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 2022  dicembre 03 Sabato calendario

Il macellaio di New York

Chissà se, prima di scrivere le sueNotti newyorkesi, Jonathan Ames abbia letto, o almeno sentito parlare – noi crediamo di sì – di Chuck Deckle, un macellaio che, sin dalle prime righe della storia di cui è protagonista, dichiara di avere un grosso problema: non sa tagliare la carne. Via verso la notte è il primo romanzo di Edward Allen, pubblicato negli Stati Uniti nell’ 89 e tradotto in Italia da Marco Papi. È ambientato a New York, ma sia la città che i protagonisti che la abitano sono, per intenderci, lontani anni luce dalla Wall Street di Bret Easton Ellis o dalle crisi coniugali raccontate, all’epoca, da un altro Allen,ovvero Woody. È, questa, la New York degli ultimi, degli outsider, dei centri commerciali e delle sigarette accese e fumate una dopo l’altra con lo sguardo, spesso, che vaga nel vuoto, il che significa in direzione del proprio futuro. E ci racconta, Via verso la notte, l’ultimo brandello di una Manhattan oggi totalmente gentrificata. Se i protagonisti di Ames si muovevano infatti lungo la Bowery, quelli di Allen popolano invece il Meatpacking District in era pre Sex and the City, perciò animata da gayin abiti di pelle nera, locali sadomaso, dai falò accesi dentro ai bidoni dell’immondizia e, per l’appunto, da macellai con le facce rugose e i bicchieri di plastica colmi di tè. Chuck Deckle è uno di loro. Non si sente parte di niente e si definisce uno snob, un repubblicano moderato, un ateo. Ama le prostitute e, come tutti gli uomini ammalati di rabbia, impara molto presto che, per rimanere a galla, bisogna urlare. Molti, scrive a un certo punto, pensano che la carne abbia un cattivo odore,ma non è così: è un odore al contrario complesso, acuto ed eccitante, carico di lavoro, ira e fatica. Dopo aver sgobbato tutto il giorno, Chuck vuole solo tornare a casa e guardare i cartoni animati in televisione. Un giorno, però, si taglia con la punta di un osso e, a nostro avviso, scrive le pagine meglio riuscite del libro. Sono quelle dedicate alla ferita – non certo metaforica visto che nessuno, nel romanzo, ha tempo da perdere filosofeggiando sui propri drammi – che Chuck osserva così ossessivamente da immaginarla come la vulva di una donna. Anche se considera la malattia un lusso inutile, nonché una perdita di tempo, si dirige al pronto soccorso e scopre di avere una setticemia in corso. Al dottore che dovrà operarlo, chiede, ironicamente, se al risveglio sarà in grado di suonare il pianoforte, pur non avendone mai toccato uno in vita sua. Finirà per innamorarsi di Jill, un’infermiera talmente grassa da vomitare tutto ciò che ingurgita solo per avere lo stomaco sempre vuoto così da riempirlo di nuovo. È una disadattata, insomma, così come lo è Chuck. E quando ci si innamora tra disadattati – cosa lo scriviamo a fare? – non si gioca mai alla pari. Si fa, anzi, la gara a chi, dei due, riesce a toccare per primo il fondo. Al secondo appuntamento, Jill, è talmente presa dal cibo che dimenticherà perfino di aver promesso a Chuck di preparargli una cena. E lui, presentandosia casa di lei, la troverà in bagno a vomitare. Il grasso, dice Jill, è qualcosa che viene dall’interno, che riguarda tutto il corpo e la mente. Faranno l’amore per la prima volta e, un po’ dopo, Chuck porterà la sua amata in un centro commerciale, le offrirà un panino al McDonald’s e le chiederà di sposarlo. Siamo, più o meno, ancora agli inizi della storia, ma niente più spoiler. L’epoca è quella del presidente Carter anche se tra le righe del libro non è mai scritto. Lo si evince,piuttosto, dai titoli di giornale che Chuck legge. Ci sarebbe, lo scriviamo per par condicio, un’altra New York, parallela, ed è quella che tutti conosciamo, di Warhol e della sua Factory, del boom delle gallerie di SoHo e della scena underground, dell’Aids alle porte. Ma non c’è nulla, davvero nulla, di tutto questo nel romanzo. C’è, a un certo punto, la voce limpida di Debbie Harry dei Blondie che squilla nel buio del macello, provocando varie fantasie sessuali tra i lavoratori (bastava una voce alla radio, all’epoca…). Ma questo sorso di contemporaneità dura un attimo e basta, dopodiché i macellai tornano a lavorare negli stanzoni i cui nastri di trasposto ricordano, con un po’ di fantasia, le scale mobili dei grandi magazzini Bloomingdale’s. Sarebbe facile, con una trama del genere, scivolare nella retorica dei personaggi che, muovendosi nei bassifondi, riescono a cogliere, quindi a mostrarci, la poesia del marciume. Ma in questo romanzo, per fortuna, retorica non ce n’è affatto. C’è disperazione, e tanta. Come quella del dodicenne che, per mantenere la madre, gestisce un furgoncino di hot dog per strada. Si lamenta del fatto che gli assistenti sociali vorrebbero mandarlo a tutti i costi a scuola, come se, confessa il ragazzino a Chuck, non avessi imparato quanto fa due più due qui in cassa.