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 2022  agosto 13 Sabato calendario

Il re Artù è morto. Viva il re Artù

Mentre esce il terzo volume del “ Ciclo del Graal” ecco una cavalcata storica a fianco di Mark Twain, T. S. Eliot, John Steinbeck e, soprattutto, i Cavalieri della Tavola Rotonda
Chi non ha gran valor, non vada inanti; / che dove cerca onor, morte guadagna. / Gran cose in essa già fece Tristano, / Lancillotto, Galasso, Artùe Galvano.
Arriva un momento nella storia dell’immaginazione in cui alcuni fantasmi del mondo che chiamiamo reale acquisiscono una presenza semi- fisica nel mondo che chiamiamo immaginario. Scivolano senza rumore dal personaggio di un libro di storia in una presenza reale nel regno della fantasia, concreti quanto il Regno del Prete Gianni o la Città di El Dorado nella cartografia rinascimentale. Una battaglia, un viaggio, un governo giusto o ingiusto possono trasformare il protagonista storico in materia da leggenda e, dopo molti racconti, un soldato coraggioso, un marinaio intrepido, un re potente possono perdere il loro nome di nascita e diventare Orlando, Sinbad, Gilgamesh.
« Ben poche cose accadono al momento giusto» osservò Erodoto, secondo Mark Twain che aveva inclinazione per gli apocrifi. «E il resto non accade affatto. Lo storico coscienzioso correggerà questi difetti». Non lo fa soltanto lo storico. L’immaginario collettivo è accuratamente creativo e con allegria fa di una mosca un elefante.
Al tempo in cui Ariosto componeva il suo poema – la cui trama intricata è folle quanto il suo protagonista – nomi come Tristano, Lancillotto e Artù erano patrimonio comune. I siciliani scelsero Carlomagno per le loro storie narrate e rinarrate all’infinito, prestando l’immortalità dei puppi all’antico difensore del cristianesimo; il resto dell’Europa si concentrò su Artù e sugli infiniti rapporti di famiglia dei suoi cavalieri che collegarono un misterioso signore britannico della guerra a Cristo e al Santo Graal, e a un’enorme moltitudine diidilli cavallereschi. Con la logica poetica, Ariosto ritenne irrilevante la questione dell’autenticità storica.
Quantunque il simular sia le più volte / ripreso, e dia di mala mente indici, /si truova pur in molte cose e molte / aver fatti evidenti benefici.
Re Artù nacque (forse) a un certo punto del V o del VI secolo in Galles, in Cornovaglia o in Bretagna. Sebbene non sia citato in testi che lo avrebbero fatto (né l’Ecclesiastical History del Reverendo Beda dell’VIII secolo, né l’Anglo- Saxon Chronicle del IX secolo gli dedicano una parola), il poema elegiaco gallese I Gododdin loda uno dei suoi eroi dicendo che « in ogni caso, non era Artù » , mentre la Historia Brittonum del chierico gallese Nennius del IX secolo elenca ben dodici battaglie nelle quali si suppose che Arturo avesse combattuto coraggiosamente, uccidendo nell’ultima di esse «quasi un migliaio di uomini».
Se in alcuni testi successivi compaiono altri riferimenti a questo Arturo bellicoso, è plausibile che il re che si guadagnò un posto nell’inventario ariostesco possa essere il frutto dell’immaginazione di un bardo primigenio, e si sia poi fatto strada nellaHistoria Brittonum combattendo non contro una schiera di nemici umani, bensì contro una serie di gatti giganti, cinghiali mandati dal cielo, cinocefali (già menzionati da Plinio), e così pure la consueta congrega di maghi, streghe e orchi. Nel XII secolo, il chierico anglo-normanno Goffredo di Monmouth compose in latino una cronistoria assai poco digeribile di tutti i re britannici dai tempi di Troia in poi. In De Gestis Britonum, Goffredo elencò tra i monarchi ricordati un certo Re Arturo, figlio di Uther Pendragon, nemico di Re Gorlois, marito dell’adorabile Igraine. Uther, come già Zeus prima di lui, assunse le sembianze di Gorlois e giacque con Igraine, abbinando così piacere e vendetta. Da quell’unione sarebbe nato Arturo che, alla tenera età di quindici anni, avrebbe ereditato il trono paterno e il potere su una leggendaria Bretagna.
A quel punto inizia una serie senza fine di tradimenti familiari, amicizie infrante, interventi di maghi e storie di adulterio che avrebbero alimentato le biblioteche di tutto il mondo per i secoli a venire, da Dante a Maria di Francia, da Cervantes a D’Annunzio, da T. S. Eliot e John Steinbeck a Harrison Ford e i Monty Python.
Respingendo il concetto della verità mitologica, Aristotele tuttavia ammise che lo stupore provocato da storie prodigiose potesse tornare utile a una mente curiosa, purché fossero trattate non tanto come verità assolute ma come allegorie in grado di condurre alla verità. Le storie di Re Artù hanno questa vantaggiosa qualità grazie ai molteplici livelli narrativi sovrapposti nei secoli. Come alcune antiche leggende diventate mitici palinsesti – la Casa di Atreo, Giasone e i suoi argonauti –, il figlio di Uther Pendragon dette vita non soltanto alle storie dei Cavalieri della Tavola Rotonda e della bella regina Ginevra, ma anche a quelle di Lancillotto, Parsifal, Merlino, la Fata Morgana, Tristano e Isotta e molti, molti altri.
Il Re Passato e Futuro divenne il re che non può morire o, preferibilmente, il re che continua a rappresentare qualcosa di nobile. Ahimè, sembra proprio che ci siamo dimenticati di quel qualcosa.
Oggi le leggi della cavalleria sono esse stesse materia mitizzata. La nostra è l’Epoca della Vacuità. L’Etica non è un requisito sociale. I titoli non hanno alcun significato. Berlusconi è un cavaliere e le Kardashian sono le nuove regine. Oggi Don Chisciotte non sarebbe considerato un pazzo: non sarebbe nemmeno preso in considerazione. E così, Re Artù cavalca verso una Camelot ormai scomparsa e la Tavola Rotonda di Las Vegas accetta prenotazioni a suon di milioni.
Augusto e i papi del Rinascimento potevano vantare legami di sangue con Enea e la stessa Venere per legittimare le loro pretese imperiali su Roma. La Bretagna della Brexit potrà addurre il sostegno di Artù e dei suoi cavalieri contro i draghi dell’Europa continentale? Qualsiasi mito conferisce alla società che l’ha scelto la sua identità particolare. Ma quale sarà? La Francia deve scegliere tra Giovanna d’Arco e Jean Valjean, la Spagna tra El Cid e Sancho Panza, la Svizzera tra Guglielmo Tell e Heidi, l’Italia tra Garibaldi e Pinocchio.
Nel XV secolo, Sir Thomas Malory ne La Morte d’Arthur fa pronunciare al re queste valorose parole che, circa una trentina di anni più tardi, saranno riprese dall’Ariosto: «Poiché ho promesso di combattere fino all’ultimo, per fede del mio corpo, mentre ho ancora vita preferirei pertanto morire con onore invece di vivere con vergogna; e se mi fosse possibile morire centinaia di volte, preferirei morire di continuo che consegnarmi a te; perché sebbene io sia privo di un’arma, la devozione non mi manca e, se tu mi ucciderai inerme, l’ignominia sarà tua».
Parole sante. 

Traduzione di Anna Bissanti