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 2023  luglio 29 Sabato calendario

Disonorevoli vacanze


La crisi del Papeete nell’estate 2019, il Coronavirus nell’agosto 2020, la stangata di Mario Draghi nel 2021, la convocazione di elezioni anticipate nel 2022: ecco, non ci si può meravigliare se dopo quattro anni di tribolazioni estive il Parlamento si organizza ferie lunghe, in stile Prima Repubblica, dal 3 agosto a chissà quando per il Senato, dall’8 in poi per la Camera, più virtuosa (e sfortunata: deve approvare la delega fiscale, che se no slitterebbe a settembre). E tuttavia nel calendario lasco dell’estate istituzionale si intravede, come in molte altre cose che riguardano la politica, un’inversione di tendenza, un nuovo atteggiamento psicologico. La domanda-cardine dell’ultimo decennio – «cosa dirà la gente?» – non sembra più così importante. Lo stigma del privilegio, della casta, si è sbiadito: non mette più paura, non provoca più grandi disagi.
Le vacanze della politica fanno discutere da sempre, o meglio da quando rottamatori, nuovisti, scassinatori di scatolette di tonno, patriottici stakanov del cambia-tutto, hanno cominciato a succedersi alla guida del Paese. Prima no, prima era dato per scontato che agosto fosse il mese vuoto per ogni italiano comunque contrattualizzato, impiegato, impegnato, dalle casalinghe ai ministri. Era l’Italia dei grandi esodi, delle fabbriche e delle manifatture chiuse tutte insieme, l’Italia dove in estate nessuno era chiamato a produrre nulla e a pensare a nulla. L’Italia di Caro Diario, con Nanni Moretti che girava in scooter in una Capitale assolutamente deserta, vuota, lunare, e figuriamoci se quell’Italia lì stava a contare i giorni di vacanza di Palazzo Madama o Montecitorio.
Poi arrivò Beppe Grillo e le vacanze politiche diventarono tema di diffusa indignazione. Successe una quindicina di anni fa. «Il Parlamento chiude per ferie, i politici in ferie ma gli italiani non hanno ferie. Gli italiani non ci possono andare visto che le ferie si maturano lavorando, gli italiani non hanno lavoro, non hanno soldi, non hanno nessuno che gliele paga». Era lo sfogo di una signora romana, uscì sul blog dell’Elevato accompagnato dai dati sull’assenteismo parlamentare, consolidò la moda del “dagli ai pelandroni”. Tre anni dopo quel tipo di arrabbiatura (con molte altre) portò a Palazzo 163 parlamentari grillini e la parola “agosto” in politica cominciò a diventare imbarazzante.
Il grafico delle pause estive di deputati e senatori segnò il suo punto più basso appunto in quel periodo, con record negativi nel 2013 e nel 2014 (poco più di venti giorni, una miseria). Il «cosa dirà la gente» era diventata una domanda consistente, con cui si dovevano fare i conti ogni giorno, e infatti si verificò la risacca delle vacanze esotiche, Maldive, Kenya, Saint Tropez, e gli articoli di rito sulle ferie dei parlamentari si riempirono di low cost nelle regioni di provenienza e persino di campeggi (il Pinarella di Cervia del ministro-camperista Giuliano Poletti). Enrico Letta comunicò che sarebbe restato a Palazzo Chigi a lavorare ai dossier rimasti in sospeso. Matteo Salvini non volle esser da meno e rispose con orgoglio ai cronisti in cerca di notizie sul suo svacanzamento: io resto a casa.
Con il senno di poi viene il dubbio che in realtà, “la gente”, se le avessero restituito l’agosto vuoto di una volta, si sarebbe interessata assai meno della durata delle ferie dei politici: mai nessuno pretese che Aldo Moro o Enrico Berlinguer restassero nella fornace dei palazzi romani in piena estate, tutt’al più era richiesta una visita alla festa di paese o un caffè col responsabile locale del partito. Il problema, più che la lunga durata delle vacanze istituzionali, era la contrazione dell’agosto dei “normali”. Oggi la maggior parte del Paese (il 62 per cento) fa al massimo due settimane estive di ferie, il 15 per cento meno di una e solo il 23 per cento programma vacanze sopra queste soglie tanto che i bollini neri che funestavano i calendari automobilistici d’agosto in questo 2023 sono ridotti a due sole mattinate (sabato 5 e sabato 12).
Così, forse è vero che l’amore vince sempre sull’invidia e sull’odio, ma ecco, al culmine della nostra stagione populista, l’invidia per quelli che potevano chiudere bottega a inizio mese e riaprirla l’8 o addirittura il 15 settembre, era in fondo un sentimento umano. E tuttavia pure quel sentimento si è allentato. L’Italia si è stufata di arrabbiarsi. L’agosto dei politici è stato sdoganato. Nel 2020 all’improvviso le copertine con le foto dei parlamentari in spiaggia sono tornate ad essere un genere apprezzato. Lucia Azzolina, Virginia Raggi, Giorgia Meloni in costume tricolore, gli appassionati baci acquatici di Luigi Di Maio e della fidanzata Virginia Saba, Matteo Salvini con l’indimenticabile Papeete e il figlio sulla moto d’acqua della polizia, e ovviamente Daniela Santanché e molti altri al Twiga perché nel frattempo era tornata accettabile anche una certa dose di lusso e si poteva tornare a Portofino, Capri, Porto Cervo.
Il grafico delle vacanze del Parlamento ha seguito con puntualità la stessa evoluzione. A partire dal 2015 l’asticella della chiusura estiva dei palazzi del potere è progressivamente tornata ad alzarsi sorpassando quota trenta giorni, con la sola eccezione del 2020, l’anno dell’epidemia. Il record finora tocca al 2017, estate peraltro tranquillissima con il governo di Paolo Gentiloni da poco insediato e ancora con il vento in poppa: 39 giorni consecutivi di chiusura. È possibile che quest’anno sarà superato pure quello, e non chiedete cosa ne dirà la gente: la domanda non sembra più d’attualità. —
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