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 2022  novembre 22 Martedì calendario

L’ultimo libro di Citati

La vigilia dello scorso Natale, verso sera, Pietro Citati scrisse a Roberto Colajanni, offrendogli il suo ultimo libro, in segno dell’affetto che l’aveva legato a Roberto Calasso e ad Adelphi. Colajanni rispose all’istante, con entusiasmo. Ora ecco qui La ragazza dagli occhi d’oro (pagine 400, euro 25,00), a nemmeno tre mesi dalla scomparsa di Citati, edito con cura attentissima, e una copertina di grande eleganza; voltando le spalle all’amico Kersting, Friedrich si avvia sui Monti dei Giganti: «preferiva guardare lontano, con le spalle rivolte all’osservatore. Rifletteva su ciò che era vicino e su ciò che era lontano. Distingueva tra l’occhio fisico e il profondo occhio spirituale, quello che chiamava “l’occhio interiore”», spingendosi in un perenne al di là, abissi, nubi, rovine, relitti, ghiacci, e sulle cime dove c’era un’altissima croce, o l’etere, «la quinta-essentia, come verso la fine del Faust».
Ne La ragazza dagli occhi d’oro, questo estremo Palazzo del Pensiero, il commiato non è affatto definitivo. Pietro Citati ha sempre affermato di non essere tragico, sebbene le parole riferite a Friedrich possano rispecchiare una parte di sé. Avanza «lieto, lietissimo» fino a Villa Borghese, lasciando alle spalle due ben diverse immagini di Friedrich su due libri dalle linee tragiche: Il mare di ghiaccio per Il male assoluto (2000): il Satana che abita il Vuoto in Balzac, Poe, Dumas, Hawthorne, Dostoevskij, Stevenson, James; la Scogliera per Il silenzio e l’abisso (2018): il Nefas nelle teologie. No, questo libro è “divertente”, anzi “divertentissimo”. Non perché Citati possieda un senso dell’umorismo amabile, sulfureo, sarcastico-grottesco e fou rire della vita condiviso con Cioran o perché riconosca l’origine dell’umorismo ebraico considerando le scintille disperse delle Sefirot; ma perché è ancora più sfrenato nel racconto. Negli ultimi anni riprendeva in mano gli scrittori, i pittori, le figure, i paesaggi più amati e con la sua memoria dominante li ripresentava con un’arte di scorcio nuova, aderente al ritrattista che dopo avere esercitato la più precisa claire analyse si gettava nella più ardita récréation vivante. Si era fatto un grandissimo spazio intorno con le sue letture sterminate, curiose, eclettiche, e insaziabili. Il dèmone dell’analogia gli ubbidiva come un jinn a Salomone.
Quasi quarant’anni fa, quando interrogavo Citati sull’arte del ritratto rispondeva che «nessuno chiede all’arte di essere divertente. L’arte è tragica. … Ma un critico è una figura minore. È un mediatore fra l’arte e il pubblico. Deve essere divertente». Però sapeva di possedere una mente mitica, pur non considerandosi capace di inventare miti, come i poeti. Nell’arte di capire «c’è una fortissima componente creativa … se arriva molto profondamente può essere un equivalente del creare». Poi faceva un passo indietro, non voleva esagerare. Si era costruito come uno scrittore di specie nuova che affermava: «dico una banalità, ma i poeti sono i più grandi critici. Offrono insieme soddisfazione e godimento: Baudelaire, Proust, Yeats». La ragazza dagli occhi d’oro fa fare bruttissime figure al già adorato Sainte-Beuve, citando sempre Baudelaire, o riscopre segreti che crediamo nuovissimi nella geniale identificazione di Esiodo con le Muse nella Teogonia, che segue di vent’anni La mente colorata (2002). Era il libro sulle due forme della poesia, apollinea ed ermetica, sull’Odissea, sulla figura di Ulisse il cui cervello assomigliava al suo «molto complicato … uno strumento di precisione … labirintico ed estremamente avvolgente … una visione d’insieme non c’è mai … tuttavia esiste». Qui Esiodo è l’origine, la figura della poesia totale, il poeta metafisico, l’identità collettiva che coincide con le Muse, nelle trasformazioni, nel nascosto e nel tempo, in quella verità ricca, ambigua, che gioca con se stessa, ed è anche una non verità, liquidità di acque dell’Oceano della vita, sempre scorrenti, terribili, sebbene di miele. Queste acque bagnano non solo il mondo di Pindaro, ma anche le storie di una scrittrice come Han Kang che chiude l’ultima sezione del libro verso il futuro, nello spirito della metamorfosi, che è uno dei segreti del Citati critico.
