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 1950  gennaio 01 Domenica calendario

Scheda autobiografica redatta da Giangiacomo Feltrinelli ventiquattrenne

All’Ufficio Quadri della Federazione Milanese del P.C.I.
Oggetto: biografia
Giangiacomo Feltrinelli, di fu Carlo e di Giannalisa Gianzana, nato il 19/6/1926 a Milano, ed ivi residente in Piazza S. Babila 4/b. Mio padre fu una delle più eminenti  figure del mondo finanziario tra il 1927 ed il 1935. Presidente del Credito Italiano e della Edison, oltre che di altre società delle quali possedeva la maggioranza del capitale azionario, fu un classico esempio di come il capitale finanziario si possa fondere con quello industriale. Morì nel ’35.
Mia madre,  figlia di un banchiere, vive tutt’ora; nel 1940 si risposò con Luigi Barzini jr. da cui ora però è divisa. Vive a Roma.
Fui allevato nella maniera, dal punto di vista borghese, la più ortodossa possibile, con governanti, comodità, viaggi ecc. e sempre isolato dai miei coetanei. Fino al ’41 non frequentai mai le scuole compiendo gli studi privatamente. Crebbi così praticamente senza amici.
Come avvennero, in questa situazione, quelle evoluzioni che mi portarono ad iscrivermi e oggi a militare nel Pci? Quali furono gli elementi che mi orientarono decisamente e mi fecero comprendere la necessità e l’importanza di iscrivermi al Pci e di lottare con l’avanguardia organizzata della classe operaia contro il capitalismo, per il socialismo?
Un primo elemento importante credo sia stato il seguente: nel ’36 mia madre acquistò un grande giardino al cui riattamento lavorarono per alcuni anni operai, manovali e contadini. Io divenni ben presto amico di questi operai e manovali e così per la prima volta venni a conoscenza di un altro mondo, che non era quello dorato in cui vivevo; dal racconto e dalla discussione imparai a conoscere le condizioni, la vita disagiata che gli operai erano costretti a fare, gli sforzi per mantenere la famiglia, l’insufficienza del loro salario, la costante minaccia della disoccupazione che gravava su ciascuno di loro. Ebbi così la percezione di due categorie sociali differenti e ben distinte. Più tardi, nel ’38-39, nelle discussioni accanite sugli avvenimenti internazionali la guerra diventava una grave minaccia che si inseriva nella vita già dura che gli operai facevano. Capii che non erano gli studenti, i signori che a gran voce reclamavano il conflitto che sarebbero andati a combattere; che, anzi, chi commerciava aveva la possibilità di guadagnare da una guerra mentre i sacri ci venivano sopportati dagli operai.
Nel ’40 feci la conoscenza di un operaio di Erba, Augusto Sala. Dai suoi racconti, dalle discussioni avute con lui appresi per la prima volta i particolari della lotta popolare sostenuta nel ’21 contro i fascisti da parte degli operai. Per la prima volta appresi che esistevano altri partiti ed in particolare i socialisti e i comunisti. Il racconto degli eroici episodi di lotta popolare contro fascisti e squadristi, finanziati ed appoggiati dagli industriali, mi entusiasmava.
Evidentemente i miei erano preoccupati dalla piega che stavo prendendo. Essi si atteggiavano ad antifascisti, soprattutto dopo che il mio patrigno era stato confinato ad Amalfi per troppo amore per il doppio gioco tra inglesi e fascisti.
Io ero ancora pieno di contraddizioni: ero iscritto alla Gil ed ero contento quando la guerra andava bene e le armate fasciste avanzavano; nel contempo ascoltavo Radio Londra, ero contro i tedeschi e non prevedevo niente di buono dalla guerra. Speravo che la monarchia al momento buono spazzasse via i fascisti.
Intanto la guerra andava avanti e alla  fine del ’42 la situazione diventava tragica: i primi bombardamenti sulle città, i primi tedeschi che arrivavano in Italia. In questa situazione comprendevo che l’abbattimento del fascismo e la cessazione della guerra erano compiti che si ponevano con urgenza e che non potevano risolversi se non con uno sforzo, con una lotta in cui tutti davano qualche cosa. Conobbi allora Renzo Negri, abitante in via Melzi d’Eril n. 22, che era in collegamento con la Resistenza. Eravamo alla fine del ’42. Non ebbi che dei contatti saltuari con lui poiché mi dovetti trasferire con la famiglia in Toscana. Ebbi tuttavia la possibilità di apprendere da lui notizie sull’eroico sciopero del marzo del ’43. Sottoscrissi allora, mi ricordo, cento lire per un giornale clandestino. Questi ed altri episodi, anche se insigni canti, contribuivano sempre più a legarmi con chi, anche se di fatto non conoscevo, sapevo lottava contro il fascismo, cioè la classe operaia.
