Questo sito utilizza cookies tecnici (propri e di terze parti) come anche cookie di profilazione (di terze parti) sia per proprie necessità funzionali, sia per inviarti messaggi pubblicitari in linea con tue preferenze. Per saperne di più o per negare il consenso all'uso dei cookie di profilazione clicca qui. Scorrendo questa pagina, cliccando su un link o proseguendo la navigazione in altra maniera, acconsenti all'uso dei cookie Ok, accetto

 2023  maggio 23 Martedì calendario

Lo storico Pieter Judson parla degli Asburgo

L’Impero asburgico. Una storia di Pieter Judson (Keller) comincia da una pagina sanguinosa in una cittadina, Drohobych, della Rutenia, oggi Ucraina, dove nel 1911 le autorità locali spararono contro una folla variegata socialmente e linguisticamente che desiderava partecipare alle elezioni politiche dell’Impero, per il Parlamento di Vienna.



Alcuni persero la vita in questo e altri villaggi dell’Austria-Ungheria perché avevano fiducia nelle istituzioni imperiali in loro difesa contro nobiltà e potentati locali. La fiducia nell’Impero è un’idea che rovescia la tradizionale immagine della "prigione dei popoli", (propria anche della tradizione risorgimentale italiana). L’Ucraina era la Rutenia o Galizia dell’impero asburgico. Quel che accadeva in queste zone, buona amministrazione, stato di diritto, scuole e università dove si parlava anche latino o si dividevano le lingue tra polacco e ucraino, era una prova del pluralismo etnico e culturale dell’impero. E rafforza la tesi che gli imperi sono generalmente più tolleranti delle differenze, mentre gli stati nazionali vogliono in generale l’uniformità, sono spesso più intolleranti. Ma la tentazione di schiacciare le minoranze e le differenze, come sappiamo attraversa anche le democrazie.




La Russia si comporta come un impero, ma in questa guerra usa un’ideologia nazionalista, che mescola nazionalismo e imperialismo. Ma c’è una regola secondo la quale gli imperi sono multiculturali e la Russia è un’eccezione a questa regola?
"La risposta è problematica per entrambe le domande, perché molti Stati nazionali si comportano comunque come imperi e molti imperi hanno talvolta cercato di comportarsi come Stati nazionali. Prendiamo l’esempio dell’Italia alla fine della Prima guerra mondiale. È uno Stato nazionale, si definisce nazione, ma vuole anche conquistare territori abitati da altri popoli, non di lingua italiana, o dove ci sono minoranze italiane, come in Istria o in Dalmazia o, ancora, in Alto Adige. Il che significa che in diverse situazioni lo Stato usa diversi modi e argomenti per raggiungere un obiettivo imperiale, ma spesso usando un argomento nazionalista. In realtà direi che quasi tutte le società, quasi tutti gli Stati sono multiculturali. È difficile trovarne uno di cui si possa dire che è davvero omogeneo e di un solo gruppo etnico. Quindi ci sarà sempre il pericolo dell’oppressione delle minoranze".




PUBBLICITÀ






Ma l’Impero di Mussolini era puro colonialismo e l’ispirazione imperiale alle glorie dell’antica Roma era una copertura propagandistica. Non ci sono differenze tra i due concetti?
"Non c’è una risposta semplice. Torniamo a Mussolini, guardiamo al trattamento delle colonie africane in modo diverso da come guarderemmo al trattamento dell’Albania o di parti di quella che oggi è la Croazia o la Slovenia? È una domanda aperta. Penso che sia importante vedere queste cose in un unico contesto. Quindi sarebbe possibile vedere la guerra ucraina come una guerra coloniale".




In che categoria mettiamo l’Holodomor, il trattamento che Stalin riservò agli ucraini?
"È stato definito genocidio e credo si tratti di una forma di nazionalismo portato all’estremo, un estremo che quasi non si riesce a immaginare nelle nostre società".




Nonostante la sua immagine tollerante della dominazione asburgica, le rivoluzioni del 1848 a Milano come a Budapest erano prova di un nazionalismo liberale, che avrebbe alla fine prevalso.
"Ho una visione molto diversa di quelle rivoluzioni e del loro significato. Era, sì, nazionalismo liberale ma non necessariamente opposto all’esistenza dell’impero. I gruppi che si battevano per cause nazionaliste non volevano tutti vedere la fine dell’impero e non volevano necessariamente fondare i propri Stati, ma un sistema che permettesse loro di svilupparsi all’interno della struttura imperiale. Per esempio i nazionalisti italiani a Trieste non volevano necessariamente far parte di uno Stato italiano indipendente perché vedevano i vantaggi economici derivanti dall’essere il porto principale di un grande impero. Oppure pensiamo al nazionalista ceco Frantisek Palacky, considerato un padre della patria, il quale scrisse che se l’Austria non fosse esistita, avremmo dovuto inventarla".




Veniamo alla questione della negazione da parte degli imperi dei diritti di alcuni popoli di avere riconosciuta la loro identità nazionale e di esistere come stati indipendenti. Quando Metternich al Congresso di Vienna, 1815, dice che l’Italia è "solo una espressione geografica" non mostra qualche analogia con Putin, che nega la legittimità di una identità nazionale ucraina, "perché l’Ucraina è una creazione artificiale ed è storicamente parte della Russia"?
"L’Ucraina era già uno Stato sovrano al momento dell’aggressione. Perciò quando Putin dice che è un’invenzione o una creazione, non ha alcuna legittimità. Quello che ha detto Metternich non lo difenderei, ma è la dichiarazione di un politico: voleva che in Europa si seguisse la direzione da lui desiderata e andasse come poi andò fin dopo il ’48, quando Radetzky piegò le rivolte".




Putin nega l’identità e combatte uno Stato sovrano, che non era più territorio russo da più di trent’anni.
"La dichiarazione di Putin è del tutto illegittima, terrificante e non paragonabile a quella di Metternich. Ha in comune con Metternich la negazione della giustificazione storica dell’esistenza politica e statale di una nazione. L’austriaco diceva che non esisteva un’Italia storica dal punto di vista politico ed era un fatto in quel momento. Putin sta dicendo la stessa cosa, che è però completamente falsa".




D’accordo, l’analogia si ferma molto presto. Troppe le differenze.
"Si ferma alla negazione storica di una nazione. Ma la mia ricerca va oltre questo, perché sostengo che l’Impero austriaco offriva uno Stato migliore che non negava o respingeva le legittime richieste dei suoi popoli, che le soddisfaceva in gran parte, riconoscendo l’esistenza delle nazioni. Dopo tutto, nel territorio asburgico c’erano undici lingue ufficiali. E se si guarda, ad esempio, a Trieste, chi sono i partiti politici prevalenti prima del 1914? Sono i nazionalisti italiani, rappresentati nel Parlamento di Vienna. Non vedo quindi un’equivalenza con la Russia, e penso che sia molto pericoloso farla".


Il libro e l’evento
Pieter Judson (qui parte dell’intervista con Giancarlo Bosetti, integrale su Reset.it) sarà uno dei relatori alla conferenza organizzata a Dublino da Reset Dialogues on Civilizations sul tema "Nazionalismo, nascita delle nazioni, declino degli Imperi" (25-27 maggio).
Judson è l’autore di L’Impero asburgico. Una nuova storia (Keller).