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 2022  settembre 24 Sabato calendario

Willy Brandt era un confidente della Cia a Berlino

La Cia non gode giustamente di buona reputazione. Dallo sbarco alla Baia dei Porci a Cuba, nel 1961, all’Afghanistan, ha quasi sempre fallito, e i suoi dossier sui paesi controllati lontani dalla realtà, ma a Berlino nei primi anni del dopoguerra avevano un capo giovane e intelligente, Peter Sichel, che ha da poco compiuto 100 anni (il 12 settembre). È sempre valido e gode di un’ottima memoria. Anche grazie a lui si evitarono errori, e si riuscì a gestire una situazione difficile nella città divisa. A Washington si dubitava di poter difendere il settore circondato dall’armata rossa.
Sichel era nato a Magonza, in una famiglia di possidenti ebrei produttori di vini pregiati esportati nel mondo, con filiali in Francia e in Gran Bretagna. Peter studiò alla Stowe School di Londra, allo scoppio della guerra raggiunse la famiglia che nel ’35 si era trasferita a Bordeaux. Quando la Francia fu occupata dai nazisti, riuscì a fuggire, e si imbarcò per gli Stati Uniti. Nel ’42 si arruolò nell’esercito americano. Dopo la guerra, fu mandato a Berlino per dirigere la sede del servizio segreto.
Erano anni confusi. Prima del Muro si passava da una parte all’altra prendendo il tram, o a piedi. Gli uomini del servizio segreto nazista furono arruolati dagli alleati e dai sovietici, e da ex colleghi continuavano a incontrarsi per bere una birra insieme. Sichel si trovò a controllare un informatore che sarebbe entrato nella storia, il futuro cancelliere Willy Brandt. Il suo nome si trova nel giugno del ’52 nelle liste del Cic, il Counter Intelligence Corps, il servizio segreto dell’esercito americano, che era gestito dalla Cia. La Süddeutsche Zeitung pubblicò la notizia lo scorso dicembre, confermando voci che circolavano da anni, ma Sichel da New York difese Brandt: «Non rivelò mai notizie sulla sua Spd, il partito socialdemocratico, ma era bene informato su quanto avveniva nel settore di Berlino occupato dai sovietici». Brandt all’epoca aveva 39 anni, non tradì la sua Germania.
Aveva iniziato a collaborare con Sichel nel 1950, la sua scheda riporta oltre 200 incontri, riceveva come compenso 250 marchi al mese, che non erano pochi, circa il salario di un operaio specializzato, e riceveva doni in natura, caffè, zucchero e sigarette, generi preziosi nel dopoguerra in Germania, e qualche bottiglia di whisky. Sichel lo ricorda come un giovane democratico e leale. Dopo Berlino, sempre per la Cia, Peter fu trasferito a Hong Kong e in Cambogia, ma nel ’59 lasciò il servizio segreto per dedicarsi all’azienda vinicola di famiglia.
«Non mi piaceva che la Cia non si limitasse a fornire informazioni sui paesi controllati, ma cercasse di influire sulle loro vicende politiche interne, con effetti disastrosi in Iran e Cambogia. Non potevo restare in un’organizzazione che giocava senza motivo con le vite umane», spiega nelle memorie, uscite nel 2019. «Le mie tre vite, esule, agente segreto, commerciante di vini». Per le 120 pagine sul suo lavoro nella Cia, ha dovuto discutere per mesi con i responsabili del servizio, preoccupati che svelasse particolari scomodi.
La Frankfurter Allgemeine lo ha intervistato mandandogli le domande per e-mail. Sichel vive in un appartamento a New York, nella Upper East Side, si è ammalato due volte di Covid, la prima nel dicembre del 2019, ha trascorso due mesi in ospedale, ma oggi è in buona salute. «Si vive più a lungo», dice, «ma non tutti sanno come si vive… io non ho tempo per annoiarmi». Ha messo il letto in biblioteca, dove lavora al film che si sta preparando sulla sua vita. Scrive al computer, che ha voluto imparare a usare già negli anni sessanta, e legge sempre ogni mattina i giornali, in inglese, tedesco, e francese: «Le mie radici sono in Europa».
Rimpiange solo due cose nella sua vita: «Non ho imparato mai il greco, la lingua di mia moglie Stella. È morta a maggio, aveva 90 anni. E non ho più rivisto il mio migliore amico, quand’ero ragazzo a Magonza. Un giorno Hans mi venne a trovare, indossava la divisa della Hitler Jugend, e il padre gli aveva proibito di avere rapporti con me, un ebreo. Non lo vidi più. Lo cercai dopo la guerra, ma era morto in battaglia».