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 2021  settembre 28 Martedì calendario

Su "Carteggio" di Benedetto Croce e Tammaro De Marinis (il Mulino)

Il giorno in cui scovò fra un mucchio di cartacce in una botteguccia napoletana (di quelle che un tempo affollavano Port’Alba) una lettera del filosofo illuminista Pietro Giannone, Tammaro De Marinis non era che un giovanissimo apprendista libraio. Uocchie felice fu l’appellativo che subito gli affibbiò Bartolomeo Capasso, lo storico fondatore della Società napoletana di storia patria che di quella passeggiata libraria era compagno e che più tardi lo avrebbe spinto a intraprendere le prime ricerche sull’introduzione della stampa a Napoli nel Quattrocento.

Decenni più tardi Benedetto Croce ancora si sarebbe ricordato di quell’appellativo quando De Marinis, oramai antiquario di fama internazionale oltre che stimato studioso, mostrava fiuto finissimo nell’individuare quasi a colpo sicuro gli unici esemplari di pregio celati sugli scaffali di un’intera biblioteca. Napoletano di nascita, ma fiorentino d’adozione, ne aveva fatta di strada il garzone della libreria Marghieri in Galleria Umberto. Poco più che ventenne si era trasferito in riva all’Arno presso la prestigiosa libreria di Leo Samuel Olschki dove godeva a stare «sempre in mezzo a libri di I° ordine» consolandosi «un mondo a descriverli», come scriveva a Croce nel 1902 in una delle primissime lettere di un ricco carteggio che sarebbe proseguito sino alla scomparsa del filosofo nel 1952.

Il mestiere lo imparò in fretta, tanto che due anni più tardi si era già messo in proprio aprendo la Librairie ancienne T. De Marinis & C. che mantenne sino al 1924, pur continuando anche dopo questa data a praticare, in altre forme, l’arte nobile del mercante di libri. Perché De Marinis, prima ancora che collezionista e studioso, fu innanzitutto un grande antiquario. Suggeritore e consigliere di collezionisti e bibliofili del calibro del conte Vittorio Cini (1885-1977), la cui strepitosa raccolta di rare edizioni illustrate del Rinascimento, De Marinis descrisse in un impareggiabile catalogo (Il Castello di Monselice: raccolta degli antichi libri veneziani figurati, Verona 1941). Ma il nome di De Marinis è legato a ben altre imprese.

È lui l’artefice, nel 1923, del rientro in Italia di uno dei capolavori della miniatura italiana del Rinascimento, la celebre Bibbia allestita per Borso d’Este tra il 1455 e il 1461 da una équipe di artisti e miniatori diretta da Taddeo Crivelli e Franco de’ Russi. La Bibbia era rimasta nelle collezioni ducali sino alla fine del XVIII secolo, per poi andare incontro a una serie di rocamboleschi spostamenti che sembravano sul punto di portarla irrimediabilmente Oltreoceano quando, alla morte del suo ultimo proprietario l’imperatore Carlo I d’Austria, la vedova Zita di Borbone decise di metterla in vendita tramite il libraio parigino Gilbert Romeuf. De Marinis non sta nella pelle: «Io sono in uno stato di mezza incoscienza» confessa agli amici.

Sono settimane febbrili tra l’aprile e il maggio del 1923. Va a Parigi, corre a Roma. Incontra Gentile, parla con ministri, scrive espressamente a Croce, col quale scambia una serie tambureggiante di lettere, per implorarne l’intervento: «Mi aiuti Senatore: senza energia e rapidità questo meraviglioso tesoro italiano fra poco scappa in America!». Il prezzo, quattro milioni di franchi, spaventa. Suggerisce di «portar la questione al Presidente del Consiglio, perché è cosa che ha importanza nazionale».

Sarà l’intervento provvidenziale del mecenate Giovanni Treccani a risolvere la questione, acquistandola dal libraio Romeuf per cederla allo Stato Italiano che la destina alla Biblioteca Estense di Modena. De Marinis, che segue la vicenda in trepidante attesa dal Grand Hotel di Paris, telegrafa immediatamente a Croce in data 1 maggio 1923: «ANNUNCIO CON GIOIA BIBBIA ASSICURATA». E come se ne ebbe a male quando, in occasione della cerimonia ufficiale di consegna, tutti gli onori furono tributati a Treccani. Il gustoso retroscena è celato in una lettera a Croce datata 25 aprile 1925: «nessuno seppe o volle ricordare l’opera mia. Ingrati, pacchiani e cortigiani. Per fortuna mia sono in grado, assai meglio di Treccani, di apprezzare lo sforzo fatto e godere l’intima gioia pel ritorno in Casa di quell’insigne capolavoro».