In questo periodo la lettura della “Storia della letteratura latina” di Concetto Marchesi contribuì a farmi fare un salto qualitativo inquadrando per la prima volta quegli avvenimenti, quei sentimenti, quelle idee di giustizia che si erano sviluppate in me e che mi avevano portato ad essere contro i fascisti e contro i signori.
Infatti mi colpì particolarmente lo studio della lotta dei Gracchi nella antica Roma. Il Marchesi ne prendeva infatti lo spunto per dimostrare l’esistenza di due classi sociali in lotta fra loro: patrizi e plebei, sfruttatori e sfruttati. Tutta la mia esperienza si inquadrava quindi in questo schema tutt’ora valido e tutti gli avvenimenti politici, il fascismo, la guerra, prendevano un nuovo contenuto sociale.
Studiai in seguito quel poco materiale storico che avevo a disposizione. In particolare ricordo la lettura della “Storia del Risorgimento” del Croce, il quale mi diceva, sia pure criticando aspramente, qualche cosa sul movimento socialista internazionale. Lessi pure un libro di Bissolati sulla storia del movimento operaio italiano. Da queste letture apprendevo a conoscere uomini, partiti, avvenimenti politici italiani; imparavo a conoscere cosa erano i sindacati, gli scioperi ecc. L’opportunismo ed il compromesso che trasparivano da ogni riga dell’opera del Bissolati non ebbero su di me che scarsa e momentanea influenza. La stessa situazione, allora attuale, di lotta esasperata, la prova dei fatti cioè, dimostrava meglio di qualsiasi ragionamento il fallimento di qualsiasi idea riformistica.
Dopo la liberazione di Roma, dove mi trovai il 4 giugno, ebbi la fortuna di leggere subito due opere di particolare importanza ed attualità: il Manifesto dei Comunisti e Stato e Rivoluzione di Lenin. Dal Manifesto, come già dalla lettura del Marchesi, mi restò impressa l’analisi della società e la sua divisione in classi tra di loro in continua lotta, mentre il materialismo storico mi insegnava le ragioni dello sviluppo della società dandomi così un nuovo metodo per comprendere la storia.
Nel novembre del ’44 mi arruolai volontario nel gruppo di combattimento Legnano che doveva venir aggregato alla V Armata Americana, non senza aver sentito prima il parere di un compagno, credo del compagno Trombadori, presentatomi da un giovane compagno che conoscevo.
Con queste sia pure limitate basi teoriche mi iscrissi al Partito ai primi di marzo del ’45 mentre ci trovavamo con la divisione in addestramento in provincia di Siena. Mi presentarono il compagno Masotti, anche lui della mia compagnia (vecchio compagno che aveva fatto un anno di Civitavecchia per ragioni politiche) ed il compagno Ciafrè Vincenzo della Federazione di Siena. Poco dopo la divisione andò in linea sul fronte di Bologna e nell’agosto del ’45 fui congedato. Ritornai a Roma dove ripresi i miei studi (ero iscritto al Politecnico di Roma). Fino all’aprile del ’46 non svolsi attività politiche in quanto il compagno Fulvio Iacchia della Federazione di Roma preferì utilizzarmi per un lavoro d’informazione che potevo svolgere in ambienti ostili al Partito. Fui bruciato nell’aprile del ’46 quando per isbaglio una relazione dettagliata su una riunione di esponenti monarchici che si era tenuta in casa mia ed alla quale avevo in parte assistito fu pubblicata per intero sull’“Unità”. Mi trasferii allora a Milano dove poco dopo i miei architettarono con l’aiuto del servizio d’informazione inglese, sapendo che io avevo ancora presso di me delle armi dall’epoca del congedo, un finto arresto con lo scopo di spaventarmi e di convincermi così di allontanarmi dall’Italia. Questo rientrava infatti nei loro piani in quanto loro, temendo l’avvento della Repubblica, stavano organizzando un esodo generale della famiglia.
Andai in Spagna ed in Portogallo da dove, nel luglio sempre del ’46, evasi la sorveglianza dei miei e rientrai in Italia, stabilendomi a Milano. Cominciai allora a svolgere una regolare attività nel Partito, dapprima nella sezione Bietolini nella branca della stampa e propaganda, e poi nell’aprile del ’47 alla Duomo, prima nel lavoro giovanile, poi nella stampa e propaganda.
Nel luglio del ’47 mi sposai con Bianca Dalle Nogare, proveniente dal Psiup e da un anno iscritta al Pci. Partecipai al Festival della Gioventù a Praga nell’estate del ’47.
Nel frattempo avevo raggiunto la maggiore età e quindi l’amministrazione dell’ingente patrimonio lasciatomi in eredità da mio padre venne ad incombere sulle mie spalle.