Dopo l’uscita del Silenzio e l’abisso nel 2018 Citati aveva cominciato a raccogliere gli scritti inediti o editi su quotidiani, lavorando più per eliminazione che per aggiunta, come sempre faceva; ricorreggendo e talora riscrivendo. Solo così poteva emergere la struttura cronologica e tematica de La ragazza dagli occhi d’oro in otto parti, dalle origini (“Teologie, antichità”) al presente (“Verso quali forme”). Il libro racconta le sue passioni predilette in molti testi mai editi neppure sui giornali ed è il frutto di una selezione che, per darne due soli esempi, ha lasciato fuori sei testi su altri pittori, e i romanzieri russi solo in parte pubblicati nel 2021 in Dostoevskij senza misura, compreso un lungo saggio sui Demoni ancora inedito; lo ricordo perché ciononostante è un libro ricchissimo.
La passione teologica e mitica che occupa l’inizio con la Bibbia, la Torah, la Genesi, l’Apocalisse e l’apparizione di Gesù che proclama la misericordia, non il sacrificio, a partire dal libro di Calasso, è sempre viva in ogni parte, dai “Sistemi solari” che presentano Ildegarda di Bingen, la mistica cristiana, Bosch che sbeffeggia l’Eden nel Male in cui crede e non crede, l’Ultima Cena di Leonardo, con una mirabile analisi evangelica, Michelangelo, Copernico in Banville; a “Ombra e infinito” con un Caravaggio che passa come il Cristo di Malta e vede il sacro dove gli altri scorgono il comune, con un Pascal d’angoscia spaventosa nella vertigine del punto e dell’infinito; a “Geometrie del Novecento” con mistici ed ebrei, filosofi del dubbio, Benjamin, Scholem, Cioran, Eliade, le catastrofi dei totalitarismi e delle guerre che si prolungano con Herling, riempiendo di fantasmi il Palazzo del Pensiero, dove l’harmonia mundi rischia, nonostante figure di bricoleur come Lévy-Strauss, o pervicaci amanti della natura come Sacks. Il libro è una trama di corrispondenze senza soluzione di continuità perché lo sguardo, le sensazioni analogiche, le idee che lo nutrono sono intrecciate fittamente. Si riuscirebbe a rendergli giustizia soltanto riraccontandolo. Segnalo qualche punto senza fermarmi sugli scrittori, dal suo Cervantes ai moderni: il ritorno alla Persia, il paesaggio sacro «della più grande rivelazione della luce» dove l’Islam è arrivato alla sua perfezione mistica, inebriata della metafora; il ritorno a Roma: la Domus aurea, Seneca, Epitteto/ Leopardi, Plinio e il Vesuvio, Poliziano che sogna imperi felici del Nuovo mondo, mentre sceglie Erodiano e la catastrofe dell’impero romano.
Mi sono chiesta perché Citati abbia scelto il titolo di Balzac. Sì, è bellissimo, ma è del racconto culmine del delitto erotico, bianco rosso oro, del libertinismo francese. Poi ho capito. Balzac credeva al prologo del vangelo di Giovanni: Et verbum caro factum est; la parola è carne. In un delirio, paragonabile al «Desiderio e alla ricerca del Tutto» che nasce da Platone, e può accordarsi sia alla Recherche che ai fantasmi del Baron Corvo, pensò che la Comédie humaine diventasse carne. La fanciulla dagli occhi d’oro è elettricità, vibrazione, tensione dei magneti opposti che animano le scintille della vita: luce-energia-fuoco: la letteratura.