Miranda Gaetani, il presidente dell’ammiragliato Michele de Iorio e il vescovo suo fratello, il consigliere Giambattista Vecchioni, il soprintendente delle dogane Vincenzo Pecorari e moltissimi altri». E subito dopo «cominciarono i castighi esemplari delle fucilazioni, come quella eseguita il 10 aprile al Mercato, di undici cittadini che avevano promosso un’insurrezione. Il 6 maggio vennero fucilati gli assassini dei due Filomarino (…). Una decina di giorni dopo, l’alta Commissione militare fece fucilare tre paesani, rei di provocata insurrezione», e un prete, che aveva gridato viva il Re! Il sacerdote aveva giurato d’aver lanciato quel grido mentre era ubriaco. Ma i giudici gli risposero «in vino veritas», e lo condannarono a morte. Un’altra ventina di filoborbonici che avevano mostrato «attaccamento alla Real Corona», furono fucilati nel Real Sito di Capodimonte.
Tanti continuano a sostenere che i repubblicani napoletani erano degli eroi, trascurando l’altra faccia della medaglia. La verità è che la partenza dei francesi li aveva lasciati liberi di decidere. E alcuni di essi si comportarono come delle belve. Persino Benedetto Croce dovette ammette che «la partenza dei francesi accrebbe le agitazioni e portò a nuovi arresti e nuove esecuzioni capitali». Croce racconta che nell’aprile del 1799 furono arrestati «il principino di Canosa, il negoziante Abbenante socio dei Baccher, il duca di Miranda Gaetani, il presidente dell’ammiragliato Michele de Iorio e il vescovo suo fratello, il consigliere Giambattista Vecchioni, il soprintendente delle dogane Vincenzo Pecorari e moltissimi altri». E subito dopo «cominciarono i castighi esemplari delle fucilazioni, come quella eseguita il 10 aprile al Mercato, di undici cittadini che avevano promosso un’insurrezione. Il 6 maggio vennero fucilati gli assassini dei due Filomarino (…). Una decina di giorni dopo, l’alta Commissione militare fece fucilare tre paesani, rei di provocata insurrezione», e un prete, che aveva gridato viva il Re! Il sacerdote aveva giurato d’aver lanciato quel grido mentre era ubriaco. Ma i giudici gli risposero «in vino veritas», e lo condannarono a morte. Un’altra ventina di filoborbonici che avevano mostrato «attaccamento alla Real Corona», furono fucilati nel Real Sito di Capodimonte.
Tanti continuano a sostenere che i repubblicani napoletani erano degli eroi, trascurando l’altra faccia della medaglia. La verità è che la partenza dei francesi li aveva lasciati liberi di decidere. E alcuni di essi si comportarono come delle belve. Persino Benedetto Croce dovette ammette che «la partenza dei francesi accrebbe le agitazioni e portò a nuovi arresti e nuove esecuzioni capitali». Croce racconta che nell’aprile del 1799 furono arrestati «il principino di Canosa, il negoziante Abbenante socio dei Baccher, il duca di Miranda Gaetani, il presidente dell’ammiragliato Michele de Iorio e il vescovo suo fratello, il consigliere Giambattista Vecchioni, il soprintendente delle dogane Vincenzo Pecorari e moltissimi altri». E subito dopo «cominciarono i castighi esemplari delle fucilazioni, come quella eseguita il 10 aprile al Mercato, di undici cittadini che avevano promosso un’insurrezione. Il 6 maggio vennero fucilati gli assassini dei due Filomarino (…). Una decina di giorni dopo, l’alta Commissione militare fece fucilare tre paesani, rei di provocata insurrezione», e un prete, che aveva gridato viva il Re! Il sacerdote aveva giurato d’aver lanciato quel grido mentre era ubriaco. Ma i giudici gli risposero «in vino veritas», e lo condannarono a morte. Un’altra ventina di filoborbonici che avevano mostrato «attaccamento alla Real Corona», furono fucilati nel Real Sito di Capodimonte.
