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 2022  dicembre 03 Sabato calendario

Storia di Punacci, capra nera

Punacci è una capra nera, consegnata da un maestoso sconosciuto, forse un dio, a un vecchio che vive con la moglie in condizioni di estrema povertà. Si dice sia la settima della cucciolata, per questo magrissima e con poche speranze di sopravvivere. Siamo in una società rurale in cui le capre possono rappresentare un investimento per una famiglia, per questo vanno registrate, il loro orecchio viene forato e marchiato e il governo chiede ai suoi cittadini di rendere conto di ogni capo di bestiame nato o deceduto. Punacci è stata trattenuta dalla famiglia non in modo regolare e per questo i suoi proprietari potrebbero cacciarsi nei guai, eppure sono convinti che il maestoso sconosciuto abbia fatto loro un dono, che il destino abbia messo sulla loro strada quella povera, piccola capra nera.Punacci, storia di una capra nera di Perumal Murugan è una favola certo, e mantiene l’innocenza e la purezza di una narrazione favolistica, ma allo stesso tempo non si può non considerare anche un romanzo politico, in grado di mettere a nudo le falle di una società che non lascia scampo. L’India rurale emerge attraverso la visione di una semplice capra, che simboleggia la condizione femminile da una parte, ma in una prospettiva ancora più ampia quella di una casta intera. Ne emerge un quadro spietato del potere a discapito del povero e una visione fatalistica del dolore che sembra appartenere ai contadini sin dalla nascita così come alla capra nera. Punacci è senz’altro amata dalla sua famiglia, soprattutto dalla vecchia contadina senza nome che la accudisce come fosse un bambino da salvare, eppure è inevitabile che la stessa famiglia che se ne prende cura a un certo punto ne senta il peso, perché anche una vita salvata per miracolo è una vita di troppo quando si combatte esclusivamente per sopravvivere.Punacci vede il mondo attraverso gli occhi di una capra, ma con un’arguta intelligenza, si compiace di alcune piccole semplici gioie e si innamora persino, del giovane Puvan. Eppure il dolore la attende, dovrà generare altri piccoli, e i suoi parti saranno a loro volta miracolosi, perché anche Punacci genererà sette piccoli, eppure quello che sembra all’inizio un miracolo non basterà a cambiare le sue sorti né quelle della famiglia che si è presa cura di lei. Come a dire che per alcuni al mondo il destino è ineluttabile. Si può accettare di vivere nel dolore? Si può accettare che niente di quel che si possa fare cambi il proprio destino?Murugan comprende la rassegnazione. «Stare in fila ci renderà pazienti. Stare in fila ci renderà tolleranti. Dobbiamo abituarci a stare in fila», fa dire ai poveri contadini e allevatori che attendono per la foratura delle orecchie del bestiame. La vita è un esercizio all’obbedienza. E ancora: «Anche se ci bastonano la schiena, dobbiamo gemere in silenzio. Non dobbiamo nemmeno respirare».Murugan ci pone dinanzi a interrogativi universali, ci porta a riflettere e a provare pietà per uomini e animali, perché nessuno in questa favola sfugge al budello stretto nel quale le sue sorti lo hanno incamminato sin dal principio. Il mondo dipinto da Murugan si muove lentamente, sul fondo di una natura arida, che dona pochissimo agli esseri che vi abitano. Gli animali maschi sono costretti a riprodursi e a essere uccisi o sacrificati, come l’amato di Punacci, mentre le femmine devono generare altri esseri da immolare al destino. Quando gli stenti si fanno insopportabili non possono fare altro che piangere. Allo stesso modo gli esseri umani devono barcamenarsi per sopravvivere. Punacci è un’estensione di questo mondo che gira verso la rovina. Si imbeve di sentimenti umanissimi e acquisisce una piena vita interiore. Incarna la purezza, la coscienza stessa.Murugan conosce questo mondo così bene da riuscire ad antropomorfizzare gli animali senza togliere loro le caratteristiche imprescindibili che li determinano come specie. E non c’è quasi più differenza tra uomini e capre, anzi le capre stesse mostrano uno spirito indomito e fiero che spesso all’uomo non è più dato avere: «Costringono le capre, che non si piegano, a guardare il suolo, legando insieme collo e zampa posteriore con una corda per aggiogarle. Ma le capre cercano sempre di scioglierne i nodi. Le pecore invece sono fortunate a vivere senza comprendere che inchinarsi significa essere schiavi». La piccola, insignificante capra nera osserva l’assurdità della vita, del giogo a cui gli uomini e le bestie sono sottoposti, in un comune destino di sottomissione, in cui la vita procede lentamente, gira in tondo senza le minime deviazioni, in una quotidianità asfissiante che mette l’uomo contro se stesso, pur non volendo, in cui persino chi è destinatario di un miracolo, «non è in grado di farlo proprio né di tutelarlo».

Perumal Murugan Punacci, storia di una capra nera Utopia edizioni