Questo sito utilizza cookies tecnici (propri e di terze parti) come anche cookie di profilazione (di terze parti) sia per proprie necessità funzionali, sia per inviarti messaggi pubblicitari in linea con tue preferenze. Per saperne di più o per negare il consenso all'uso dei cookie di profilazione clicca qui. Scorrendo questa pagina, cliccando su un link o proseguendo la navigazione in altra maniera, acconsenti all'uso dei cookie Ok, accetto

 2023  febbraio 04 Sabato calendario

Pillole su Carmelo Bene dalle sue interviste

Carmelo Bene l’iconoclasta, l’anarchico, l’antipolitico, l’anti-Stato, l’anti-cliché, l’anti-se stesso. Il suo teatro, il suo cinema, la sua letteratura: tutta roba marziana per l’epoca e ancora oggi. Occhi fiammeggianti, sciamanico, altero, immolato all’arte inintelligibile dalla ragione: “L’incomprensibile è qualcosa che arriva medianicamente, che scompare quando si prova a razionalizzarlo. Il semplice è inavvicinabile… Capire il significato è impossibile” (La Nazione, 27 gennaio 1995).
I francesi lo adoravano, paragonandolo a Ejzenštejn e Artaud. Noi suoi connazionali ci abbiamo messo un bel po’ a tollerarne le apparenti mattane. E infatti sono stati i giornalisti italiani il suo bersaglio grosso. Questo libro-monstre, appena pubblicato dal Saggiatore (Si può solo dire nulla, a cura di Luca Buoncristiano e Federico Primosig) raccoglie, in 1.700 pagine, una buona parte delle interviste che l’Umbratile Maestro Autarchico e Patafisico rilasciò nei suoi quarant’anni di carriera. Un lungo ed estenuante corpo-a-corpo, anche in senso letterale: una volta, nel gennaio del 1974, sfidò a duello Franco Cordelli, allora critico teatrale di Paese Sera, “all’arma bianca”. Come se avesse voluto affidare “ai traditori (i giornalisti, non gli apostoli) l’inconsapevole compito di trascrivere il proprio vangelo” spiega Buoncristiano. Una lettura succulenta per i suoi cultori, un vortice in cui perdersi e semmai ritrovarsi. E non serve linearità, come nel suo venerato Ulisse di Joyce.
Gli esordi, traumatici. Un suo attore si denuda sul palco. Le denunce, gli scandali nell’arretrato pre-68. “Tutti coloro che hanno avuto modo di assistere alla prima di Cristo ’63 sono concordi nel convenire che le misure adottate dalla polizia sono, questa volta, ampiamente giustificate” (Il Messaggero, 7 gennaio 1963). “Nel corso di un recital, organizzato in una villa sulla Cassia, lui e i suoi si erano gettati sugli spettatori insultandoli, strappando le borsette alle signore, alla fine usando la sala come un orinatoio pubblico” (Sandro Viola, L’Espresso, 29 marzo 1964).
Scripta volant. “Tutto è nel dire. Ma che cosa vuol dire, dire? Vuol dire che forse solo verba manent, che tutta la storia è solo grande tradizione orale” (La Nazione, 2 dicembre 1982). “Oggi il testo è morto. Io lo dico come Nietzsche diceva Dio è morto” (da La società dello spettacolo, 12 marzo 1985).
Ma cos’è la destra, cos’è la sinistra. Bene non vuole che il suo film Nostra Signora dei Turchi circoli in Italia, “Paese troppo sporco, troppo mediocre. Non l’Italia di destra, intendiamoci: quella è furba e basta. L’Italia di sinistra, invece” (Lietta Tornabuoni, L’Europeo, 15 agosto 1968). “Non rispetto nessuna specie di conformismo, e tanto meno quella più diffusa nell’ambiente culturale italiano: il conformismo del rispetto umano di sinistra” (Giancarlo Del Re, Il Messaggero, 3 settembre 1968).
Bene e il sesso. “Io non mi sono mai represso e quindi non me ne importa niente. Non contesto nulla. Mi autocontesto soltanto. Il mio ideale attuale è appunto un’autocontestazione all’infinito. Da non confondersi però con l’onanismo” (Men, 16 febbraio 1970).
Bene è meglio di Pelé. Appassionato di calcio, un po’ come Pasolini. “Io e Rivera siamo entrambi personaggi scomodi. Siamo belli e bravi entrambi. Anche a me hanno dato dell’abatino” (Corriere dello Sport, 10 febbraio 1974).
Bevi e dannati. “Siccome mi sono bevuto mezza Italia, nel senso di metà della produzione vinicola italiana, ho ormai un fegato alla soglia della cirrosi. Penso che non durerò molto ancora. Ci mancherebbe altro! Un Carmelo Bene settantenne non lo vedo proprio” (La Domenica del Corriere, 19 maggio 1974).
Forever Bene. “Ma ecco il punto: per essere contemporanei al proprio presente, bisogna non esserlo ed essere invece contemporanei a tutti i secoli” (La Nazione, 2 dicembre 1982).
Bene contro tutti. Siamo nel 1994. Il libro non ne parla, solo un accenno nella prefazione. Ricordate la puntata di Uno contro tutti del Maurizio Costanzo Show con Carmelo Bene? Una pagina di storia della televisione. Il giorno dopo i centralini del Parioli andarono in tilt per le proteste.
Le sue ultime parole sulla carta stampata. Boutade, antifrasi, citazioni dottissime, impennate liriche e invettive salaci: provocazioni servite alla tana delle tigri degli addetti ai lavori. Il miracolo di fendere cinque decenni di storia culturale e tout court della penisola restando fedele al suo tracciato: osannato e messo al bando, perturbante ed enfant terrible fino all’ultimo respiro. Giancarlo Dotto su L’Espresso lo interpella a proposito di un omaggio a Elvis Presley per il suo festival Otranto-Musica. È il 13 settembre del 2001, due giorni dopo l’attacco alle torri gemelle di New York. Sei mesi prima della sua morte, a 65 anni. “È il suo carisma che non ha eguali nella storia della musica moderna. Poteva berciare qualsiasi nefandezza ma ti costringeva a non staccargli gli occhi di dosso. Questa è grandezza”.