Nella sua lunga vita De Marinis (1878-1969) si dedicò con altrettanta passione e competenza alla storia del libro, aprendo strade nuove e avventurandosi in territori fino ad allora inesplorati. Come la storia della legatura, portata all’attenzione del grande pubblico già nel 1922 con la prima Mostra storica della legatura artistica tenutasi a Palazzo Pitti, che ebbe il merito di riunire oltre mille legature provenienti da biblioteche di tutto il mondo, e poi coltivata per oltre quarant’anni nel chiuso del proprio studio sino alla pubblicazione nel 1960 della monumentale monografia sulla legatura rinascimentale italiana (La legatura artistica in Italia nei secoli XV e XVI. Notizie ed elenchi, Firenze, F.lli Alinari, 1960).

Ma l’amore di De Marinis, anche dalla reggia fiorentina di Villa Montalto, continuava a rimanere l’antica biblioteca napoletana dei re d’Aragona, fatalmente dispersa dopo l’invasione di Carlo VIII sullo scorcio del secolo decimoquinto. Per tutta la vita vagheggiò il sogno di ricostruirla, dando la caccia a manoscritti e incunaboli in biblioteche e archivi di tutta Europa. Vi si applicò senza requie per decenni, raccogliendo informazioni bibliografiche su quei copisti, bibliotecari e miniatori che avevano concorso a disegnare l’età d’oro della Napoli rinascimentale.

E quale preoccupazione quando, nei mesi più terribili della guerra, le bombe alleate minacciavano di distruggere quel sogno, come confidava all’amico Croce: «Piuttosto la mia ansia è per un gran numero di fotografie “aragonesi” e per le tavole già in parte da esse eseguite a corredo del mio libro tutte a Milano nella stabilimento Pezzini. Da un momento all’altro fotografie, tavole e carta possono andar distrutte!». Ma tutto andò per il meglio: il risultato furono i sei scenografici volumi in folio della Biblioteca napoletana dei re d’Aragona (1947-1969), superbamente illustrati e stampati per Hoepli dal principe dei tipografi Giovanni Mardersteig. Gli ultimi due volumi di Supplemento fece appena in tempo a sfogliarli, oramai novantenne. Sono il lascito più autentico dell’instancabile ‘Berenson del libro’.

Il convegno

La Fondazione Biblioteca Benedetto Croce organizza il 30 settembre a Napoli un convegno di Studi dal titolo "Tammaro De Marinis e la cultura napoletana del primo Novecento" presso la sede dell’Istituto italiano per gli studi storici (via B. Croce 12). Il programma prevede dalle 10 alle 12,30  i saluti di Piero Craveri, presidente della Fondazione Benedetto Croce e Ilenia Maschietto della Fondazione Giorgio Cini. Quindi gli interventi di Giancarlo Petrella, Università Federico II di Napoli: “Un modesto dilettante collabora col Principe dei Letterati”. Tammaro De Marinis e Benedetto Croce; Antonio Manfredi, Biblioteca Apostolica Vaticana, "Tammaro de Marinis e la Vaticana. Una relazione e donazioni di manoscritti"; · Maria Rascaglia, Biblioteca Nazionale di Napoli, "Tammaro de Marinis e gli amici napoletani", Vincenzo Trombetta, Università degli Studi di Salerno, "Tammaro De Marinis e la «collection extraordinaire» del duca Cassano Serra". Nel pomeriggio, dalle 15, Piero Scapecchi, Biblioteca Nazionale Centrale di Firenze, "Tammaro napoletano: gli incunaboli e i suoi studi"; Gennaro Toscano, Bibliothèque Nationale de France, "Per la biblioteca napoletana dei re d’Aragona: Tammaro De Marinis e i consevatori della Bibliothèque nationale di Parigi"; Lucio Oriani, Università Federico II di Napoli, "Nuove ricerche sulla Biblioteca napoletana dei re d’Aragona"; Maria Gabriella Mansi, Biblioteca Nazionale di Napoli, "Tammaro De Marinis e le legature della Biblioteca Nazi".