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 2022  novembre 22 Martedì calendario

L’Eco del ’63

È noto a tutti l’Umberto Eco infallibile e onnisciente che poteva parlare di cinema come di filosofia illuminando sempre. Prima di quell’intoccabile semidio esisteva un uomo che riceveva anche critiche e smentite. O, almeno, qualcuno provava a contraddirlo. Perché i problemi posti da Eco negli anni 50 e 60 e ripresi da Claudio e Giandomenico Crapis nel saggio Umberto Eco e la politica culturale della sinistra (La nave di Teseo) – anche se rigettati dagli intellettuali comunisti di allora – sono quelli con cui ancora fare i conti. E cioè, la mancanza di un intellettuale di riferimento (vedi le masse di oggi mosse da influencer) e l’indirizzamento politico della comunicazione di massa, soprattutto nel periodo dei social, in cui ognuno ha un megafono mondiale per i propri pensieri. Si ricorderà il giudizio che Eco riservò ai social poco prima di morire nel 2016 (“Danno parola a legioni di imbecilli”).
Lo studio parte dal 1963, l’anno della morte di papa Giovanni e di Kennedy. Eco si occupa della cultura di massa parlando di Rita Pavone, mentre prova a rifondare il romanzo col Gruppo 63. Ha 31 anni e scrive su Rinascita, settimanale diretto da Palmiro Togliatti. Qui pubblica “Sui problemi della cultura di opposizione”, un articolo contro l’intellighenzia di sinistra in cui pone al Partito comunista le stesse critiche che “i punkettoni” del ’77 bolognese gli rimproverano più di dieci anni dopo. Il testo di Crapis&Crapis si concentra proprio su questo articolo, indicato per la prima volta come un perno del pensiero di Eco, che non a caso nel 1973 scrive: “Se faccio semiotica è perché dieci anni fa mi trovai a far convivere due pratiche della significazione, che nella realtà già convivevano ambiguamente, gli atti della trasgressione, dell’avanguardia, della deviazione programmata dai codici e dalle norme, e gli atti della persuasione di massa, che sembrano inventare e si appoggiano invece ad arcaici sistemi di sollecitazioni attese”. Eco con quell’articolo, discusso ampiamente nelle 255 pagine del saggio, pone al Pci una questione e al tempo stesso fa una preghiera: bisogna ascoltare le tendenze artistico-letterarie rappresentate dalle neo avanguardie, le scienze sociali e la nuova condizione giovanile che dagli anni 50, e con più forza nei decenni successivi, si andavano opponendo alla cultura comunista. Quell’appello rimase nel buio, ed Eco quindi ci ritorna anche in anni più recenti, supportato dall’avverarsi di quella sua teoria e sostenendo l’importanza di questo suo scritto, forse finora un po’ dimenticato.