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 2022  novembre 23 Mercoledì calendario

La destra e l’integrazione Ue

Può anche darsi che, nel corso del 2023, le tensioni che scuotono l’Europa si attenuino, e che si torni più o meno lentamente a condizioni di normalità. Ma, al momento, tutto fa temere il contrario. Mai infatti, dopo la fine della Seconda guerra mondiale, l’Europa aveva dovuto affrontare tante sfide contemporaneamente: guerra, crisi energetica, inflazione, recessione, transizione ecologica, pandemia, migranti. Sfide che, nel caso di alcuni Paesi, e segnatamente dell’Italia, dell’Ungheria e della Polonia, si complicano per le tensioni con Bruxelles su versanti come i conti pubblici (Italia) e il rispetto dei diritti (Ungheria e Polonia).
In questo quadro non è fuori luogo farsi qualche domanda sul futuro dell’integrazione europea, anche alla luce delle recenti tendenze delle opinioni pubbliche dei vari Paesi.
Presi come siamo dalle vicende interne, non sembriamo accorgerci di quanto rapidamente stiano cambiando gli equilibri europei, né di quanto vicina sia la prossima scadenza elettorale comunitaria: fra meno di un anno saremo già in piena campagna elettorale, in vista delle consultazioni della primavera del 2024. Nella scorsa tornata il grande interrogativo era se le forze populiste ostili al progetto federale avrebbero sfondato, facendo saltare il tradizionale asse socialisti-liberali-popolari che aveva predominato nei quattro decenni precedenti.
Sappiamo come è andata: Ursula von der Leyen è stata eletta con la consueta maggioranza, rafforzata dai voti (decisivi) dei Cinque Stelle. E ora?
Ora, l’interrogativo è ancora se sfonderanno i populisti?
Forse non esattamente. Nel Parlamento europeo la forza più genuinamente populista, i Cinque Stelle, si è annacquata e praticamente dissolta (nel gruppo sono rimasti 5 su 14 eletti). I conservatori e riformisti (Ecr) di Giorgia Meloni, dopo la vittoria di Fratelli d’Italia nelle recenti elezioni politiche, hanno assunto un profilo più moderato e governista. L’altra forza di matrice populista e sovranista, Identità e democrazia (Id), cui aderiscono la Lega di Salvini e il Rassemblement National di Marine Le Pen, non è cambiata granché ma — insieme all’Ecr — ha contribuito all’elezione di Roberta Metsola (Partito Popolare) alla presidenza del Parlamento europeo, in occasione del rinnovo delle cariche che avviene ogni due anni e mezzo.
In un certo senso, già oggi in Europa la maggioranza è cambiata. Senza troppo clamore, siamo passati da una maggioranza classica socialisti-liberali-popolari a una maggioranza allargata ai due principali gruppi di destra, Ecr e Id.
E nel prossimo Parlamento europeo? Le recenti tendenze degli elettorati europei segnalano un rafforzamento dei socialdemocratici in Germania, ma anche importanti successi delle formazioni conservatrici in Italia, Francia, Svezia, nonché il singolare esito delle elezioni danesi (la premier socialdemocratica Mette Frederiksen ha vinto con un programma ostile agli immigrati). Se cinque anni fa l’interrogativo era se i populisti sarebbero stati in grado di sfondare in Europa, oggi che la destra governa in Italia e condiziona il governo in Francia, la domanda è semmai quale sarà il colore della maggioranza che dovrà gestire gli spaventosi dossier che si sono accumulati in questi anni.
Finora, l’equilibrio politico in Europa si è perlopiù retto sull’esclusione delle ali estreme o considerate tali: estrema sinistra, verdi, conservatori, estrema destra. Con la maggioranza Metsola, le cose sono già cambiate, e a restare fuori sono stati soltanto i gruppi radicali di sinistra. E i recenti successi di Giorgia Meloni e Marine Le Pen hanno reso sempre meno efficace il cordone sanitario contro l’estrema destra.
Nulla esclude che, nel prossimo Parlamento europeo, si formi una maggioranza inedita, decisamente sbilanciata a destra. Già oggi, popolari, Ecr e Id non sono lontani dalla maggioranza assoluta dei seggi. Così come non lo sarebbe una ipotetica coalizione di popolari, Ecr e Renew Europe (il gruppo cui aderisce il partito di Macron, e pure quello di Renzi). Insomma i giochi sono molto aperti, e il processo di integrazione europeo è a forte rischio. C’è da augurarsi che, quali che siano gli equilibri che emergeranno dalle elezioni del 2024, il nuovo Parlamento non prosegua sull’antica strada di congelare o rimandare i dossier più spinosi. L’incertezza e la mancanza di armonia delle istituzioni europee ci sono già costate care fin qui, ma diventerebbero catastrofiche se dovessero perdurare a dispetto delle drammatiche sfide che — tutte insieme — si sono accumulate e sovrapposte in questa legislatura.
(www.fondazionehume.it)