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 2022  agosto 13 Sabato calendario

Biografia di Salman Rushdie

Trentatré anni fa il mondo sembrava a una svolta, con la caduta del muro di Berlino, e oggi ci ritroviamo con una guerra feroce in Europa. E sempre trentatré anni fa (1989), il giorno di San Valentino, Salman Rushie si ritrovò destinatario di una condanna a morte lanciata dall’iracondo leader iraniano, quell’Ayatollah Khomeini che aveva costruito con la "rivoluzione islamica" uno stato teocratico e naturalmente antioccidentale.
Lo scrittore anglo-indiano aveva pubblicato da poco uno dei suoi romanzi migliori e anche, per sua sfortuna, il più universalmente noto, I versi satanici: che gli cambiarono la vita costringendolo a un’esistenza "blindata" per almeno due decenni. Ieri hanno ripresentato il conto, quando ormai nessuno forse più ci pensava, in primo luogo lo stesso Rushdie che anzi da tempo ha rinunciato alla scorta e alle misure di sicurezza, e aveva del resto in qualche modo metabolizzato l’angosciosa avventura nel memoir Joseph Anton (del 2002: il titolo è il nome che gli dette Scotland Yard, con cui si presentava nella vita comune, nei viaggi, il nome da clandestino).
Proprio nelle ultime pagine, guardando all’indietro, l’autore si diceva sì, che forse ne era valsa la pena, nonostante dall’Iran i "falchi" del regime aumentassero di volta in volta la taglia sulla sua testa mentre le "colombe" facevano capire che la questione era quasi risolta. Quando venne in Italia in visita ufficiale il presidente iraniano, era il 1999, per una curiosa coincidenza (ma non dimentichiamo che nella Lezioni Americane Italo Calvino definisce la poesia come «la grande nemica del caso, pur essendo figlia anch’essa del caso e sapendo che il caso in ultima istanza avrà partita vinta») l’Università di Torino laureò honoris causa lo scrittore, creando un qualche imbarazzo diplomatico. Lui, sornione (è una qualità che gli riconoscono tutti, è anche la sua vera forza) parlò nella lectio magistralis di scrittori latini, Svetonio che gli aveva insegnato molto sulle élite del potere, e l’Ovidio delle Metamorfosi che aveva influenzato proprio I versi satanici.
Il nome di Khomeini, il «padre» della rivoluzione iraniana che lo aveva condannato a morte (la fatwa è una sorta di lasciapassare, un invito rivolto a qualsiasi buon musulmano perché assassinii, se vuole, l’infedele) venne però alla fine pronunciato, proprio partendo da Calvino: se è vero che la letteratura abbonda di esempi di «concretezza», che è poi il tentativo disperato di sfuggire al caos, alla molteplicità delle storie possibili, Rushdie osservò tuttavia come si stesse verificando una sorta di degenerazione di quest’idea, quando la concretezza si trasforma in ossessione. Da quella di Achab per la balena bianca, a quella di un Savonarola coi suoi roghi di libri, a quella infine di un Khomeini che guida una rivoluzione contro la storia stessa.
La "colpa" di I versi satanici era quella di aver giocato letterariamente con il Corano, riprendendo una antica favola su certi versetti successivamente espunti perché si riteneva potessero essere stati suggeriti dal diavolo, tema ritenuto tabù dall’Islam religioso. Per il resto è un romanzo fantastico, che comincia con due personaggi caduti da un aereo in picchiata verso la terra, e intreccia storie di meraviglia intorno al tema del confronto tra Bene e Male. Anche in modo umoristico. Uscito nel settembre dell’88, toccò nel profondo qualche nervo scoperto. Fra manifestazioni di piazza, incitamenti all’odio, accuse di blasfemia, fu subito bandito in India, Paese natale dell’autore, e bruciato in piazza nella civile Inghilterra da un gruppo di fanatici. Infine l’Iran, probabilmente anche per motivi di politica interna, si intestò la guida del linciaggio. Da un giorno all’altro Rushdie, che aveva guardato con qualche stupore e scetticismo alla prime manifestazioni, si ritrovò sottoposto a stretta sorveglianza.
Gli furono date una nuova identità (Joseph Anton, appunto: scelse il nome pensando a Conrad e il cognome pensando a Cechov: gli scrittori da lui più amati), una nutrita scorta e una sorta di stigma. Era diventato un uomo pericoloso, spesso veniva respinto, ad esempio, sui voli della British Air per ragioni di "sicurezza" - anche se ciò non gli impedì di arrivare a Mantova nel ’97 per la prima edizione del Festivaletteratura; si fecero persino delle strane passeggiate insieme, con grande disperazione del prefetto e forze dell’ordine dappertutto.
Tanta cautela non era però eccessiva. All’inizio degli anni Novanta fu pugnalato, per sua fortuna non a morte, il traduttore italiano, Ettore Capriolo, mentre quello giapponese venne assassinato, e qualcuno sparò al suo editore norvegese. Su certi argomenti era proibito scherzare, e il mondo che si riteneva sempre più libero, razionale, pluralista, lo scoprì proprio allora con non poco stupore. La nuova libertà che si annunciava a Berlino non era tutto.
Anche I versi satanici ci hanno aperto, involontariamente, le porte di un nuovo mondo, quello degli attentati e dei sottili distinguo sulle "responsabilità" dello scrittore - o di chi fa satira, si pensi a Charlie Hebdo, o al Bataclan. Oggi, ha osservato qualcuno, polemicamente, nessun editore pubblicherebbe più un libro del genere, la paura forse ha vinto. Forse. Ma se Salman (cui vanno tutti i nostri auguri fraterni) credeva di essersi liberato dell’Iran e dei fanatici varcando l’Atlantico e trasferendosi a New York, ed è stato disilluso, va detto che a loro volta l’Iran e i fanatici non si libereranno mai di lui. Anche se riuscissero davvero a ucciderlo.