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 2022  novembre 22 Martedì calendario

I tormenti di Bonelli che candidò Soumahoro

Da qualche notte, sospira e non ci dorme. Del resto, sua moglie Chiara, una militante trentina tosta che ci crede fino in fondo, lo rimprovera a ogni sorso del caffè mattutino: «Ma che cavolo hai combinato, Angelo?». Già, ci si può intossicare una felice vita politica e familiare per uno sbaglio? Lui, Angelo Bonelli, uno che ci crede perfino più di lei (sul profilo di Wikipedia ha scritto «attivista»), proprio non si dà pace: «Ho commesso questa leggerezza», mormora agli amici, sfogandosi solo con chi gli sta vicino perché, no, in pubblico non vorrebbe proprio comparire, comprendetelo.
La «leggerezza» ha le espressioni cangianti e l’eloquio fluviale dell’ultimo eroe della sinistra radicale: Aboubakar Soumahoro, il talentuoso ivoriano che s’è imposto all’attenzione dell’Italia come portavoce dei braccianti e dei migranti diseredati e, con questa etichetta, è riuscito prima a farsi venerare dai talk show televisivi e poi a farsi eleggere deputato nella lista Alleanza Verdi e Sinistra, entrando a Montecitorio con gli stivali sporchi del lavoro nei campi («piedi nel fango della realtà e spirito nel cielo della speranza», ha spiegato su Facebook, con tanto di foto a pugno chiuso).
Insomma, vagli a dar torto, ad Angelo. Imbarcare un simile fuoriclasse (in tandem con Ilaria Cucchi) sul fragile battello condotto assieme a Nicola Fratoianni verso le elezioni del 25 settembre gli pareva un’apoteosi benedetta dal sol dell’avvenire o dal sole che ride, vedete voi. Il 10 agosto, quando ne annunciò la candidatura, si commosse persino: «Sono molto emozionato nel dirvi che Aboubakar Soumahoro ha accettato di presentarsi con noi: è una figura importante, un attivista che difende da vent’anni gli Invisibili».
«Manco i cani»
La ex senatrice Fattori di Si che visitò uno dei centri: non ci avrei messo manco i cani
Tutto giusto, tutto vero. Non fosse che per quei fastidiosi dettagli saltati fuori dalle campagne del Basso Lazio, tra Latina e Sezze, noti già da molti anni ma diventati di stringente attualità ora che Soumahoro è un politico eletto e dunque ha rilievo pubblico ciò che prima era solo privato: la sua compagna Liliane e la suocera Marie Terese appaiono dominanti dentro una cooperativa, la Karibu (con la cognata Aline nel collegato consorzio Aid). Su questo magma societario e contabile indaga la Procura pontina, tra croniche storiacce di pagamenti mancati ai cooperanti e cicliche rivolte dei profughi per le indecenti condizioni dell’accoglienza, dalla qualità del cibo alle camerate gelide e sovraffollate. Posti dove «non avrei messo manco i cani», secondo l’ex senatrice Elena Fattori di Sinistra italiana dopo un sopralluogo. Soumahoro non c’entra nulla con Karibu ed è entrato nella vita di Liliane solo nel 2018: dunque non è indagato e evidentemente non lo sarà. Però è un po’ come se un guardacaccia mangiasse, politicamente parlando, selvaggina di frodo. Attenzione: sul piano giudiziario la massima cautela è d’obbligo verso Marie Terese, Liliane e Aline, siamo alle indagini preliminari.
Ma le tante voci di protesta dei ragazzi venuti fuori imprecando dai centri Karibu non sono un bel viatico per una vita da neodeputato degli oppressi. E non aiutano le foto da vamp di Liliane, tra borse e occhiali di lusso in hotel pluristellati, che fanno capolino perfino dai profili social della Karibu. Non aiutano i suoi rimandi continui a marchi di alta moda, che le hanno guadagnato a Latina il nomignolo di Lady Gucci. È questo il punto cruciale. Sicché il grande freddo cala nella gauche, s’insinua nell’anima dei due leader che hanno messo in lista chi si presentava come una specie di nuovo Di Vittorio. Fratoianni, formazione comunista, verga un’austera nota dei rossoverdi in cui ribadisce rispetto e vicinanza a Soumahoro e alla «sua storia» ma riconosce «il rilievo politico dei fatti contestati» per chi come lui «riveste un ruolo pubblico», chiedendogli un incontro di chiarimento. Fuori dal gergo da comitato centrale, lo sconcerto è palese.
I ripensamenti
I dubbi del leader dei Verdi di fronte al caso che coinvolge
l’ex sindacalista
Bonelli, cultura movimentista, è più incline all’emozione, che filtra come l’acqua piovana nelle camerate della cooperativa Karibu. Il primo «momento di tensione» con Aboubakar «nasce a metà settembre», quando Fanpage racconta un’altra storia che, stavolta sì, lo coinvolge direttamente ma è tutta da dimostrare e riguarda l’utilizzo degli euro delle raccolte fondi promosse dalla Lega Braccianti (la creatura sindacale da lui creata) per il sostegno ai bisognosi. Gli dicono: «Devi chiarire, gira tutto sui social». Lui replica: «Ho messo tutto in mano agli avvocati» e non spiega più nulla ai suoi compagni. Quando la grana Karibu esplode, smette anche di rispondere alle loro telefonate. Ma il momento più amaro arriva quando nelle ultime interviste l’irrequieto Aboubakar vagheggia «una nuova casa politica», dicendo «basta con questa sinistra senza identità» e strizzando l’occhio al bacino di Salvini, partite Iva e imprese piccole e medie. «Ma come? Non solo ci deve delle risposte, non solo gli abbiamo dato un seggio blindato, adesso pensa al millesimo partito personale?». E dunque, avanti così, con un’altra bandiera bruciata nel falò mitologico della sinistra radicale. E con un altro corpo a corpo con l’insonnia per Angelo, rimuginando su quando parlava di sé, Fratoianni, Soumahoro e la Cucchi come di una «bellissima famiglia allargata». Col buio certi ricordi bruciano. Perché è molto facile fare i superiori su ogni cosa di giorno, ma di notte, diceva Hemingway, è tutta un’altra faccenda.