Nell’estate del ’48 in seguito all’attentato contro il compagno Togliatti fui arrestato insieme ad altri giovani per af ssione di manifesti non autorizzati. Fu in seguito a questo arresto che ricevetti dalla sezione Duomo la responsabilità della stampa e propaganda.
Feci pure parte del comitato di sezione. Nel novembre frequentai per sei mesi una scuola serale di Partito in Federazione. Questa scuola ebbe per la mia formazione teorica di militante comunista una importanza notevole. La storia d’Italia e l’economia politica che ivi studiai riinquadrarono completamente le cognizioni borghesi che avevo appreso nei normali corsi scolastici, mentre lo studio della storia del Pc dell’Urss mi ferrava particolarmente per i problemi pratici che quotidianamente dovevo affrontare nella mia vita di Partito. Contemporaneamente fui chiamato a dirigere la Commissione Finanziaria della Federazione di Milano.
Come hanno in uito sulla mia formazione politica questi vari incarichi di Partito che ho avuto? Come li ho assolti?
Il lavoro alla base del nostro Partito, alla sezione Duomo, è stato senza dubbio molto utile per me. Collegatore di varie cellule appresi a conoscere i compagni, le loro deficienze e qualità. Appresi a conoscere i compiti delle varie istanze di Partito. Imparai a frenare, almeno in parte, i miei impulsi, la mia irruenza; imparai ad avere un metodo nella discussione, nel lavoro di convincimento e di chiarificazione che dovevo fare presso i compagni. Imparai a conoscere dove si nascondeva l’opportunismo, sia dietro al compromesso sia dietro alle generiche affermazioni estremiste. Del mio lavoro di direzione della stampa e propaganda devo dire che troppo spesso peccavo di eccessivo accentramento del lavoro, e solo verso la fine ho fatto degli sforzi concreti per avere dei collaboratori e, quello che è più difficile, per guidarli e avviarli al lavoro. Sono quindi spesse volte caduto nel praticismo perdendo la visione d’insieme del lavoro che avevo da fare per concentrarmi solo su questo o quel settore. Il fatto che oggi riesca a fare questa critica al mio lavoro di base nel Partito credo sia la migliore dimostrazione che esso non è stato negativo ed è servito alla mia formazione ideologica.
Il lavoro alla Commissione Finanziaria della Federazione è stato sotto molti aspetti meno proficuo. Vi portavo ancora una certa inesperienza nel campo degli affari in un momento in cui gli affari, così belli, isolati, diventavano molto rari e pericolosi. Mi mancavano soprattutto le qualità di realizzatore (nel campo degli affari) mentre le qualità di direzione (basata essenzialmente sul buon senso) erano qui meno richieste che non appunto quelle tecniche, realizzatrici. (Questa mia deficienza l’ho anche riscontrata nel mio lavoro personale; recentemente mi sembra di essermi avviato verso un miglioramento.) Alla  fine del ’49 la Commissione Finanziaria è stata giustamente assorbita dalla Commissione Amministrativa ed io sono diventato attivista di questa commissione. Nell’autunno del ’49 venni nuovamente arrestato dall’ufficio politico della Questura di Milano. Un gruppo di giovani rapinatori arrestati poco prima, alcuni dei quali avevano fatto parte del Pci (espulsi quando la loro attività provocatoria venne alla luce), avevano dichiarato durante i loro interrogatori in Questura che io avevo finanziato la loro banda che aveva delle strane appendici spionistiche. Fui rilasciato il giorno dopo il mio arresto non senza che la stampa gialla scatenasse una violenta campagna denigratoria. Avevo effettivamente conosciuto questi giovani nel periodo della loro appartenenza al Pci ed alcuni di essi avevano anche partecipato ad un campeggio che, come responsabile giovanile della sezione Duomo, avevo organizzato nell’estate del ’48.
Dal momento della loro espulsione dal Partito non ho più avuto con essi alcun contatto. Tanto meno avevo nanziato loro imprese né prestato loro soldi neanche a titolo personale. Dopo il mio arresto fui trasferito alla cellula dell’apparato federale ed ho svolto la mia attività politica esclusivamente nella Commissione Amministrativa.
Ora dalla partecipazione alla scuola regionale e collegiale di Partito mi riprometto due cose essenzialmente:
1) approfondire le mie conoscenze teoriche apprendendo un meto- do di studio ed applicandomi allo studio stesso delle materie e degli scritti di coloro che hanno guidato i movimenti popolari, che hanno condotto il Partito al potere in alcuni paesi e che in altri lo guidano tutt’ora nella lotta contro gli imperialisti nostrani e stranieri;
2) di apprendere dalla vita collegiale per tre mesi a vivere in una co-munità, modi cando quindi il mio carattere, ed imparando cosa vuol dire lavorare insieme ad altri compagni.
Ritengo questo secondo obiettivo di particolare importanza per la condizione particolare in cui vivo, e per permettermi di migliorarmi per meglio poter lavorare per il Partito.