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 2023  febbraio 08 Mercoledì calendario

Intervista a Livia Pomodoro

È ancora sotto scorta?
«No. L’ho avuta quando svolgevo attività istituzionali».
In anni durissimi. Uno su tutti il 1992, quando uccisero Falcone e Borsellino. Firmaste l’inasprimento del 41 bis sul cofano dell’auto del ministro Martelli.
«Qualche tempo fa sono andata a Roma a commemorare Liliana Ferraro, che come me era giudice e avevamo trascorso molti anni a occuparci di questa materia. Ci accomunava quello che chiamavamo il nostro “coraggio di Stato”».

È più emozionante incontrare un presidente della Repubblica nelle vesti di magistrato o di attrice?
«Si riferisce a quando al Teatro Argentina di Roma con altri artisti come Valentina Cortese e Giorgio Albertazzi recitammo davanti a Giorgio Napolitano? Io leggevo una lettera della ex ministra della Cultura greca Melina Merkouri ad Angela Merkel».
Precisamente.
«Ho incontrato tanti presidenti della Repubblica e tanti altri dirigenti dello Stato. L’emozione nasce dalla relazione che riesci a instaurare: che si tratti di un presidente o dell’omino che spazza il pavimento sotto casa, è altrettanto significativa».
Livia Pomodoro non è una donna facile da intervistare. Ha 82 anni e innumerevoli primati, conquistati con rigore e fermezza (tra gli altri: è stata una delle prime 16 magistrate in Italia, la prima donna a presiedere il Tribunale per i minorenni di Milano, la prima donna presidente del Tribunale di Milano). Già vicecapo di gabinetto del ministro di Grazia e giustizia Virginio Rognoni e capo di gabinetto con Claudio Martelli negli anni sciagurati delle stragi di mafia, si gode la pensione (si fa per dire) in zona Città Studi, al Teatro No’hma di cui ha assunto la presidenza dopo la morte della gemella Teresa, nel 2008. È qui che ci incontriamo.
Perché ha voluto prendere in mano il teatro fondato da sua sorella? Per un periodo ha anche svolto il doppio lavoro: al mattino al Tribunale e la sera al No’hma.
«Quando lei è mancata ho capito che dovevo continuare io, non tanto per farne un monumento alla memoria, ma per realizzare la sua utopia: garantire a tutti il diritto alla bellezza. Per assistere a uno spettacolo qui non si paga il biglietto».
Nel tempo ha fatto più di un cammeo.
«Io non amo salire sul palcoscenico, amo essere protagonista organizzativa: a me piace moltissimo vivere l’esperienza del dietro le quinte, perché è il luogo nel quale si compone questo mosaico che poi diventa spettacolo. E quando si apre il sipario è patrimonio di tutti».
Accoglie sempre il pubblico all’ingresso?
«Ogni sera. Chi frequenta il teatro sa di potermi incontrare e parlare con me».
Cena ancora alla fine dello spettacolo?
«Sì, ma non ho l’abitudine dei teatranti di andare tutti insieme. Io torno a casa e mangio il mio brodino».
Le capita mai di rivolgersi a sua sorella e chiederle se sta facendo come desiderava lei?
«No, perché sono convinta che se facciamo bene o male sia un giudizio troppo generale che prescinde da noi. Diciamo che ce la metto tutta».
È sua l’idea di un teatro «onlife»: due compagnie mettono in scena lo stesso spettacolo in Paesi diversi. Come se Giulietta chiedesse a Romeo di rinnegare suo padre a Milano e lui rispondesse da un palco a New York.
«Il primo a teorizzarlo è stato il professor Luciano Floridi a Oxford. Gli ho chiesto se potevamo incontrarci e abbiamo provato a sperimentarlo, con il Teatro Goldoni di Corinaldo: lì c’erano Maddalena Crippa con una compagnia di 12-14 musicisti e altrettanti erano qui con il fratello di Maddalena, Giovanni».
Ricorda l’arrivo a Milano?
«Era il 1965 e io ero giovanissima, avevo appena vinto il concorso di magistratura. Ho avuto una carriera bella e interessante, piena di incontri e di potenzialità di crescita».
Pensa che altrove avrebbe avuto le stesse possibilità?
«Chi può dirlo? Milano è una città straordinaria».
Dei suoi tanti primati, di quale è più orgogliosa?
«Sono stati tutti tappe importanti del mio percorso. Ma sono fiera del Codice di procedura penale per i minori».
In realtà lei avrebbe voluto unificare i due codici.
«Sì, perché sono stata sempre contraria alle generalizzazioni tipiche della nostra società, come “i giovani”, “le donne”, “i bambini”, “gli anziani”. Però mi ha dato molta soddisfazione il fatto che mentre il Codice per adulti, come lo chiamo io, è finito più volte davanti alla Corte costituzionale e molte norme sono state modificate, il Codice per i minori ha avuto una sorte stupenda perché le norme sono in vigore ancora oggi. È un privilegio che dimostra quanto siano attuali».
Si definisce intellettuale, non politica. Però il suo nome è stato fatto come possibile sindaco di Milano, come presidente della Regione Lombardia e perfino come presidente della Repubblica. Cosa l’avrebbe stimolata di più?
«Non ci ho mai pensato».
Ci hanno pensato gli altri.
«Mi fa piacere essere considerata a livelli così alti. Confesso però che se non me ne avesse parlato lei non me ne sarei ricordata neppure».
Alla Statale di Milano è sua la prima cattedra Unesco per il diritto e l’accesso al cibo: ce ne sono altre 4 nel mondo.
«È stato il risultato del lavoro fatto per l’Expo nel 2015. Uscivo dal Tribunale, dove si era concluso il mio incarico di presidente, e mi proposero di pensare all’eredità intellettuale di un evento che aveva un grande significato per la vita e il futuro dell’umanità. Ho insegnato pure alla Bicocca, alla Cattolica. Mi piace molto il rapporto con gli studenti: in questo rapporto c’è la trasmissione del poco che so».
Dell’Accademia di Brera è presidente dal 2016. Le ha fatto piacere assumere l’incarico, al pensiero di sua sorella?
«Non so se a mia sorella sarebbe interessato, soprattutto perché lei era una persona immaginifica. Quando mi hanno chiesto questa cosa non è tanto a lei che ho pensato, quanto a una storia di famiglia antica, una famiglia di artisti, di scultori, di intellettuali di ogni genere. La mia».
La spaventa la morte?
«Se c’è un pensiero che mi spaventa è quello del dolore, perché penso che ogni essere umano sia difficilmente preparato a sopportarlo. In fondo sono un coniglio, una fifona».