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 2022  settembre 24 Sabato calendario

Jago, lo scultore rockstar

Un colpo di assestamento e uno di rottura. Sono i questi i movimenti con cui un artista scolpisce il marmo. Si vedono nelle opere, traducono il battito del cuore di chi le ha create. È Jago, pseudonimo di Jacopo Cardillo, a spiegare la doppia battuta che si fa ritmo del docufilm Jago. The Rock Star, diretto da Giovanni Troilo e scritto da Filippo Nicosia e Marco Pisoni, co-produzione ITsART e Ballandi dedicata al lavoro dello scultore nato a Frosinone nel 1987, che dal 29 settembre sarà in esclusiva gratuita su ITsART. A fare da spunto narrativo e scenario, la mostra Jago. The Exhibition, prodotta da Arthemisia con la collaborazione di Jago Art Studio, che è stata ospitata a Roma, a Palazzo Bonaparte, dal 12 marzo al 28 agosto scorso.
LA COMUNICAZIONE
Esposti, e quindi visibili nel filmato, anche lavori ormai iconici, come Habemus Hominem, che ritrae papa Benedetto XVI. Poi, Figlio Velato, Apparato circolatorio, che fa monumento del battito cardiaco, il bimbo di marmo, prima scultura inviata nello spazio, e altro ancora. Un’opportunità per conoscere Jago, la sua capacità comunicativa – è stato ribattezzato The Social Artist per le dirette streaming durante la creazione delle opere – e indagare il fascino che esercita sul pubblico. Sono stati oltre 140 mila i visitatori della mostra: una cifra imponente. Da rockstar, appunto. Il titolo, però, a ben guardare gli va stretto, come la definizione di nuovo Michelangelo, spesso associata al suo nome.
IL PERCORSO
Lo abbiamo incontrato alla presentazione del docufilm per farci raccontare la sua idea di arte. E di artista. «Non voglio essere il nuovo nessuno, ma solo me stesso – confida – i molti appassionati comportano un forte senso di responsabilità. A guardare i miei video sui social ci sono anche adolescenti, bisogna fare attenzione a quello che si fa». Ciò non significa adattarsi a canoni e regole. «Ho lasciato l’Accademia di Belle Arti prima di terminare gli studi. Volevo confrontarmi subito con il mondo. Chi smette di studiare sui banchi, lo fa tutta la vita». Gli esordi non sono stati semplici. «Mi dicevano che ero un artigiano, non un artista, troppo legato alla tradizione e che il mio linguaggio non era contemporaneo. E questo sin da giovanissimo». Poi, il successo internazionale. Anche grazie alla comunicazione.«Sono approdato sui social per necessità, perché ai giovani spesso non viene dato spazio per far vedere ciò che fanno. Noi artisti dobbiamo aiutarci da soli e dobbiamo trovare il luogo giusto per lavorare». Così, ad esempio, dopo il crowdfunding lanciato per Il figlio velato, che ha raggiunto cifre importanti ma non sufficienti alla realizzazione, ha eseguito l’opera a New York. Perché lavorare in Italia è, spesso, complicato. Troppo. «In Italia non si investe sui giovani, si vogliono artisti già affermati. È così in tutti gli ambiti. Pensiamo al calcio. Si prendono giocatori noti e non si investe sulle nuove leve, poi però la nazionale perde. Questo sistema, alla lunga, è penalizzante per il Paese». La lezione di Jago è chiara: mai fermarsi. «Voglio arrivare sul letto di morte, senza dire: Se solo avessi fatto. Io agisco sempre». Di messaggi, però non vuole darne. «Li metto nelle opere e, quando sono finite, è chi le guarda a dare loro il suo significato. Una volta, guardando la mia Pietà laica, una donna si è fatta il segno della croce. Avrei potuto dirle che non è un’opera religiosa, ma avrei perso l’occasione di vedere ciò che vi aveva colto».GLI SCENARIIntuizione e sentimento sono alla base dei lavori. E ogni scenario è pronto ad accogliere l’arte, come la statua del profugo, passata dalla Ocean Viking nel Mediterraneo allo Stadio Olimpico a Roma, poi vandalizzata a Ponte Sant’Angelo. «Volevo raccontare ciò che vivono i profughi: viaggio e arrivo. L’atto vandalico, inatteso, in fondo, è simbolo delle violenze contro homeless ed emarginati». Ora, l’artista guarda a nuove sfide. «Sto trasformando il mio studio napoletano in un museo e lavoro a un grande David, ripensato come donna. Chissà come lo interpreterà la gente».