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 2023  marzo 19 Domenica calendario

La mamma di Leonardo era una vera «schlava»

Caterina. Sei lì in piedi, e mi guardi. Non parli, perché sai che non capirei nulla di quella tua lingua antica come il mondo, la lingua di un popolo perduto che forse anche tu hai dimenticato. Preferisci restare così, in silenzio. Quello che hai da dire, sai comunicarlo benissimo senza parole. Con quegli occhi azzurri e profondi come il cielo delle tue montagne.
Ricordo la prima volta che ti ho vista. Non ti cercavo. Sei arrivata tu, quasi per caso. Ero sepolto in un archivio, la testa dentro le carte di un notaio fiorentino vissuto qualche secolo fa. Un tipo meticoloso, preciso, noioso: era il suo mestiere. Scrittura ordinata, sempre uguale. Ma quel giorno la penna correva per conto suo, dal calamaio alla carta, e ogni tanto la mano tornava indietro, cancellava, correggeva. Un giorno agitato, per lui, quel 2 novembre 1452, pochi giorni prima della festa di san Leonardo, il santo che libera i carcerati e gli schiavi. Il notaio sta rogando infatti la liberazione di una schiava, a istanza della gentildonna sua padrona: «Caterina filia Jacobi, schlava seu serva de partibus Circassie»; Caterina figlia di Jacob, originaria della Circassia. Eri tu, Caterina, presente per dare la tua muta accettazione, e poi te ne sei andata, caricando su un carretto le povere cose che la padrona ti ha donato insieme alla libertà: una lettiera, una cassa con due serrature, una còltrice, un paio di lenzuola e una coperta. Nient’altro possedevi, perché, fino a un’ora prima, eri anche tu un oggetto posseduto da qualcun altro.
Non riuscivo a credere a quello che leggevo. Quel notaio era ser Piero da Vinci, il padre di Leonardo, avuto da una donna chiamata Caterina. Di lei si sapeva poco o nulla: e cioè che aveva venticinque anni quando partorì Leonardo il 15 aprile 1452, e che poi l’hanno maritata a un contadino di Vinci dal nome poco raccomandabile, l’Accattabriga, e che ha avuto altri figli da lui, e che a più di sessant’anni ha avuto il coraggio di partire e andare da suo figlio, a Milano, per morire tra le sue braccia.
Niente è più segreto di un’esistenza femminile, e nessuna esistenza sembra più segreta di quella della madre di Leonardo, come se di lei fosse stato tutto sistematicamente cancellato, dimenticato. Perché? Nessuna traccia, nessun legame col territorio di Vinci prima del 1452, niente di niente. Da dove veniva? Girava anche l’ipotesi che fosse una schiava. Non ci avevo mai creduto. Mi sembrava assurdo. La madre di Leonardo da Vinci, il più grande genio della storia, una schiava, una straniera? Che ci faceva una schiava a Firenze, nello splendore della civiltà del Rinascimento?
Sei tu, Caterina? È veramente possibile che il 2 novembre 1452 fossi tu lì «presentem et acceptantem» con la forza della vita e dell’amore, e in braccio il piccolo Leonardo di nemmeno sei mesi, che frignava perché voleva il latte? E che di fronte a te ci fosse quel notaio che era anche suo padre, il tuo Piero, che cercava di scrivere vincendo l’emozione? E tu lo guardavi e ti chiedevi che cosa c’era dentro il suo cuore? Mi sono fermato, ed è stato in quel momento che, per la prima volta, ti ho vista.
Dovevo capire, continuare a cercare. Negli anni, ti ho inseguita ovunque, e ho inseguito tutti i nomi che trovavo in quei documenti: la tua padrona; il cavaliere che ti aveva affittata come balia nello splendido palazzo fiorentino dove hai fatto l’amore con Piero e che è oggi il Museo Galileo; l’avventuriero che ti aveva portato a Firenze. Ho cercato di dare un volto e una voce a ognuno di loro, ho cercato di legare le loro storie in un’unica storia: la tua storia. Una storia incredibile, impossibile, che si avvolgeva all’indietro senza fine, nel tempo e nello spazio: da Venezia a Costantinopoli, da Trebisonda alle colonie genovesi del Mar Nero, fino al Mare d’Azov e alla foce del Don, all’ultimo avamposto veneziano della Tana, punto d’arrivo della Via della Seta settentrionale, luogo di incontro e scontro di popoli e civiltà, gli Sciti, i Bizantini, i Mongoli, i Tartari dell’Orda d’Oro, i Russi, i Turchi. Il tuo mondo mitico e selvaggio si estendeva al di là di tutto questo, al di là della Storia, sulle valli e sugli altopiani del Caucaso scavati dalla forza di acque primordiali, fino alla doppia cima bianca dell’Elbruz, il sacro Oshamako. Sei nata libera su quelle montagne, hai imparato ad amare la vita e le creature e a capirne i linguaggi, a cavalcare e tirare con l’arco, a danzare l’islamey. È così che ti ho immaginato, luminosa, come la principessa Bela di Lermontov.
Poi, un giorno, come Bela, hai perso la libertà. Qualcuno ti ha trascinata dentro la Storia. Hai attraversato il mare, ma non era un viaggio di piacere. Non eri più un essere umano, eri diventata una merce, registrata sui libri contabili come una “testa”. E a questo punto la tua storia non ha più niente di esotico e fascinoso. È la storia della schiavitù, lo scandalo, lo specchio nero della globalizzazione, lo sfruttamento del lavoro umano e delle risorse naturali, l’omologazione e la cancellazione delle culture, delle lingue, delle libertà. È cominciata allora, sulle navi dei mercanti in giro per il Mediterraneo, ed è andata avanti sull’Oceano, nel nuovo mondo scoperto da Colombo. È questo che ci sconvolge, Caterina. La tua storia, la storia di una ragazza a cui è stato rubato tutto, la libertà, il futuro, i sogni, è la realtà di oggi, e tu ci costringi a guardarla in faccia, una buona volta, ad aprire gli occhi.
E Leonardo, tuo figlio? È italiano solo a metà. Per l’altra metà, forse la migliore, è figlio di una schiava, una straniera al gradino più basso della scala sociale e umana, una donna scesa da un barcone e venuta da chissà dove, senza voce né dignità, che non sapeva né leggere né scrivere e che a stento parlava la nostra lingua. Leonardo non appartiene in esclusiva a una singola nazione o civiltà. Appartiene a tutta l’umanità.
E tu, Caterina, cosa hai donato a quel piccolo bastardo bello come il sole e puro come l’acqua, oltre alla vita e all’amore? Il tuo più grande desiderio: lo spirito di libertà, che per lui è diventata libertà assoluta di ricerca della verità e della bellezza, al di là di ogni costrizione, confine, pregiudizio morale o sociale. E poi, l’amore per l’altra grande madre, la natura, e per la vita in tutte le sue forme, le piante e gli animali, le piccole persone del creato, i cavalli e gli uccelli del cielo. E forse ancora la straordinaria disposizione all’immaginazione creatrice, come quando raccontavi al bambino le saghe del mondo favoloso da dove eri venuta, e gli facevi vedere, con gli occhi della fantasia, la tua altissima montagna sacra, Oshamako: la montagna dell’Annunciazione. Ma sarà il tuo sorriso, dolce e ineffabile, il dono più bello, che lui ha serbato in fondo al cuore. Con l’illusione di ritrovarlo, un giorno, nel volto di una donna chiamata Lisa.