Tanti continuano a sostenere che i repubblicani napoletani erano degli eroi, trascurando l’altra faccia della medaglia. La verità è che la partenza dei francesi li aveva lasciati liberi di decidere. E alcuni di essi si comportarono come delle belve. Persino Benedetto Croce dovette ammette che «la partenza dei francesi accrebbe le agitazioni e portò a nuovi arresti e nuove esecuzioni capitali». Croce racconta che nell’aprile del 1799 furono arrestati «il principino di Canosa, il negoziante Abbenante socio dei Baccher, il duca di Miranda Gaetani, il presidente dell’ammiragliato Michele de Iorio e il vescovo suo fratello, il consigliere Giambattista Vecchioni, il soprintendente delle dogane Vincenzo Pecorari e moltissimi altri». E subito dopo «cominciarono i castighi esemplari delle fucilazioni, come quella eseguita il 10 aprile al Mercato, di undici cittadini che avevano promosso un’insurrezione. Il 6 maggio vennero fucilati gli assassini dei due Filomarino (…). Una decina di giorni dopo, l’alta Commissione militare fece fucilare tre paesani, rei di provocata insurrezione», e un prete, che aveva gridato viva il Re! Il sacerdote aveva giurato d’aver lanciato quel grido mentre era ubriaco. Ma i giudici gli risposero «in vino veritas», e lo condannarono a morte. Un’altra ventina di filoborbonici che avevano mostrato «attaccamento alla Real Corona», furono fucilati nel Real Sito di Capodimonte.
A chi volesse approfondire l’argomento suggerisco di leggere gli interessanti tre volumi degli Atti, leggi proclami ed altre carte della Repubblica Napoletana 17981799 pubblicati nel 1983. L’autore del poderoso lavoro è Mario Battaglini, purtroppo scomparso, che diventò uno storico eminente dopo una lunga carriera d’integerrimo magistrato. La sua raccolta delle sentenze dei tribunali repubblicani fa venire i brividi.
A chi volesse approfondire l’argomento suggerisco di leggere gli interessanti tre volumi degli Atti, leggi proclami ed altre carte della Repubblica Napoletana 17981799 pubblicati nel 1983. L’autore del poderoso lavoro è Mario Battaglini, purtroppo scomparso, che diventò uno storico eminente dopo una lunga carriera d’integerrimo magistrato. La sua raccolta delle sentenze dei tribunali repubblicani fa venire i brividi.
Il 7 marzo 1799, alle dieci di mattina erano stati fucilati a piazza del Mercato quattro giovani disgraziati. Il tribunale li aveva condannati a morte per aver partecipato all’«insurrezione e tumulto» del 3 marzo nella Contrada del Mercato, e per «altri eccessi commessi contro alcuni Militari Francesi
Il 7 marzo 1799, alle dieci di mattina erano stati fucilati a piazza del Mercato quattro giovani disgraziati. Il tribunale li aveva condannati a morte per aver partecipato all’«insurrezione e tumulto» del 3 marzo nella Contrada del Mercato, e per «altri eccessi commessi contro alcuni Militari Francesi
Con disturbo della pubblica tranquillità». Ma il più brutale ed inutile atto di crudeltà fu la fucilazione nel cortile di Castel Nuovo dei due fratelli Baccher e di tre loro amici, accusati di preparare una controrivoluzione. L’aspetto agghiacciante è l’inutilità di quella fucilazione. Essa fu eseguita il mattino del 13 giugno, mentre le truppe del Cardinale Ruffo erano già alle porte di Napoli.
In soli tre mesi, a Napoli e dintorni, furono fucilati settantaquattro filoborbonici. Se a questi s’aggiungono i condannati a morte delle province s’arriva a un totale di millecinquecento sessantatré fucilati. Se Battaglini, nel terzo volume dell’opera citata, non avesse pubblicato l’elenco dei nomi, sarebbe difficile crederlo. D’altro canto, pure Vincenzo Cuoco conferma la ferocia dei giudici rivoluzionari: «Negli ultimi tempi si eresse in Napoli un tribunale rivoluzionario, il quale procedeva cogli stessi principi e colla stessa tessitura di processo del terribile comitato di Robespierre».
In soli tre mesi, a Napoli e dintorni, furono fucilati settantaquattro filoborbonici. Se a questi s’aggiungono i condannati a morte delle province s’arriva a un totale di millecinquecento sessantatré fucilati. Se Battaglini, nel terzo volume dell’opera citata, non avesse pubblicato l’elenco dei nomi, sarebbe difficile crederlo. D’altro canto, pure Vincenzo Cuoco conferma la ferocia dei giudici rivoluzionari: «Negli ultimi tempi si eresse in Napoli un tribunale rivoluzionario, il quale procedeva cogli stessi principi e colla stessa tessitura di processo del terribile comitato di Robespierre».
La Repubblica Napoletana, dietro una cortina di nobili ideali, nascondeva in realtà un sanguinario regime del terrore. La sorprendente ma giusta conclusione fu tratta dallo storico Luigi Blanch, giudicato da Croce «sommamente saggio, e che aveva nobile l’anima quanto forte l’intelletto». Secondo lui «fu una fortuna che [i repubblicani] divenissero vittime; perché, se avessero trionfato, sarebbero stati carnefici tanto più crudeli quanto più erano pochi. Sacrificati, hanno ispirato compassione per gli individui e simpatia per la causa».
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